Restauro e Conservazione
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Edifici storici: il ruolo del progettista nel restauro strutturale

intervista all’ing. Marco Bartoloni, Presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Firenze sul ruolo del progettista nel restauro strutturale

Quali competenze deve avere oggi il progettista che si appresta a ristrutturare edifici di valore storico–culturale? Quali normative deve seguire? Quali tecnologie a disposizione?... A rispondere a queste ed altre domande l’ing. Marco Bartoloni, Presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Firenze.

1 - Quando si deve operare per il miglioramento strutturale di edifici che si connotano per il loro valore storico le problematiche diventano più complesse, e non solo dal punto di vista del calcolo. A cominciare proprio dalla tutela del patrimonio culturale. Come viene considerato il progettista strutturale dalle sovrintendenze, che tipo di collaborazione si crea ?
E’ indubbio che l’edificio monumentale presuppone un approccio progettuale diverso dall’edificio esistente ordinario, sia per le sue prerogative architettoniche e storiche che per i vincoli che necessariamente condizionano scelte progettuali e modalità di intervento.
Non a caso le stesse NTC 2008, per i beni di interesse culturale, limitano la tipologia di intervento al miglioramento sismico escludendo l’adeguamento (ultimo comma cap. 8.4). Devo dire per altro che tale dizione ha creato in passato interpretazioni contrapposte fra gli addetti ai lavori, ed in particolare fra chi sostiene che ciò implichi che non sia possibile effettuare, su tale tipologia di edifici, interventi riconducibili al punto 8.4.1 (che definisce l’intervento di adeguamento) e chi invece sostiene che gli interventi previsti al suddetto punto delle NTC 2008 sono ammissibili su immobili monumentali ma che il livello di sicurezza richiesto è quello del miglioramento (incremento della sicurezza dell’organismo strutturale senza raggiungere necessariamente i livelli richiesti dalla norma) e non quello dell’adeguamento (conseguire il livello di sicurezza previsto dalla norma).
Ritengo che la interpretazione più corretta sia la prima, anche in quell’ottica di tutela e conservazione del bene che assume valenza prioritaria quando ci si confronta con l’edificio monumentale. Concetto ribadito anche nella Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 Febbraio 2011 “Valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle Norme Tecniche per le Costruzioni dei cui al D.M. 14/1/2008” e che costituisce lo specifico riferimento normativo per operare sul patrimonio culturale e da cui si evince chiaramente la specificità di tali manufatti.
Devo dire che la conoscenza di tale Direttiva fra i nostri iscritti non è così diffusa e questo è presumibilmente dovuto al fatto che non sono molti i colleghi che operano nel campo degli edifici monumentali che continua a rimanere un settore di nicchia per pochi addetti ai lavori. Questo è sicuramente un limite che può incidere sui rapporti con i tecnici delle sopraintendenze con cui confrontarsi sulle scelte progettuali e sulla fase esecutiva. Troppo spesso il progettista strutturale viene visto come una figura tecnica che non ha la necessaria “sensibilità” e formazione culturale per inquadrare in maniera corretta il progetto di consolidamento strutturale di un edificio monumentale. Questo deriva, a mio avviso, da passati decenni di utilizzo, diciamo disinvolto, da parte di alcuni nostri colleghi del calcestruzzo armato negli interventi di restauro strutturale senza porre la necessaria attenzione alla compatibilità con i materiali originari e ad una approfondita analisi preventiva della conoscenza del manufatto e che ha portato alla definizione dell’ingegnere progettista strutturale come “cementificatore”. E’ indubbio che quello che è spesso accaduto in passato, in particolare fino agli anni ’90, ha contribuito a creare questo luogo comune ed a alimentare la diffidenza dei tecnici della sovrintendenza nei confronti degli strutturisti, ma è altrettanto vero che negli ultimi vent’anni c’è stata sicuramente una inversione di tendenza, con una maggior attenzione alle tecniche costruttive da adottare, alla scelta dei materiali da impiegare, alla loro compatibilità con quelli originari ed anche ai nuovi materiali da costruzione che vengono proposti dal mercato.

2 - Nella progettazione di questi interventi raramente si ha disposizione documentazione relativa alle opere storiche. Quanto pesa in questi casi la cultura tecnica e la conoscenza delle tecniche costruttive storiche ?
Pesa e pesa pure molto! Soprattutto per una categoria come la nostra che nel proprio percorso di studio universitario, storicamente, non ha mai affrontato in maniera adeguata la tematica del restauro degli edifici monumentali. Ecco perché, se vogliamo anche recuperare quel gap nel rapporto con la soprintendenza di cui parlavamo prima, diventa prioritario cercare di compensare certe lacune nel nostro bagaglio culturale e formativo. E’ quindi compito anche degli Ordini, attraverso proprio la formazione permanente, impegnarsi per sensibilizzare maggiormente i colleghi su queste tematiche attraverso l’organizzazione di eventi formativi che affrontino ad esempio nello specifico la suddetta Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 Febbraio 2011, oppure le tecniche costruttive antiche o ancora i materiali tipici del restauro (malte, intonaci ecc.) oppure ancora il restauro dei paramenti lapidei. Anche il tema della diagnostica e del monitoraggio andrebbe approfondita, soprattutto per cercare di dare gli strumenti giusti ai colleghi per progettare una campagna di indagini o interpretare in maniera corretta i risultati di prove come i martinetti piatti o indagini ultrasoniche. Questo, a mio avviso, dovrebbe essere il senso di una corretta formazione continua obbligatoria, che deve essere vista come una occasione per l’approfondimento e il completamento della propria formazione tecnica e non limitarsi a fare incetta di CFP a prescindere dal contesto tecnico in cui vengono acquisiti.

