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Apertura di due finestre sulla facciata: tra ok del condominio, regole sulle distanze e autorizzazione sismica

Palazzo Spada, nell'interessante sentenza 219/2022, si occupa dell'apertura di due finestre sulla facciata di un condominio: oltre alla parte sulla normativa antisismica, di assoluto rilievo sono le considerazioni in materia di distanze tra pareti finestrate e di approvazione da parte del condominio dei lavori edilizi sopracitati.


La motivazione dei provvedimenti comunali fa riferimento a tre aspetti:

  1. mancanza dell’autorizzazione condominiale circa l’inserimento delle finestre sulla facciata, parte comune dell’edificio;
  2. mancata trasmissione del progetto all’ufficio tecnico regionale ai fini dell’autorizzazione sismica prevista dagli artt. 93 e 94 del dpr 380/2001, trattandosi di immobile ricadente in zona sismica. Sul punto, il Comune rinvia alle note del Settore Sismica della Regione Toscana in data 18 maggio e 11 giugno 2018, ove si afferma che, all’esito di sopralluogo, la preesistenza delle finestre non potrebbe dirsi dimostrata in modo palese. L’ufficio regionale, prendendo posizione sui risultati dell’indagine termografica, ne smentisce l’univocità, sostenendo che essi avrebbero dovuto essere confermati da ulteriori saggi e documentazione fotografica, da raccogliersi in ultimo al momento della demolizione della parete, a riprova e convalida di quanto inizialmente ipotizzato; e, in considerazione dei dubbi residui, conclude in via cautelativa e secondo il principio di precauzione per la necessità di una specifica progettazione antisismica, se del caso da presentare in sanatoria;
  3. inosservanza delle distanze previste dal codice civile tra le finestre e la terrazza sottostante, non contenendo la pratica edilizia alcuna indicazione al riguardo.

Secondo il TAR Toscana, che ha rigettato il ricorso, la decisione del Comune di adeguarsi alle valutazioni del Settore Sismica della Regione è stata coerente con la delicatezza dell’interesse tutelato dagli artt. 93 e 94 del Testo Unico Edilizia e tale scelta non può ritenersi viziata per essere stata omessa l’audizione del personale incaricato di eseguire l’intervento.

Il Settore Sismica della Regione Toscana aveva espresso il parere secondo cui la termografia ante intervento poteva ritenersi utile solo in fase di prima valutazione, fermo restando la necessità di ulteriori saggi e documentazione fotografica, da eseguirsi al momento della demolizione delle presunte tamponature, per confermare l’ipotesi della preesistenza. Tali ulteriori saggi e ulteriore documentazione fotografica non risultano essere stati acquisiti.

Pertanto “Anche a voler condividere, cioè, la valutazione della Soprintendenza circa l’idoneità dei risultati probabilistici dell’indagine termografica a garantire la tutela del vincolo… questo non rende illegittima la pretesa della Regione di avvalersi, al diverso fine della sicurezza antisismica dell’edificio, di un metro di giudizio più severo e di esigere che l’ipotesi avallata in prima battuta dalla termografia trovasse un successivo riscontro”.

Da qui, si arriva al Consiglio di Stato con una serie lunghissima di motivazioni (che consigliamo di leggere nella sentenza integrale).

Apertura di due finestre sulla facciata: tra ok del condominio, regole sulle distanze e autorizzazione sismica

Antisismica: perché serve l'autorizzazione

Il TAR ha affermato che, per escludere la necessità di depositare il progetto delle opere al Genio civile per le relative verifiche, sarebbero stati necessari ulteriori approfondimenti sugli esatti termini della preesistenza delle aperture (saggi e documentazione fotografica), a fronte dell’incertezza derivante dai soli rilievi termografici (ritenuti sufficienti dalla Soprintendenza al fine del nulla osta paesaggistico).

Quindi sono pertinenti i rilievi della sentenza di prime cure inerenti alla legittimità della valutazione della Regione, recepita dal Comune, che ha ritenuto di doversi avvalere, al diverso fine della sicurezza antisismica dell’edificio, di un metro di giudizio più severo di quello tenuto dalla Soprintendenza nel valutare gli interessi paesaggistici, ritenendo necessario che l’ipotesi avallata in prima battuta dalla termografia dovesse trovasse un successivo riscontro in ulteriori elementi.

Tradotto: gli esiti della termografia hanno fornito solo dei riscontri indiziari per dedurre la preesistenza delle aperture oggetto di SCIA, ma hanno lasciato un certo grado di incertezza sull’effettiva esistenza delle stesse, sull’esatta ubicazione e, sicuramente, sulle dimensioni ed di tali supposti finestre.

In definitiva, all'atto della presentazione della SCIA (successiva al rilascio del nulla osta paesaggistico) non è stato quindi compiutamente dimostrato che l’apertura (o riapertura) delle finestre non andasse ad alterare la statica originaria della struttura dell’edificio, perché le nuove finestre fossero corrispondenti (anche nelle dimensioni e ubicazione) a quelle preesistenti, al fine di sottrarre l’intervento all’obbligo di presentare un progetto al Genio civile.


