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Demolizione e ricostruzione su diversa area di sedime in zona vincolata, Tar Marche: è ristrutturazione edilizia

Tar Marche: nella nozione di beni vincolati per i quali è esclusa la possibilità di ricostruire su diversa area di sedime debbono essere ricompresi soltanto gli edifici ed i fabbricati sottoposti a tutela diretta in quanto riconosciuti, per legge o in forza di atto amministrativo impositivo del vincolo, dotati di particolare valore architettonico, storico o artistico.


Una ristrutturazione di fabbricati collabenti tamite loro demolizione e ricostruzione per una volumetria corrispondente a quella degli edifici da demolire con identica cubatura ma su diverse aree di sedime, situate ad una distanza di circa 300 metri dalle costruzioni preesistenti, nel rispetto ed in conformità di quanto previsto e consentito dal vigente art. 3, comma 1, let. d), del dpr 380/2001, è un intervento di ristrutturazione edilizia assentibile con permesso di costruire.

Lo ha affermato il Tar Marche nella sentenza 170/2022 dello scorso 18 marzo, che ci consente di tornare su un argomento veramente 'caldo', la demo-ricostruzione in zona vincolata in virtù non solo di quanto disposto dal DL 76/2020 (Semplificazioni), ma anche dal parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici n. 7944 dell’11 agosto 2021.

Ricordando che anche questa sentenza è passibile di ultimo ricorso al Consiglio di Stato, e che in merito all'argomento su Ingenio sono stati pubblicati svariati approfondimenti e, ne siamo certi, la querelle non finisce qui...

Demolizione e ricostruzione su diversa area di sedime in zona vincolata, Tar Marche: è ristrutturazione edilizia

L'oggetto del contendere: ristrutturazione edilizia o nuova costruzione?

Per il comune, che aveva concesso l'autorizzazione paesaggistica ma negato il permesso di costruire, tale intervento non può essere qualificato come “ristrutturazione edilizia”, dovendo invece lo stesso essere qualificato come “nuova costruzione”, visto che il richiedente prevede la traslazione degli edifici dalle attuali aree di sedime; così riqualificato, però, l’intervento non può essere assentito in quanto gli edifici da realizzare presentano una volumetria eccedente gli indici previsti dalla L.R. Marche n. 13/1990 e dall’art. 29 delle vigenti N.T.A. (il quale rimanda appunto alla L.R. n. 13).

Quindi la riqualificazione dell’intervento, secondo il Comune, discende dal fatto che:

  • i terreni su cui insistono i fabbricati oggetto di demolizione e ricostruzione ricadono in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi del d.lgs. 42/2004;
  • l’art. 3, comma 1, let. d), del T.U. n. 380/2001, nella versione vigente ratione temporis, prevede che, con riguardo ai beni immobili sottoposti a vincolo paesaggistico, la demolizione e ricostruzione è consentita solo ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche plani-volumetriche e non siano previsti incrementi di volumetria;
  • e poiché nella specie è prevista la modifica dell’area di sedime, non si è in presenza di una “ristrutturazione edilizia” ma di una “nuova costruzione”.

Da qui il ricorso al TAR: per i ricorrenti, si tratta di ristrutturazione edilizia, per il comune di nuova costruzione.

 

Il DL Semplificazioni e i chiarimenti del CSLLPP

Tra i motivi di ricorso, l'azienda ricorrente sottolinea 'parte' dalle novità introdotte dall'art.10 del DL 76/2020 all’art. 3 del T.U. Edilizia, essendo stata confermata dal legislatore la possibilità “…di realizzare interventi di ristrutturazione edilizia mediante la demolizione di fabbricati esistenti e successiva loro ricostruzione con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche volumetriche ed anche con incrementi volumetrici se consentiti dalla legislazione vigente e dagli strumenti urbanistici comunali”. Per quanto riguarda gli immobili vincolati per i quali rimane fermo l’obbligo di mantenimento in sede di ricostruzione della sagoma e dell’area di sedime, il legislatore ha precisato a titolo esemplificativo che sono ricompresi nella categoria degli immobili vincolati anche quelli ubicati nelle zone A di cui al D.M. del Ministero dei LL.PP. 2 aprile 1968, n. 1444, ossia situati nei centri storici degli abitati che, secondo il citato decreto ministeriale costituiscono “…le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico…”.

