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Ristrutturazione con ampliamento volumetrico: ok per l'edificio 'fantasma' se si dimostra la precedente esistenza

Tar Lazio: anche l'edificio che non c'è più da molto tempo può essere oggetto di un intervento di ristrutturazione edilizia e beneficiare dell'ampliamento volumetrico previsto dai vari piani casa regionali

La ricostruzione con ampliamento volumetrico di un edificio crollato per eventi bellici è assentibile con permesso di costruire anche se l'edificio non esiste più, se si dimostra l'esistenza 'precedente' dello stesso con un'adeguata "analisi storico-tecnica".

E' piuttosto singolare ma rilevante, la decisione del Tar Latina (sentenza 505 del 27 maggio scorso), che ha dato ragione a una cittadina la quale aveva chiesto l'annullamento del diniego di permesso di costruire da parte del comune in tal senso.

Ciò in virtù del fatto che era verificabile la preesistenza del manufatto, comprovata dall’attuale stato dei luoghi - muri ciechi e testimoni di attesa sulle pareti degli edifici adiacenti - e dalla presenza nell’elenco dei “beni distrutti”.

Ristrutturazione con ampliamento volumetrico: ok per l'edificio 'fantasma' se si dimostra la precedente esistenza

Il no alla ricostruzione dell'edificio distrutto

La ricorrente riportava il punto saliente del parere regionale su cui si era fondato il diniego, laddove era indicato che era indispensabile che un edificio esistesse fisicamente e fosse stato ultimato oppure che fosse presente un titolo edilizio in base al quale era possibile realizzarlo, quindi un titolo non decaduto.

Per la Regione, pertanto, gli edifici distrutti da eventi bellici dovevano considerarsi non realizzati e ultimati e non vi era un titolo in corso di efficacia”, con conseguente necessità di escludere che potessero essere oggetto dell’intervento di cui all’art. 4 l.r. 21/2009.

La ricorrente osservava in merito come, in realtà, la norma non faccia alcun riferimento alla fisica esistenza dell’immobile e come il fatto che un immobile sia ridotto allo stato di rudere non escluda che questo sia stato legittimamente edificato, essendo questo l’unico requisito esplicitamente richiesto dalla norma in questione.

 

Edificio fantasma e ricostruzione con ampliamento: cosa dicono le norme?

Il Tar Latina, per dirimere la questione, inizia osservando che l'oggetto del contendere è la corretta interpretazione del combinato disposto tra l’art. 3, comma 1, lett. d), dpr 380/01 e l’art. 4 l.r. Lazio n. 21/2009, richiamando letteralmente le norme ed evidenziando che la l.r. n. 21/2009, secondo la definizione del relativo art. 1, è essenzialmente volta al recupero del patrimonio edilizio, proprio ai fini di riqualificazione e promozione urbana e a tale fine denominata “Piano Casa”.

L’ambito di applicazione è illustrato nel successivo art. 2, comma 1, secondo il quale “Le disposizioni del presente capo si applicano agli interventi di ampliamento, di ristrutturazione, di nuova costruzione e di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione degli edifici di cui agli articoli 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 4, e 5 per i quali, alla data del 31 dicembre 2013, sussista, alternativamente, una delle seguenti condizioni:a) siano edifici legittimamente realizzati ed ultimati come definiti dall'articolo 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e successive modifiche ovvero, se non ultimati, abbiano ottenuto il titolo abilitativo edilizio; b) siano edifici ultimati per i quali sia stato rilasciato il titolo edilizio in sanatoria ovvero intervenga l’attestazione di avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia in sanatoria con le modalità di cui all’articolo 6 della legge regionale 8 novembre 2004, n. 12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi) e successive modifiche”.

Le ipotesi di esclusione dall’applicazione della norma sono elencate nei commi 2 e 3, mentre il comma 5 del medesimo art. 2 precisa che “Al fine di attuare la presente legge la consistenza edilizia degli edifici esistenti in termini di superficie o di volume è costituita dai parametri edilizi posti a base del titolo abilitativo; i medesimi parametri devono essere utilizzati per il calcolo della premialità consentita negli articoli 3, 3 bis, 3 ter e 4, mentre il titolo abilitativo di cui all’articolo 6 viene rilasciato in base ai parametri previsti dagli strumenti urbanistici vigenti.”

 

Ristrutturazione edilizia pesante e fisica esistenza dell'immobile

Sulla base del dettato normativo, secondo l’osservazione di parte ricorrente, non si rinviene un esplicito riferimento alla necessità di una fisica esistenza dell’immobile oggetto della “sostituzione edilizia” in questione, anche perché palesemente illogica sarebbe la previsione di possibilità di recupero di un immobile assentito ma non ultimato senza che di tale ultimazione si sia data una definizione, se di “rustico” o solo corrispondente all’avvio dei lavori nei termini, agli scavi preliminari o quant’altro.

