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Autoriparazione in calcestruzzi ordinari: modellazione discreta

In questo lavoro viene presentata una proposta per la modellazione numerica del recupero in termini di resistenza meccanica, indotto dalla riparazione autogena; in particolare, vengono illustrate la formulazione teorica del modello e la sua calibrazione e validazione.

Il progetto H2020 ReSHEALience si pone un duplice obiettivo: la progettazione di un calcestruzzo ad elevata durabilità (UHDC) e la definizione di un approccio progettuale basato sulla valutazione della durabilità (DAD). Per perseguire questi obiettivi è di cruciale importanza lo sviluppo di un affidabile modello predittivo delle capacità di auto-riparazione, proprie dei materiali a base cementizia.
In questo lavoro viene presentata una proposta per la modellazione numerica del recupero in termini di resistenza meccanica, indotto dalla riparazione autogena; in particolare, vengono illustrate la formulazione teorica del modello e la sua calibrazione e validazione.
Queste ultime due fasi sono state eseguite simulando i test di fessurazione eseguiti su provini realizzati con calcestruzzo ordinario. L’approccio discreto presentato deriva dall’accoppiamento di due modelli: il modello HTC (Hygro-Thermo-Chemical), per il problema diffusivo, e il modello LDPM (Lat- tice Discrete Particle Model), per la parte meccanica.


Il contesto scientifico

Il calcestruzzo è un materiale da costruzione che, anche in condizioni di esercizio, sperimenta fessurazione. Tale aspetto lo rende maggiormente vulnerabile rispetto agli attacchi ambientali, costituendo le fessure dei percorsi preferenziali per l’ingresso di agenti aggressivi. Il risultato è un decadimento delle caratteristiche fisiche e meccaniche più rapido rispetto a quello che presenterebbe, a parità di condizioni al contorno, lo stesso materiale nello stato non fessurato.

La durabilità dei composti cementizi, dunque, è intimamente connessa alla combinazione di due variabili: il livello di danno e le caratteristiche dell’ambiente in cui sorge l’opera. Pertanto, la modellazione dell’evoluzione delle prestazioni meccaniche del calcestruzzo nel tempo non può prescindere dalla inclusione delle suddette variabili nella descrizione quantitativa del problema.

L’esigenza di realizzare costruzioni in calcestruzzo più durevoli, la necessità di sviluppare modelli predittivi per simulare le prestazioni di lungo termine del materiale, e l’urgenza di identificare approcci progettuali che considerino la durabilità come una performance discriminante, al pari di resistenza e deformabilità, costituiscono il contesto entro cui istituti universitari, centri di ricerca e partner industriali, nell’ambito del progetto Horizon 2020 ReSHEALience, hanno individuato l’obiettivo della pro- pria collaborazione. Tale obiettivo è rappresentato dalla definizione di una nuova classe di materiali ad altissima durabilità (UHDC, Ultra High Durability Concrete) e del concetto di Durability Assessment-based Design (DAD) (Di Luzio et al. 2018).

 

Calcestruzzi autoriparanti e durabilità

La capacità intrinseca dei materiali a base cementizia di autoripararsi è stata scoperta nel 1836, e da allora molti autori hanno dimostrato che il calcestruzzo dan- neggiato può esibire recupero delle proprie caratteri- stiche fisiche e, in alcuni casi, meccaniche, senza l’aggiunta di alcun additivo alla miscela costituente.

Molteplici e di diversa natura sono le cause che concorrono a determinare la chiusura autogena delle fessure nel calcestruzzo. (i) L’idratazione secondaria e (ii) la formazione di cristalli di CaCO3 lungo le pareti della fessura sono riconosciute in letteratura come le cause principali. Oltre a quelle chimiche, concorrono all’evoluzione del fenomeno anche cause di tipo: (iii) fisico (il maggiore volume occupato dalla pasta cementizia idratata), e (iv) meccanico (il deposito di particelle fini presenti in sospensione nell’acqua, la caduta di frammenti dalle pareti della fessura).

Queste ultime hanno un ruolo secondario nella cinetica del fenomeno, che invece è fortemente influenzata dalla quantità di acqua disponibile nella zona danneggiata. Altro aspetto chiave è l’ampiezza delle fessure: la richiusura spontanea è significativa per aperture fino a 50 mm, mentre tende ad essere via via di più modesta entità per quelle più ampie.

Questo fenomeno in calcestruzzi ordinari si presenta in modo piuttosto casuale, aspetto che ne rende difficile la modellazione nell’ottica di valutazione del suo impatto su progettazione e durabilità delle opere. La volontà di poter ingegnerizzare il processo ha portato, negli anni, ad investigare un grande numero di differenti tecniche che permettessero di controllarne l’evoluzione e, in alcuni casi, l’attivazione.