Questa indicazione è rilevante, visto che gli immobili ricadenti nelle zone A non sono ex lege sottoposti a vincolo ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004, e pertanto il fatto che, ai fini edilizi, il regime di cui al Codice dei beni culturali sia stato esteso agli immobili ubicati nei centri storici, induce a ritenere, sulla base di una corretta interpretazione logico-sistematica del quadro normativo di riferimento, che nella nozione di beni immobili vincolati per i quali è esclusa in sede di ristrutturazione con demolizione la ricostruzione su diversa area di sedime, sono da ricomprendere (oltre agli immobili ricadenti nelle zone A) solo i fabbricati e gli edifici di valore architettonico, storico, artistico e culturale sottoposti a vincolo diretto ex lege ai sensi dell’art. 10 del Codice dei beni culturale o sottoposti a tale vincolo in forza di un provvedimento amministrativo di dichiarazione di interesse culturale adottato ai sensi dell’art. 13 dello stesso Codice.

Ne deriva - sempre secondo il ricorrente - l’illegittimità del provvedimento impugnato che, in evidente elusione di quanto stabilito dall’art. 3, comma 1, let. d), del dpr 380/2001, ha di fatto negato il permesso di costruire richiesto dalla società ricorrente sul solo presupposto che gli edifici collabenti che la stessa società si propone di ricostruire su diversa area di sedime insistono su terreni assoggettati a vincolo paesaggistico, in forza di un D.M. 31 luglio 1985 che ha ricompreso in tale regime di tutela un’ampia zona di territorio comunale, nonostante gli edifici collabenti oggetto di ristrutturazione non siano interessati da alcun vincolo diretto di tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e non rivestano alcun interesse sotto l’aspetto architettonico, in quanto adibiti in passato a stalle per bovini e quindi costituenti meri accessori agricoli.

In risposta alla richiesta di chiarimenti circa la portata delle modifiche apportate dal DL 76/2020 proprio con riguardo agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e paesaggistici, peraltro, il CSLLPP aveva chiarito che il d.lgs. 42/2004 è finalizzato alla tutela e valorizzazione di due tipi di beni, ossia i beni mobili e immobili e quelli paesaggistici (immobili o aree).

Secondo il Consiglio, “…vanno quindi esclusi dall'applicazione estensiva di demolizione e ricostruzione contenuta nel nuovo art. 3, comma 1, lettera d) i beni indicati all’art. 136 del Codice dei beni culturali e quelli ricompresi nei Piani paesaggistici di cui al successivo art. 143 in quanto un’interpretazione più restrittiva porterebbe ad escludere l’applicazione estensiva dell’art. 3, comma 1, lett. d), del DPR 380/2001”. Pertanto, il Consiglio Superiore LL.PP. ritiene che nel caso di immobili privi di riconosciuto valore storico, artistico o architettonico intrinseco, il cui vincolo consiste quindi nel solo fatto di insistere su aree sottoposte a vincolo paesaggistico (Parte III del Codice), è consentito intervenire anche attraverso la demolizione e ricostruzione ex art. 3, comma 1, let. d), del D.P.R. 380/2001, e dunque anche con modifica dell’area di sedime.

Secondo il CSLLPP è evidente che “…non è possibile riferire un’attività di demolizione e ricostruzione a beni immobili tutelati ai sensi della Parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio (beni culturali), atteso che la tutela include anche la consistenza materiale del bene e che, comunque, qualsiasi intervento concernente tale tipo di beni, anche se parzialmente demolitivo e/o ricostruttivo, si qualifica come “restauro” e non come “ristrutturazione edilizia” e deve sempre essere autorizzato dalla Soprintendenza competente per territorio”. Con riferimento ai beni paesaggistici, invece, “…questi si sostanziano in immobili ed in aree indicati all’art. 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio per i quali la competenza autorizzatoria nei confronti degli interventi su tali beni ricade in capo alle Regioni, che la esercitano direttamente o per delega ai Comuni, previo parere della Soprintendenza competente per territorio”.