Proprio la “ratio” della norma rivolta a un “Piano Casa” per gli scopi di cui al richiamato art. 1 l.r. cit. fa propendere l’interprete per l’adeguatezza della definizione di cui alla “ristrutturazione edilizia” c.d. “pesante”, di cui all’art. 3, comma 1, lett. d) nel testo da ultimo vigente, secondo la definizione della giurisprudenza più aggiornata, secondo la quale, connaturata a tale ristrutturazione, è la riqualificazione del patrimonio edilizio senza ulteriore consumo di suolo, sussumibile nel concetto di ripristino di edifici di cui sia percepibile l’esistenza almeno come “rudere” o con la presenza di resti attestanti la passata presenza dell’edificio e comportanti un impegno di suolo ancora in essere, a prescindere dalla loro capacità di rilevare la consistenza originaria dell’immobile (TAR Toscana, Sez. III, 26.5.20, n. 631).

Il TAR, pertanto, ritiene di condividere l’interpretazione ancor più recente della giurisprudenza (TAR Campania, Na, Sez. II, 10.1.22, n. 171), secondo la quale la nozione di “ristrutturazione”, vincolante anche per il legislatore regionale, accanto alla originaria e primigenia matrice meramente conservativa (intesa come insieme sistematico di opere sull'esistente volta alla formazione di un corpo edilizio strutturalmente e funzionalmente innovativo), ricomprende al suo interno interventi ben più radicali, quali il ripristino di edifici demoliti o crollati e la demolizione-ricostruzione, i quali devono in generale mantenersi rispettosi unicamente del “volume preesistente”, potendo modificarsi in sede di intervento tutti gli altri elementi identificativi dell’immobile precedente: sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche in aree non urbane o vincolate.

Il legislatore ha espressamente equiparato all’intervento di contestuale demolizione e ricostruzione proprio quello di “ripristino di edifici crollati o demoliti”, accomunati dalla medesima finalità di contenimento del consumo di suolo.

 

La demo-ricostruzione è equiparabile a ripristino di edificio crollato/demolito

Del resto, l’indirizzo tradizionale, secondo cui per aversi ristrutturazione edilizia sarebbe comunque necessaria la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un fabbricato dotato di quelle componenti essenziali - murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura - idonee come tali ad assicurargli un minimo di consistenza (così da determinare lo scorrimento nella diversa categoria delle “nuove costruzioni” degli interventi di ricostruzione di “ruderi”, vale a dire residui edilizi inidonei a identificare i connotati essenziali dell'edificio), sembra destinato al superamento, alla luce della inequivocabile equiparazione normativa tra “demolizione e ricostruzione” e “ripristino di edifici crollati e demoliti”, ovviamente purché anche di questi sia rinvenibile traccia ed accertabile l’originaria consistenza con un'indagine tecnica.

Come sostiene la ricorrente, pertanto, il concetto di ristrutturazione è stato ritenuto applicabile anche all’edificio che non esiste più, di cui però la consistenza originaria si può ricostruire con un’indagine tecnica.

Nel caso di specie non risulta che il diniego si sia fondato sull’impossibilità di una ricostruzione della consistenza originaria, che ben potrebbe essere attivata, data la presenza di muri ciechi e testimoni di attesa sulle pareti degli edifici adiacenti, non contestata dal Comune, e sulla quale potrebbe calcolarsi la cubatura originaria.

In definitiva, è ben possibile interpretare, quindi, in “combinato disposto” la norma di cui all’art. 3, lett. d), cit. con gli artt. 2 e 4 del c.d. “Piano Casa” della Regione Lazio, dato che l’art. 2, comma 1, prevede proprio che “Le disposizioni del presente capo si applicano agli interventi di ampliamento, di ristrutturazione, di nuova costruzione e di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione degli edifici di cui agli articoli 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 4, e 5…”.

Le condizioni di tale applicazione sono illustrate nello stesso comma 1, il quale non prevede la “fisica esistenza” ma solo l’ultimazione o l’esistenza del titolo anche se l’immobile non risulta ultimato, da intendersi nel senso già descritto.

Pertanto:

  • essendo l’immobile demolito da eventi bellici, deve dedursi che lo stesso non necessitava di assenso in quanto anteriore al 1967 e che è ricostruibile nella sua consistenza con adeguata analisi storico-tecnica;
  • il concetto di “sostituzione edilizia” di cui all’art. 4 l.r. n. 21/2009 ben può integrarsi con quello di “ristrutturazione” di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. n. 380/01 e il ricorso merita accoglimento.

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