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Alla scoperta della variazione essenziale in edilizia: nel limbo tra difformità totale e parziale

Cassazione: la variazione essenziale costituisce una tipologia di abuso edilizio intermedia tra la difformità totale e quella parziale

Cosa sono le variazioni essenziali in edilizia? Come si configurano e quali conseguenze comportano?

Risponde ad una serie di domande sulla questione la Corte di Cassazione Penale nella sentenza 37946/2021, relativa ad un reato di cui all'art. 44 lett. b) del Testo Unico Edilizia, che aveva portato al sequestro preventivo di un cantiere edile dove era in corso di realizzazione un fabbricato, la cui costruzione avveniva in difformità dal titolo abilitativo (permesso di costruire).

 

Tra altezze e variazioni

Con il terzo motivo di ricorso, la difesa contesta il giudizio sulla configurabilità del reato, osservando che alcuna variazione essenziale era ravvisabile rispetto ai lavori assentiti, attenendo le censure ascritte all'imputato unicamente all'altezza del fabbricato e non al numero o alla consistenza dei piani realizzati.

Peraltro, il calcolo dell'altezza complessiva del fabbricato è stato compiuto dalla P.G. in modo errato, partendo dal punto più basso esterno al lotto di proprietà e non, come avrebbe dovuto essere, partendo dal piano di campagna approvato con il permesso di costruire; dunque, l'altezza attuale del fabbricato è di 7,7 mt., ovvero 8,25 rilevati meno 0,48 pari al dislivello tra il prospetto misurato e la  quota di campagna rilevata nel progetto, inferiore quindi al limite del 10% previsto dall'art. 17 comma 1 lett. d) della legge regionale n. 15 del 2008.

Di qui la conclusione secondo cui, in base agli artt. 32 del Testo Unico Edilizia e 17 della legge regionale n. 15 del 2008, l'altezza attuale del fabbricato non dà luogo a una variazione essenziale rispetto al progetto tutt'ora vigente.

 

Gli abusi contestati

La Cassazione - che alla fine respinge il ricorso - osserva che nel cantiere edile era in costruzione un fabbricato che risultava difforme dal titolo abilitativo presentato, in quanto:

  • l'altezza totale dell'edificio era infatti pari a 8,25 mt ed era quindi maggiore di quella assentita, pari a 7,25 mt., in misura superiore al 10%, configurandosi quindi una variazione essenziale ai sensi dell'art. 17 comma 1 lett. d) della legge della Regione Lazio n. 15 del 2008;
  • l'altezza totale del locale seminterrato era inoltre maggiore di quella assentita, emergendo il piano interrato fuori terra rispetto  all'estradosso del primo solaio del piano terra, comportando tali divergenze un aumento della volumetria del fabbricato maggiore di quella autorizzata.

 

Come si misura l'altezza?

Secondo la Corte, che concorda con le osservazioni Tribunale ordinarie, le misurazioni eseguite in loco dall'ingegnere del comune deputato ai controlli non potevano essere ritenute erronee, in quanto conformi all'art. 7.11 del regolamento edilizio comunale, secondo cui l'altezza di una parete esterna è la distanza verticale misurata dalla linea di terra, definita dal piano stradale o di sistemazione esterna dell'edificio, alla linea definita dal piano del terrazzo di copertura, o, per gli edifici coperti a tetto, dalla linea di gronda del tutto, dovendosi altresì tenere conto che, nel caso di immobili da realizzare su terreni in pendenza, come quello per cui si procede, collocato a un'altezza differente rispetto a quello dei lotti circostanti, l'altezza va misurata rispetto a un piano di campagna con riguardo a tutti i lati della costruzione, in modo che il valore fissato dalle norme sia rispettato in ogni punto del fabbricato, con l'ulteriore precisazione che il parametro di riferimento è pur sempre costituito dall'originario piano di campagna, cioè dal livello naturale di terreno di sedime, e non dalla quota del terreno sistemato a seguito dell'intervento edilizio o di uno sbancato a esso funzionale.

In definitiva, il locale in questione non poteva essere considerato uno spazio interrato e doveva essere computato come volume, realizzato benché non regolarmente assentito; i rilievi fotografici mostravano inoltre che erano state predisposte delle aperture nel locale interrato logicamente funzionali al posizionamento di finestre, circostanza questa da valutare unitamente all'altezza raggiunta da tale locale anche fuori terra e da cui desumere che esso fosse destinato a scopo abitativo e non a mero locale accessorio.

Alla scoperta della variazione essenziale in edilizia: nel limbo tra difformità totale e parziale

Variazioni essenziali anche per difformità parziali

Tradotto: si configuravano delle variazioni essenziali rispetto al progetto assentito con il permesso di costruire, dovendosi richiamare l'affermazione della Cassazione (Sez. 3, n. 46475 del 13/07/2017, Rv.
271172), secondo cui integra il reato ex art. 44, comma 1, lett. b), del Testo Unico Edilizia, anche la realizzazione di abusi edilizi non eseguiti in difformità "totale" o eseguiti in variazione essenziale rispetto al titolo abilitativo.

In materia urbanistica, la nozione di variazione essenziale dal permesso di costruire, ex art. 32 del dpr 380/2001, costituisce infatti una tipologia di abuso intermedia tra la  difformità totale e quella parziale, sanzionata dall'art. 44, lett. a), esistendo in particolare tre tipologie di varianti:

  1. le cd. "varianti leggere o minori", quelle che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia e sono tali da non alterare la sagoma dell'edificio (nonché rispettose delle prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire), per cui sono assoggettate alla mera denuncia di inizio dell'attività da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori;
  2. le varianti in senso proprio, consistenti in modificazioni qualitative o quantitative, seppure di consistenza non rilevante rispetto al progetto approvato (che non comportano cioè un sostanziale e radicale mutamento), le quali necessitano del rilascio del cd. "permesso in variante", complementare e accessorio rispetto all'originario permesso a costruire;
  3. le cd. "varianti essenziali", caratterizzate da "incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32", le quali sono perciò soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo e autonomo rispetto a quello originario in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante.

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