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Distanze tra edifici: anche le scale devono rispettarle? Le regole urbanistiche

Consiglio di Stato: sono rilevanti le parti aggettanti (quali scale, terrazze e corpi avanzati) anche se non corrispondenti a volumi abitativi coperti, ma che estendono ed ampliano (in superficie e in volume) la consistenza del fabbricato

Le scale devono rispettare le norme in materia di distanze tra edifici? E se si, in quali casi? Ci sono delle eccezioni?

A queste, gettonate domande, risponde il Consiglio di Stato nella recente sentenza 6613/2021 del 4 ottobre, relativa al ricorso di un privato contro l'ordinanza di demolizione di un comune per "opere edili abusive consistente nella realizzazione, in difformità rispetto ai titoli rilasciati, di una scala in cemento armato situata nel cortile condominiale, aperta e scoperta con ringhiere laterali in ferro, larga metri 1,40, alta metri 4,30, situata a metri 2,90 dal confine lato sud, sorretta in parte da due pilastri in cemento armato e collegata con il balcone esistente dalla quota cortile da accesso al primo piano dell’immobile...".

Di conseguenza, con un provvedimento successivo, l'amministrazione comunale aveva comunicato l'improcedibilità della richiesta di permesso di costruire in sanatoria (avente ad oggetto la citata scala), ai sensi dell’art. 36 del dpr 380/2001, motivato in ragione del mancato rispetto della distanza di 10 metri di cui al DM 1444 del 1968 da calcolare tra le pareti finestrate degli edifici antistanti con riferimento a ogni punto del fabbricato.

 

La demolizione della scala

L’opera contestata - inizia la sua disamina Palazzo Spada - è una scala in cemento armato larga ml 1,40, alta mt 4,30 e posta a ml 2,90 dal confine lato sud, ad unica rampa, composta da 27 alzate di centimetri 18 ciascuna e da 26 pedate di centimetri 30, dopo le prime 5 alzate, la rampa presenta un pianerottolo di riposo di m 1,0 di profondità - subordinata, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, al previo ottenimento del permesso di costruire in quanto corpo autonomo in grado di modificare sagoma e prospetto dell’originario edificio.

Vale ricordare che la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615). Insomma: questa scala NON è una pertinenza.

Premesso ciò, l'opera non risulta essere mai stata assentita dall’Amministrazione comunale. Il manufatto assentito rappresenta infatti un corpo di fabbrica totalmente differente da quello attuale nella forma che nelle dimensioni (non è mai stata consentita la prosecuzione della scala fino al primo piano, come quella attualmente realizzata). In ragione della conclamata abusività del manufatto, l’ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato - ai sensi dell’art. 31, del dpr 380/2001 - e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi.

Distanze tra edifici: anche le scale devono rispettarle? Le regole urbanistiche

Scale e distanze tra edifici: le regole

Il Consiglio di Stato evidenzia che l'abuso contestato è, in ogni caso, anche di tipo sostanziale, per violazione delle distanze tra edifici e, secondo le risultanze della verificazione, è ragionevole affermare che la scala sia stata realizzata in data successiva al DM 1444 del 1968.

Non si può, peraltro, 'biasimare' il comune per il diniego della sanatoria, in quanto il verificatore ha accertato che l’attuale collocazione della scala risulta in contrasto con le disposizioni vigenti in materia di distanze tra gli edifici.

Per costante indirizzo giurisprudenziale, le distanze vanno misurate dalle sporgenze estreme dei fabbricati, dalle quali vanno escluse soltanto le parti ornamentali, di rifinitura ed accessorie di limitata entità e i cosiddetti sporti (cornicioni, lesene, mensole, grondaie e simili) che sono irrilevanti ai fini della determinazione dei distacchi.

Sono rilevanti, invece, anche in virtù del fatto che essi costituiscono “costruzione” le parti aggettanti (quali scale, terrazze e corpi avanzati) anche se non corrispondenti a volumi abitativi coperti, ma che estendono ed ampliano (in superficie e in volume) la consistenza del fabbricato.

Le distanze tra la scala e le pareti finestrate devono essere considerate tra lo spigolo della parete finestrata dell’edificio fronteggiante e la scala aperta, atteso che l’art. 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444, si riferisce a tutte le pareti finestrate e non soltanto a quella principale.

Nel caso di specie, le distanze sono state misurate come segue:

  • distanza di m. 2,30, dal confine del lotto privato di proprietà ... con la proprietà limitrofa sul lato sud ovest;
  • distanza di 4,70 metri dal confine con la strada “viale ...” dove è ubicato l’accesso al cortile condominiale;
  • distanza di 0,65 metri dalla parete esterna finestrata.

 

E lo Sblocca Cantieri? Niente da fare...

In ultima istanza, Palazzo Spada afferma che non sussiste la lamentata falsa applicazione dell’art.5, comma 1, lettera b-bis, del decreto-legge 32/2019 (DL SbloccaCantieri), convertito dalla legge 55/2019, il quale concede una deroga speciale alle distanze di cui sopra in alcune, specifiche zone ("le disposizioni di cui all’articolo 9, commi secondo e terzo, del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, si interpretano nel senso che i limiti di distanza tra i fabbricati ivi previsti si considerano riferiti esclusivamente alle zone di cui al primo comma, numero 3), dello stesso articolo 9").

Infatti, anche dopo l’intervento citato, in zona “B”, così come nelle altre zone (“D”, “E”, “F”), per le «nuove costruzioni», vale il limite della distanza di dieci metri (senza maggiorazioni). La norma invocata non incide infatti sul contenuto normativo dell’art. 9, comma 1, n. 2), del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, secondo cui: «Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti».

Nella specie, sussistono i presupposti per l’applicazione della predetta disposizione, considerato che:

  • i) l’attività edilizia va qualificata come ‘nuova costruzione’, in quanto la scala esterna costituisce un ampliamento dell’originaria sagoma del fabbricato che ne modifica la sagoma;
  • ii) dal certificato urbanistico presente nella documentazione raccolta dal verificatore si è potuto rilevare che l’edificio in questione ricade in zona omogenea B2/S.

In definitiva, la violazione delle distanze - acclarata - è motivazione sufficiente per il diniego della sanatoria.

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