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Smart and Ethic Cities

la pianificazione dei territori e delle città secondo principi di sostenibilità e eticità

 Accelerare la formazione di comunità etiche e di nuovi modelli di pianificazione

 
Come sappiamo non c’è quotidiano, rivista o pubblicazione più o meno scientifica, che in questi tempi, non ponga le medesime domande: come pianificheremo i territori e le città del futuro? Con quali strumenti? Come possiamo far evolvere le attuali sperimentazioni in un condiviso ed impiegato (da tutte le amministrazioni pubbliche) smart planning?
 
Come ci ricorda Renzo Piano “Il tema della socialità è centrale nelle politiche centrate sulle “smart communities”: il legame esistente tra gli aspetti sociali e l’assetto urbanistico delle città, impone che la sperimentazione di nuovi modelli di mobilità o di organizzazione del lavoro, debba essere accompagnata da una riflessione sulla riqualificazione delle periferie o più in generale da una idea per una città del futuro.”
 
Quindi avere un’idea della città che vogliamo, dei valori che auspichiamo siano il nuovo “cemento” delle comunità, di ciò che riteniamo etico e sostenibile. Quindi immaginare una “smart and ethic city”. Questo concetto è il cardine sul quale sono ruotati i contributi all’interno di una giornata di lavoro svoltasi a Faenza il 19 di marzo.
 
 
SMART AND ETHIC CITY è la prima sessione di un ciclo di conferenze “Altre risorse urbane” dedicato alla città contemporanea e alle sue potenzialità inespresse. La finalità dell'iniziativa è stata quella di favorire un dibattito sulle più interessanti ed innovative esperienze di trasformazione urbana, capaci di concretizzare temi di attualità come ad esempio la partecipazione attiva ed il paradigma delle Smart City. Questo perché si ritiene di fondamentale importanza importante, dopo tante aperture culturali, individuare azioni concrete e concretizzabili in tempi ristretti nelle nostre realtà sia urbane che non. Proposte realizzabili “dal giorno dopo”.
 
L’impegno profuso durante la giornata di lavoro da parte del Dipartimento di Architettura di Ferrara (Gabriele Lelli) così come quello costante dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (Presidente Silvia Viviani) hanno contribuito a proporre una definizione per la Smart City come idea di strategia urbana globale dal valore della città “dialogante” urbana alla sua struttura concreta trasformata in paesaggio urbano. In un contesto di profonda di innovazione e contestualmente alla riforma urbanistica, un’occasione forse irripetibile per costruire modelli applicabili per generare una nuova competitività dei territori italiani
 
Ma in questo contesto di trasformazione, e superamento, del mondo novecentesco uno degli aspetti che maggiormente sta influenzando la nostra società, come la stessa disciplina urbanistica, è la progressiva smaterializzazione del concetto stesso di limite, di confine. L’affrancarsi da una eredità che ha formalizzato, anche da un punto amministrativo, spazio (vocazioni d’uso) e tempo (tempo personale: otto ore per tre) in una dimensione intimamente fordista, all’interno della quale la velocità (delle persone e delle cose) ha assunto un valore economico.
 
La comunità ri-diventa soggetto, attraverso un approccio “community-based”. La vera rivoluzione smart è mettere al centro le persone e le comunità, utilizzando l’internet delle cose in funzione dei bisogni umani
 
La città pubblica non potrà (dovrà) essere intesa unicamente come la città del pubblico: non è la città dove gli enti pubblici monopolizzano le attività e occupano gli spazi. È la città dove l’amministrazione si fa promotrice della crescita (o della decrescita laddove necessaria) virtuosa, agendo come facilitatore e generatore di opportunità, attivando le risorse che già esistono nel territorio: stakeholder economici, associazioni professionali e di volontariato, scuole e enti di ricerca, cittadini.
 
La città pubblica è la città della responsabilità sociale in uno spazio economico, affinché la responsabilità sociale si possa tradurre in impegni concreti per la visione di bene comune. Quindi è necessario considerare le vie attraverso le quali queste tecnologie possono influire sulle decisioni relative all’uso del suolo urbano, alla mobilità e al governo locale.
 
Se volgiamo una sorta di impronta etica dello “smartness” capace di rappresentare il costo del “non cambiamento” e quindi dell’incapacità di comprendere i fenomeni, gli scenari di cambiamento sociale non governato, possibili impatti e diseconomie. Accelerare significa approntare strumenti capaci di mettere a sistema e valorizzare conoscenze, esperienze, metodologie, sistemi organizzativi e gestionali innovativi e, in generale, buone pratiche. Attraverso lo strumento dello smart planning.
 
Promuovere quindi una azione fortemente partecipativa che porti anche alla rimodulazione anche del sistema di welfare locale vero vulnus della contemporanea società europea. Investire sulla pianificazione urbano-sociale significa preparare le condizioni fisiche per permettere alla città di esprimere appieno il proprio potenziale di comunità. 
 
Quanto più saremo capaci di tessere relazioni positive, finanche strumentali (ossia tese a portare vantaggi economici alle singole persone attraverso i principi della cosiddetta “sharing economy” o economia della condivisione), che porteranno i cittadini a tessere tra loro positive relazioni di prossimità, tanto più produrremo collaborazione, comportamenti virtuosi, cittadinanza attiva, forme contemporanee di cooperazione come la sharing economy (si traduce con “economia della condivisione”).
 
Si tratta, in sintesi di costruire “acceleratori” smart. Da questo punto di vista lo smart planning è sostanzialmente un acceleratore di comunità che interagisce con fattori predisponenti la creazione di valore economico e di nuovi servizi, così come con fattori atti a favorire l’accelerazione di pratiche virtuose e di cittadinanza attiva, anche attraverso l’utilizzo di crediti etici.
 
Occorre fare in modo, però, che il valore economico generato grazie alle politiche di facilitazione e di coinvolgimento della società superi di gran lunga il valore finanziario scambiato. Una tale rivoluzione sarebbe senz’altro perfetta per liberare nuove forze e dovrebbe inoltre basarsi o completarsi con strumenti avanzati di premialità strettamente collegate a comportamenti virtuosi, etici e sostenibili. I cittadini potrebbero poi utilizzare i crediti etici guadagnati nella compartecipazione alla produzione dei servizi, su scala locale, oppure utilizzarli per pagare le tasse al proprio comune di rifermento, o ancora un effettivo cash back da utilizzare in proprio.
 
Non rappresenta dunque un’enorme possibilità inespressa quella di favorire la comparsa di nuovi attori economici cooperativi e collaborativi atti a produrre questo tipo di nuovi servizi su scala locale? Magari applicando i principi del premio Nobel Elinor Ostrom.