Tra queste ultime l’utilizzo di (1) fibre di rinforzo (Cuenca & Ferrara 2017) per limitare l’apertura di fessura, l’aggiunta nella miscela di (2) capsule o sistemi vascolari, di (3) polimeri super-assorbenti e riserve di acqua incapsulate oppure di (4) additivi (Ferrara et al. 2014, Roig-Flores et al. 2016).

La differenza tra richiusura autogena e ingegnerizzata delle fessure si sostanzia negli effetti che essa produce sul comportamento del materiale. La prima induce un recupero non trascurabile della tenuta all’acqua ma, raramente, un ristoro, anche parziale, delle caratteristiche meccaniche. Con le tecniche di ingegnerizzazione appena menzionate, invece, si ha la possibilità di registrare un significativo migliora- mento delle prestazioni anche in termini di resistenza meccanica. Queste ultime possono eguagliare, e addi- rittura superare, quelle del materiale integro.

L’interesse crescente della comunità scientifica e dei professionisti nei confronti della capacità di ripa- razione spontanea del calcestruzzo è dovuto alla volontà di accrescere la durabilità dei manufatti, in modo da ridurne la domanda ed i costi di manutenzione, e, al tempo stesso, di aumentare la sostenibilità di tali opere.

 

I riferimenti per la modellazione

La produzione scientifica disponibile in letteratura te- stimonia come l’approccio allo studio della ripara- zione spontanea dei materiali cementizi sia stato prevalentemente di tipo sperimentale. Solo di recente, infatti, si è rivolta l’attenzione alla modellazione del fenomeno, cercando di individuare un approccio, fisico e analitico, in grado di cogliere le evidenze registrate in laboratorio e di predire l’evoluzione del processo con diverse condizioni al contorno.

Hilloulin et al. (2014) hanno proposto un modello idro-chemo-meccanico basato su osservazioni alla microscala per determinare le proprietà meccaniche dei prodotti delle reazioni di riparazione in calce- struzzi ad altissime prestazioni (Ultra High Perfor- mance Concrete, UHPC).

Successivamente, gli stessi autori (Hilloulin et al. 2016) hanno pubblicato un mo- dello FEM per la caratterizzazione delle proprietà micro-meccaniche dei prodotti delle reazioni di ripara- zione, basato sull’accoppiamento del modello di idratazione alla microscala CEMHYD3D e il codice agli elementi finiti Cast3M. Nel 2015, Aliko-Benítez et al. hanno presentato lo sviluppo e l’implementazione numerica di un approccio fisico-chimico disac- coppiato.

Davies & Jefferson, nel 2017, hanno proposto un legame costitutivo per il materiale comprensivo dell’effetto dell’autoriparazione. Caggiano et al. nel 2017, invece, hanno modellato il fenomeno formulando una teoria costitutiva del tipo danno-plasticità, in cui il processo di riparazione è descritto come l’evoluzione temporale della porosità connessa della matrice cementizia.

Infine, nel 2018, Di Luzio et al. hanno utilizzato l’accoppiamento di due modelli: il primo, multi-fisico, per la descrizione dei fenomeni di trasporto e dell’effetto su di essi delle reazioni chimiche di idratazione e di quelle pozzolaniche (Hygro-Thermo-Chemical model, HTC), e il secondo, meccanico, basato sulla teoria SMM (Solidification-Micropretress-Microplane M4).

Il modello che si propone in questa memoria ha l’obiettivo di cogliere, con un approccio discreto, l’evoluzione del processo di risanamento delle fessure e il recupero meccanico da esso indotto. Il problema chimico-diffusivo viene numericamente simu- lato mediante il modello HTC (Di Luzio & Cusatis 2009a,b), mentre la risposta meccanica viene descritta con il Lattice Discrete Particle Model (Cusatis et al. 2011a,b). L’implementazione dell’effetto dell’autoriparazione sulla risposta meccanica rappresenta una sostanziale novità rispetto ai lavori pubblicati finora.

Inoltre, i risultati presentati nel seguito rappresentano una sintesi dei progressi fatti nell’ambito della modellazione discreta del calcestruzzo mediante l’utilizzo di HTC e LDPM. Per il primo, si utilizza l’architettura discreta sviluppata alla Northwestern University di Evanston (Illinois, USA) (Bousikhane et al. 2018), e il modello di maturazione proposto da Pathirage et al. nel 2018, con cui è possibile simulare l’evoluzione delle caratteristiche meccaniche del materiale, dalle prime ore dopo il getto fino alla completa maturazione.

 

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La presente memoria è tratta da Italian Concrete Days - Aprile 2021

organizzati da aicap e CTE

 

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