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Tra fatica e piacere: lavorare con le emozioni

CAPIRE O SENTIRE? Le emozioni sono un motore fondamentale del nostro essere umani.

 "Non è perché le cose sono difficili che non osiamo farle, è perché non osiamo farle che diventano difficili" Seneca

CAPIRE O SENTIRE? Le emozioni sono un motore fondamentale del nostro essere umani. Non piace troppo agli studiosi di neuroscienze distinguere il razionale dall’emozionale, dire dove inizia l’uno e termina l’altro o dove siamo influenzati da cultura o natura. Cartesio definisce che solo il razionale è reale, i Manichei (IV sec.D.C.) separano il corpo dallo spirito nonostante un passato di filosofi che considerava la persona frutto di mens et animus. Separare non porta a nulla, molti psicologi pensano invece all’umano come ad un bi-turbo. Per funzionare al meglio dobbiamo usare questa straordinaria dotazione. Uso volutamente l’automotive perché ci aiuta a scoprirne in modo grafico cosa determina la direzione, velocità, limiti insiti nelle stesse leggi della natura. Tutti abbiamo fatto l’esperienza di “piacere e godimento”: svolgendo un’attività lavorativa che riempia mente, cuore e spirito. Spesso si parla di head, gut and feeling: dove head è il sapere, gut è sentire e feeling è sperimentare a livello psichico qualcosa, con tutto il nostro essere. Vorremmo prolungare quel momento per ore, e non solo per qualche minuto. Il bambino funziona esattamente cosi quando il piacere del gioco ma anche la difficoltà di impararne le regole ed il funzionamento, arrivano ad un alto livello di attenzione e di focalizzazione: è sempre più coinvolto, concentrato, ipnotizzato. Il bambino “ragiona e sente” insieme, è incredibilmente fuso con i suoi bisogni fisici e psichici e vive in una bolla di godimento che è funzionale alla sua crescita. Perché non dovrebbe valere lo stesso per noi adulti, cresciuti in bisogni di autosussistenza, di riconoscimento, di autorealizzazione? Come mai perdiamo il contatto con sensazioni, influenzati più dai nostri schemi mentali? Come mai perdiamo il contatto con la nostra parte istintuale, con quell’intelligenza posizionata dietro l’ombelico, che ci fa dire se una cosa è buona o meno?

LA MOTIV-AZIONE A differenza del passato, si tende oggi a vedere più unite nel comportamento la dimensione motivazionale e quella emozionale. Si può dire che motivazione ed emozione rappresentano due processi fra loro correlati, interpolati: due facce della stessa medaglia. Lo studio della motivazione consente di indagare soprattutto il senso e la finalità di un dato comportamento attivato per il conseguimento di uno specifico obiettivo. Perché scegliere di leggere ad esempio un articolo sulla leadership, e non un articolo tecnico sulla composizione chimica del calcestruzzo? Lo studio delle emozioni permette un'analisi di come una persona reagisce, come avvengono cambiamenti a livello fisiologico, espressivo e del vissuto soggettivo quando raggiunge lo scopo delle cose che realizza. Tradizionalmente la motivazione era considerata come una "eccitazione organizzata" dell'organismo finalizzata alla realizzazione di un determinato scopo, mentre l'emotività era considerata, a torto, come una "eccitazione disorganizzata", un’attività cioè, non funzionale ad una particolare strategia. Sentire troppo frena, ingombra, distoglie dal raggiungimento di uno scopo. Questa differenziazione tra motivazione ed emozione rifletteva la sostanziale "irrazionalità" per lungo tempo attribuita al comportamento emotivo. L'emozione è stata spesso vista nelle sue caratterizzazioni più intense e traumatiche. Ne è stato sottolineato l’aspetto perturbante, come un fenomeno disfunzionale della persona, considerata a lungo come una sorta di corpo estraneo che irrompe nell'organismo e interferisce con la capacità di valutare con chiarezza gli eventi e di seguire un piano razionale per il conseguimento di obiettivi e risultati professionali. Le emozioni invece sono di enorme aiuto per l’adattamento e il cambiamento. Noi sappiamo che esistono emozioni che ci accompagnano ogni momento della vita quotidiana, ci aiutano a rispondere alle sollecitazioni legate al lavoro, alle performance, le stimolazioni ricevute dall’ambiente: ci incoraggiano nel perseguire gli obiettivi che vogliamo realizzare, ci aiutano a mettere in atto strategie più mirate e funzionali per evitare di annoiarci, di metterci in ansia eccessiva, di sentirci apatici. Quando la psicologia studia la motivazione si chiede: che cosa fa sì che una persona intraprenda una determinata azione? Che cosa mantiene persistente e resiliente il comportamento di quella persona? Che cosa determina la direzione e la finalità di quel comportamento? In altre parole si può dire che un soggetto persegue un certo obiettivo (direzione) con una certa intensità, una certa forza e, persiste in esso per un tempo più o meno lungo (durata). Ma la persona “va verso qualcosa” o “viene attratto da qualcosa” ? Va verso, se sono comportamenti legati ai bisogni primari come fame e sete; viene attratto da, se gli obiettivi muovono a comportamenti complessi, come il traguardo per una medaglia alle Olimpiadi o la negoziazione di un affare. Naturalmente nel tentativo di spiegare cosa sia la motivazione, occorre tener conto delle attitudini dell'individuo e delle sue scelte, relativamente stabili nel tempo. L’individuo organizza in modo pressoché stabile una sua costellazione di obiettivi/scopi, che caratterizzano tutta la sua esperienza. Il motivo è l’insieme dei tratti motivazionali caratteristici del singolo individuo, la motivazione è il momento concreto in cui il comportamento si attiva per il raggiungimento dell’obiettivo. Quindi le preferenze individuali relativamente costanti nel tempo sono chiamate motivi; la forza di attrazione inerente oggetti (obiettivi) perseguiti, che guida il comportamento, dipende dalle preferenze di valutazione (motivi) del singolo individuo.