Cassazione: i condomini interessati possono installare a proprie spese e senza l’autorizzazione assembleare l’impianto di ascensore nell’edificio che non ce l'ha, anche se questo non rispetta le misure minime previste dalla normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche.
I condomini hanno il diritto di installare, a proprie spese nel condominio sprovvistone, un ascensore anche senza l'autorizzazione dell'assemblea e anche se l'ascensore non rispetta 'alla lettera' le misure in materia di normativa per l'abbattimento delle barriere architettoniche.
Il principio, piuttosto rilevante, è contenuto nell'ordinanza 19087/2022 dello scorso 14 giugno della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso di alcuni condomini contro un ascensore installato in condominio, appunto, senza delibera assembleare e non rispettoso delle misure normative di riferimento.
Secondo i ricorrenti, l'edificio difettava di uno spazio idoneo ad alloggiare l'ascensore all'interno del vano scala, poiché non vi era la tromba delle scale.
Inoltre, a fronte di una larghezza delle scale di ml. 1,20, ne sarebbe stata impedita per legge la riduzione, che si intendeva effettuare mediante taglio parziale dei gradini, ai fini dell'alloggiamento del vano ascensore.
Anche la cabina dell'ascensore doveva avere una profondità minima di ml. 1,20 e una larghezza minima di ml. 0,80, ai sensi della legge n. 13/1989 e del d.m. n. 236/1989, dimensioni che non sarebbero state rispettate dall'opera installanda.
Infine, l'installazione dell'ascensore avrebbe gravemente compromesso l'uso delle scale e della cabina ad un condomino, in ragione della sua grossa corporatura.
Per la Cassazione, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, qualora un esborso relativo ad innovazioni non debba essere ripartito fra i condòmini, per essere stato assunto interamente a proprio carico da uno di essi, trova applicazione la disposizione generale dell'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, in forza della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune - purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condòmini di farne uguale uso, secondo il loro diritto - e può, perciò, apportare alla stessa, a proprie spese, le modificazioni necessarie a consentirne il migliore godimento (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 16815 del 24/05/2022; Sez. 2, Sentenza n. 4439 del 20/02/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 31462 del 05/12/2018; Sez. 2, Sentenza n. 1529 del 11/02/2000).
Nella specie, in applicazione di detto principio, la decisione d'appello ha ritenuto che l'installazione dell'ascensore sulle parti comuni, a loro spese, sia legittima ex art. 1102 c.c., non ricorrendo una limitazione della proprietà degli altri condòmini, incompatibile con la realizzazione dell'opera.
Per le stesse ragioni è legittima la delibera dell'assemblea di condominio che, con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, quinto comma, c.c. (ante novella di cui alla legge n. 220/2012), richiamato
dall'art. 1120, deliberi l'installazione di un ascensore nel vano scala condominiale a cura e spese di alcuni condòmini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri condòmini di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi di tale innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera, ed ove risulti che dalla stessa non derivi, sotto il profilo del minor godimento delle cose comuni, alcun pregiudizio a ciascun condomino ai sensi dell'art. 1120, secondo comma, c.c. (sempre ante novella), non dovendo necessariamente derivare dall'innovazione un vantaggio compensativo per il condomino dissenziente (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 18147 del 26/07/2013; Sez. 2, Sentenza n. 20902 del 08/10/2010; Sez. 2, Sentenza n. 1529 del 11/02/2000).
Allorché l'installazione di un ascensore su area comune sia funzionale allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche (o comunque di agevolare l'accesso alle proprie abitazioni, specie se poste ai piani alti, evitando di affrontare le scale) - evidenzia la Corte suprema - occorre tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche (o comunque delle persone che hanno difficoltà ad affrontare le rampe), trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all'intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione.
Infatti, l'interesse all'installazione, nonostante il dissenso di alcuni condòmini, dell'impianto di ascensore è funzionale al perseguimento di finalità non limitabili alla sola tutela delle persone versanti in condizioni di minorazione fisica, ma individuabili anche nell'esigenza di migliorare la fruibilità dei piani alti dell'edificio da parte dei rispettivi utenti, apportando una innovazione che, senza rendere talune parti comuni dello stabile del tutto o in misura rilevante inservibili all'uso o al godimento degli altri condòmini, faciliti l'accesso delle persone a tali unità abitative, in particolare di quelle meno giovani.
Detto contemperamento è stato espressamente effettuato dalla Corte territoriale, che, all'esito del bilanciamento tra utilità e svantaggi di due esigenze non conciliabili, ha dato argomentata preferenza all'installazione dell'ascensore.
Ancora: in tema di condominio negli edifici, nell'identificazione del limite all'immutazione della cosa comune, disciplinato dall'art. 1120, secondo comma, c.c. (dopo la novella art. 1120, ultimo comma, c.c.), il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione - coessenziale al concetto di innovazione -, ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis, secondo la sua naturale fruibilità; si può tener conto di specificità - che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino - solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7028 del 12/03/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 21342 del 29/08/2018; Sez. 2, Sentenza n. 12930 del 24/07/2012; Sez. 2, Sentenza n. 15308 del 12/07/2011).
Quindi:
Infine, si affronta la questione della violazione e falsa applicazione della legge n.13/1989 e del DM 236/1989, per non avere la Corte di merito considerato che l'installando ascensore non avesse i requisiti di legge, così come la scala residua, rispetto alla larghezza minima prescritta.
Le prescrizioni di cui alla legge n. 13/1989 e al decreto attuativo n. 236/1989 si applicano, conformemente al principio di irretroattività fissato dall'art. 11, primo comma, delle preleggi, ai soli edifici realizzati successivamente all'entrata in vigore della legge o agli edifici preesistenti la cui integrale ristrutturazione sia successiva.
Nella specie l'edificio è stato realizzato nell'anno 1960 e in ogni caso, quand'anche tali prescrizioni tecniche si applicassero agli edifici preesistenti, esse sono comunque derogabili, seppure entro i ristretti limiti consentiti.
Infatti, in tema di accessibilità degli edifici e di eliminazione delle barriere architettoniche, le prescrizioni tecniche dettate dall'art. 8 del d.m. n. 236/1989, in ordine alla larghezza minima delle rampe delle scale
(indicata nella misura di m. 1,20), possono essere derogate mediante scrittura privata, poiché l'art. 7 del medesimo d.m. consente, in sede di progetto, di adottare soluzioni alternative alle suddette specificazioni e soluzioni tecniche, purché rispondenti alle esigenze sottintese dai criteri di progettazione (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2050 del 24/01/2019; Sez.
6-2, Ordinanza n. 18147 del 26/07/2013).
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