Sulla base di tali premesse, secondo il Consiglio, “…vanno quindi esclusi dall'applicazione estensiva di demolizione e ricostruzione contenuta nel nuovo art. 3, comma 1, lettera d) i beni indicati all’art. 136 del Codice dei beni culturali e quelli ricompresi nei Piani paesaggistici di cui al successivo art. 143 in quanto un’interpretazione più restrittiva porterebbe ad escludere l’applicazione estensiva dell’art. 3, comma 1, lett. d), del DPR 380/2001”.

Pertanto, il CSLLPP aveva ritenuto che nel caso di immobili privi di riconosciuto valore storico, artistico o architettonico intrinseco, il cui vincolo consiste quindi nel solo fatto di insistere su aree sottoposte a vincolo paesaggistico (Parte III del Codice), è consentito intervenire anche attraverso la demolizione e ricostruzione ex art. 3, comma 1, let. d), del D.P.R. 380/2001, e dunque anche con modifica dell’area di sedime.

 

E' ristrutturazione edilizia!

Tutti i motivi di cui sopra sono ritenuti corretti e condivisi dal TAR:

  1. in primo luogo, alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 3, comma 1, let. d), del dpr 380/2001, quale risulta dalle varie recenti novelle che hanno interessato il T.U. Edilizia;
  2. in secondo luogo, in ragione della ratio legis che presiede tanto alle disposizioni del d.lgs. 42/2004 quanto alle norme del T.U. Edilizia che richiamano il Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Tenendo separato il fatto che già dalla versione previgente della norma si doveva intendere che il riferimento operato dall’art. 3 del dpr 380/2001 ai beni immobili sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. 42/2004 fosse limitato ai soli beni immobili sottoposti a vincolo diretto (e questo anche per le ragioni che saranno esposte nei successivi paragrafi 7.2. e 7.3.), secondo il Tar Marche non vi è dubbio che il DL 76/2020 rende ancora più convincente tale interpretazione. I

Infatti il fatto che il “nuovo” art. 3, let. d), del T.U. Edilizia contempli tre nuove categorie di beni “vincolati” in cui ricadono senza ombra di dubbio solo singoli beni immobili (o gruppi di immobili costituenti centro storico, nucleo storico consolidato oppure ambito di particolare pregio storico e architettonico) e non anche aree tutelate dal punto di vista paesaggistico, consente di ritenere che la necessità di conservazione dell’area di sedime sussiste solo per i singoli immobili soggetti a vincolo ex d.lgs. 42/2004 oppure ex “nuovo” art. 3 del T.U. Edilizia.

 

La nozione di immobile e il senso del vincolo (sull'immobile o sull'area?)

Il Tar poi tratta il rapporto cher intercorre tra TU Edilizia e Codice del Paesaggio, finendo col citare la Cassazione Penale (sentenza n. 33043/2016) e osservando che:

  • se il legislatore del 2020 (ma il discorso vale anche per la novella del 2013) avesse voluto legificare i principi elaborati dalla Cassazione penale, sarebbe stato sufficiente scrivere che sono esclusi dalla possibilità di modifica dell’area di sedime sia gli immobili soggetti a vincolo diretto sia quelli non sottoposti a vincolo diretto ma ricadenti in aree vincolate;
  • in realtà, la formulazione della norma, anche nella versione previgente alla novella del 2020 (la quale in parte qua recitava “Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente”), si riferisce chiaramente ai singoli immobili e non anche alle aree tutelate paesaggisticamente, il che trova conferma nel fatto che, non a caso, l’art. 136 del D.Lgs. n. 42/2004 distingue in rubrica fra “immobili” (singoli o costituenti complessi organici, le cui tipologie sono specificate nelle lett. a), b) e c) e “aree” (let. d). Il fatto che nell’art. 3 si utilizzi l’espressione “immobili” (la quale, effettivamente, non coincide dal punto di vista giuridico con quella di “edifici singoli”) è dovuto alla necessità di evitare una ripetizione nell’ambito della stessa frase, per cui una volta il legislatore utilizza il termine “immobili” e un’altra volta utilizza il termine “edifici”.

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