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BID - Business Improvement Districts: gli architetti ne parlano sul loro organo ufficiale

I BID non sono altro che degli accordi di intervento territoriale, finanziati attraverso una tassa, votata mediante referendum dalle attività economiche e dai proprietari immobiliari di un “distretto” urbano, allo scopo di intervento locale e specificamente per il miglioramento dei servizi pubblici.

Su l’Architetto, la rivista del CNAPPC, un interessante articolo a firma di Giovanni Semi sui BID’s - Business Improvement Districts.

I BID non sono altro che degli accordi di intervento territoriale, finanziati attraverso una tassa, votata mediante referendum dalle attività economiche e dai proprietari immobiliari di un “distretto” urbano, allo scopo di intervento locale e specificamente per il miglioramento dei servizi pubblici.

Nascono, come molte esperienze urbane, negli Stati Uniti per sostenere il processo di rivitalizzazione delle aree centrali delle città, sulla base dell’esperienza canadese che aveva testato una forma di “autogestione” denominata Business Improvement Area - BIA.

Fondamentalmente si tratta di una iniziativa promossa da un gruppo di imprese e proprietari immobiliari di una delimitata area urbana con l’obiettivo di offrire servizi come il mantenimento costante della pulizia stradale, la sicurezza, e la raccolta dei rifiuti, e non solo: anche iniziative di animazione e promozione per valorizzare l’area stessa.

Si tratta di iniziative promosse da soggetti privati che, per poter operare, devono ottenere un riconoscimento formale da parte dell’Ente pubblico locale sulla base di criteri e requisiti dettati dalla normativa vigente, tra cui il consenso all’iniziativa da parte della maggioranza, assoluta o qualificata. secondo gli Stati, degli operatori privati interessati.

Dal punto di vista societario i BID possono assumere la forma di un’associazione senza scopo di lucro, di una partnership pubblico/privata o di una agenzia pubblica. Tale scelta è legata al prevalere di servizi di tipo privatistico e commerciale rispetto a quelli di carattere pubblico e alle possibilità contributive dei privati coinvolti.

Dal punto di vista organizzativo i BID sono guidati da un comitato direttivo composto da una rappresentanza sia degli operatori coinvolti sia dell’Ente pubblico locale e da una struttura operativa denominata BID management. Le fonti di finanziamento del BID sono rappresentate dai contributi versati dagli operatori e da contributi aggiuntivi,costituiti da tasse locali, che possono essere fissati per lo sviluppo dei programmi di intervento. Tali contributi aggiuntivi vengono raccolti dall’Ente pubblico locale e trasferiti ai BID sulla base delle finalità concordate. Per quanto riguarda la durata dei BID è prevista una verifica ogni 5 anni sull’opportunità di proseguire l’attività.

In Europa a partire dal 2003, oltre 60 BID’s sono stati creati in Inghilterra, in Galles, in Scozia e in Irlanda. La maggior parte degli UKBID è adesso nei centri urbani, tuttavia il principio è stato usato in altri aree di tipo industriale di considerevole interesse.

Giovanni Semi approfondisce questi tipologie di interventi che rientrano nell’ambito della collaborazione pubblico-privato, ricordando gli esempi di Union Square, a Bryant Park o nella stazione di Grand Central.

Il caso Union Square in particolare, di cui si può leggere un’interessante disamina nel libro di Sharon Zukin, L’Altra New York (edito dal Mulino nel 2013).

Semi ricorda l’importanza storica che la piazza di Union Square ha avuto per Manhattan “La storia di questo spazio pubblico è segnata dall’importanza che lo ha sempre contraddistinto come luogo di raduno per manifestazioni politiche e dalla sua “natura” aperta e democratica. Al tempo stesso, ha seguito le sorti della Grande Mela sia nelle fasi di crescita che in quelle di degrado ed è proprio in quest’ultima fase, quella della crisi fiscale e sociale di New York tra la seconda metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, che Union Square subisce un disfacimento senza precedenti, diventando un luogo segnato principalmente da spaccio e consumo di sostanze stupefacenti e da tutte le attività predatorie che sono collegate al mondo della droga, con il conseguente crollo dei valori immobiliari, la fuga delle attività e degli investitori.”

Il BID di Union Square parte nel 1984 e “gli interventi dei membri del BID saranno diversi: oltre a dotare la piazza di un proprio servizio di pulizia e di polizia (è vietato fumare all’interno del piccolo parco, ad esempio), verranno creati un parco giochi, si darà sostengo al celebre farmer’s market locale già presente in piazza, si ospiteranno eventi artistici di natura diversa e verrà inaugurata una politica di affitto selettivo ad alcuni spazi commerciali, primo fra tutti il supermercato alimentare di gamma alta Whole Foods o la libreria Barnes & Noble.”

Si tratta di progetti che possono portare a innegabili vantaggi locali, a un effetto di stimolo per altre aree e operatori “a sud della 14ma strada hanno portato avanti due università private, la New York University e la New School, nel riqualificare l’area compresa tra Washington Square e, appunto, Union Square con lo stesso identico modus operandi e cioè rilevando interi isolati e aumentando la propria visibilità pubblica anche attraverso opere architettoniche di pregio.” ma che ha anche dei rischi.

Semi ne evidenzia alcuni “il caso di Bryant Park e del suo BID è in questo senso esemplare, questa gestione privata di uno spazio pubblico ha comportato diverse scelte poco democratiche: le popolazioni di homeless locali sono state allontanate e molti artisti di strada hanno visto la propria libertà di espressione seriamente compromessa.”

Consigliamo vivamente la lettura dell’articolo, che si trova a questo LINK http://www.larchitetto.it/magazine/dicembre-2014/rubriche/gli-altri-mestieri.-punti-di-vista-paralleli.html anche perché è un ulteriore strumento di riflessione in un momento in cui il tema della rigenerazione urbana è così forte.

Ricordiamo che siamo a un anno dal cosiddetto progetto G124, il cosiddetto piano per il rammendo delle periferie di Renzo Piano. Come si ricorderà, Piano ha deciso di impiegare l’indennità di senatore a vita per costruire un gruppo di lavoro dedicato all’individuazione di possibili composto da 6 architetti Michele Bondanelli 40 anni, Roberto Giuliano Corbia 30 anni, Francesco Lorenzi 29 anni, Roberta Pastore 33 anni, Federica Ravazzi, 29 anni, Eloisa Susanna 33 anni, e coordinati da tre tutor – gli architetti Massimo Alvisi, Mario Cucinella, Maurizio Milan.

È questa la nuova Urbanistica, fortemente intrisa di tre caratteristiche fondamentali: la rigenerazione della città, l’uso delle nuove tecnologie e la forte attenzione ai temi sociali.