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Le distanze sono state rispettate?

Fondata è invece la censura che contesta la violazione delle norme sulle distanze, fondata sull’assunto che la distanza posta dall’art. 905 c.c. risulterebbe rispettata in quanto sulla parete era già esistente una finestra ancorchè di dimensioni minori e, in ogni caso, decorso il termine per l’esercizio di poteri inibitori, soltanto l’individuazione di uno specifico interesse pubblico avrebbe potuto giustificare il ricorso all’esercizio dell’autotutela prefigurato dall’art. 21 nonies della legge 241/1990 ove vi fossero stati dei reali profili di illegittimità nella SCIA.

Il Collegio rileva come sia corretto l’assunto della sentenza gravata secondo cui la disciplina urbanistico-edilizia da osservarsi ai fini del rilascio dei titoli edilizi è ordinariamente integrata dalle disposizioni del codice civile in materia di distanze fra le costruzioni, ivi comprese quelle in materia di distanze dalle vedute, dirette non soltanto a regolare rapporti privatistici, ma anche a tutelare l’interesse pubblico a una corretta edificazione.

Nel caso di specie, tuttavia, la violazione delle distanze sarebbe verificata a causa di un aggravio di una servitù di veduta, per l’apertura delle due finestre a una distanza dalla terrazza di proprietà altrui inferiore a quella prevista dall’art. 905 c.c., in ampliamento di una già esistente apertura di dimensioni più modeste (inglobata in una delle nuove finestre).

Tale situazione è sostanzialmente inerente a una controversia di stampo privatistico sull’esercizio di servitù di veduta, venendo in rilievo più che altro interessi privati.

In questo specifico caso, pertanto, risultava assente un profilo motivazionale di tutela dell’interesse pubblico tale da giustificare l’esercizio del potere di autotutela ex art. 21-nonies della legge 241/1990.

 

Apertura finestre sulla facciata: il condominio deve sempre dare l'ok?

Infondata, infine, è la censura inerente all’assenza della necessità del consenso di condominio per l’apertura delle finestre sulla facciata dell’edificio, che secondo l’appellante non sarebbe necessaria ai sensi dell’art. 1102 del codice civile, che riconosce il diritto di ciascun proprietario della cosa comune, come viene ritenuta la facciata, di farne uso, anche per un fine esclusivamente proprio, e di realizzare interventi sulla cosa comune (per il miglior godimento della proprietà esclusiva), purché non alteri la destinazione della cosa comune e consenta il pari uso degli altri condomini.

Secondo l’appellante, poiché l’apertura di finestre sul muro comune di facciata non incide sulla destinazione del muro stesso e non impedisce, essendo le finestre aperte in corrispondenza della proprietà privata, il pari uso da parte degli altri condomini l’appellante aveva pieno “titolo” a presentare la SCIA, senza provvedersi di alcuna autorizzazione al riguardo del Condominio nella specie non richiesta.

Palazzo Spada richiama la giurisprudenza civilistica in materia di condominio (Cons. Stato, sez. VI, 17/09/2021, n.6345), secondo cui la regola generale desumibile dall'art. 1120 c.c. è nel senso che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto (sull'applicazione di tale principio al condominio degli edifici anche cfr. Corte cass., Sez. II. 8 luglio 2000 n. 8886; Cass. civ. Sez. II, 09/06/2010, n. 13874; Cass. civ. Sez. II, 19/07/2018, n. 19265).

Si tratta, riassumendo, di un principio di portata generale che "si applica anche quando l'interessato ritenga che le innovazioni sulle parti comuni non avrebbero alcuna rilevanza estetica, non essendo rimesso allo stesso considerare irrilevanti le innovazioni sotto il profilo estetico, qualora sia verificata la loro incidenza sostanziale sulla facciata dell’edificio condominiale".

Il "decoro architettonico" delle facciate costituisce, infatti, bene comune dell'edificio e pertanto ogni lavoro che su di esso sensibilmente incide, necessita dell'assenso dell'assemblea dei condomini, a prescindere dal giudizio sul risultato estetico dei lavori progettati (Cons. Stato, Sez. IV, 26 giugno 2012, n. 3772; Cass. II, 30/8/2004, n. 17398).

L’assenza del consenso dei condomini è un presupposto che il Comune deve accertare in sede istruttoria, secondo criteri di ragionevolezza, e si presenta come condizionante la legittimità del titolo abilitativo per la realizzazione delle opere.

Nel caso di specie l’intervento ha inciso indubbiamente in modo sostanziale sulla facciata dell’edificio ed è pacifico la mancanza di assenso del condominio alla realizzazione delle opere in questione, che al contrario era necessario.

LA SENTENZA INTEGRALE E' SCARICABILE IN FORMATO PDF PREVIA REGISTRAZIONE AL PORTALE


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