3 - La normativa tecnica oggi in vigore ha le caratteristiche per poter supportare il professionista in questi interventi ?
Questo è un altro punto dolente e riguarda il problema degli edifici esistenti nella sua generalità. Le NTC 2008 trattano un capitolo basilare come quello degli edifici esistenti in poche pagine quando invece richiederebbe un testo a se stante. E’ vero che poi la Circolare entra più nel dettaglio, ma il fatto che non debba essere considerata cogente ne condiziona la portata della sua effettiva applicabilità. Soprattutto oggi, dove l’obbiettivo dichiarato di qualsiasi strumento urbanistico è rappresentato alla rigenerazione urbana e dal recupero del patrimonio edilizio esistente, sarebbe stato lecito attendersi una maggior attenzione e approfondimento del legislatore proprio nei confronti dei relativi interventi strutturali. Questo, unitamente ad un’altra serie di aspetti, come ad esempio la pretesa di voler mantenere per gli edifici esistenti gli stessi livelli di sicurezza dei nuovi edifici oppure penalizzare in maniera eccessiva le caratteristiche di resistenza dei materiali attraverso i fattori di confidenza associati ai livelli di conoscenza (basti pensare a che tipo di prove sono necessarie per un LC3), denotano in maniera inequivocabile l’abissale distacco esistente fra il legislatore e la realtà di un panorama edilizio esistente che solo chi opera tutti i giorni sul campo, come gli ingegneri, è in grado di conoscere veramente. E’ quindi a mio avviso inaccettabile l’assoluta mancanza di rappresentanti dei professionisti nei gruppi di lavoro incaricati dal governo di redigere le nuove NTC; questo perché, anche se è indubbio che la presenza dei rappresentanti del mondo universitario sia fondamentale e prioritaria (dal momento che i principi debbano provenire necessariamente dal mondo accademico e della ricerca), è altrettanto vero che una norma ben fatta è soprattutto una norma facilmente applicabile e quindi nella sua fase di stesura non si può prescindere da coloro che quotidianamente sono poi chiamati ad applicarla sul campo e quindi i professionisti.
E’ vero che un passo avanti c’è stato, dal momento che nella Commissione Relatrice era prevista la presenza di rappresentanti del Consiglio Nazionale Ingegneri, ma questo non basta. Noi dobbiamo arrivare a potere incidere in maniera significativa e a dire la nostra sulla norma quando questa ancora in fase di definizione e non limitarsi a fare osservazioni su un corpo normativo già confezionato e che pertanto difficilmente potrà recepire in maniera significativa le nostre istanze. Non ci si può ricordare della nostra categoria solo dopo gli eventi sismici che colpiscono purtroppo frequentemente il nostro paese, quando c’è necessità di tecnici esperti e preparati per le verifiche degli edifici danneggiati. Tecnici, è bene ricordarlo, che svolgono tali prestazioni, dense di responsabilità civili e penali, in forma assolutamente gratuita e che per farlo devono chiudere il proprio studio professionale. Questo per un senso di solidarietà e responsabilità civile nei confronti della collettività che fa sicuramente onore alla nostra categoria ma che non sempre viene riconosciuta all’esterno. Noi vogliamo sempre più collaborare con le istituzioni e offrire quel prezioso contributo tecnico che sicuramente possiamo offrire, ma non solo sul campo, anche quando quelle norme che quotidianamente utilizziamo debbono essere aggiornate e questo è ciò che ci auspichiamo per il prossimo futuro.

4 - Quanto è importante il rapporto con le altri parti professionali e quanto la collaborazione è realmente attiva ?
Come noto le competenze professionali per operare su edifici vincolati sono definite dall’art. 52 del R.D. 2537/1925, che riservano agli architetti “..le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L.20 giugno 1909, n. 364…” mentre limita agli ingegneri la possibilità di intervenire sulla sola parte tecnica. Il problema è che ultimamente abbiamo riscontrato alcuni tentativi reiterati da parte di qualche Ordine territoriale degli architetti di interpretare in senso ancor più restrittivo la “parte tecnica”. Infatti ci sono stati ad esempio ricorsi contro pubbliche amministrazioni che, per edifici monumentali, avevano assegnato a colleghi ingegneri incarichi professionali riguardanti il collaudo tecnico-amministrativo, oppure il collaudo statico oppure ancora il coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione ritenendo che si trattasse di prestazione che esulano dalla cosiddetta “parte tecnica” e quindi rientranti nella competenza esclusiva degli architetti. Si tratta evidentemente di forzature della norma (in nome delle cosiddette “scelte culturali connesse alla maggior preparazione accademica degli architetti), ma che evidenziano chiaramente il tentativo di escludere sempre più la nostra categoria dalla possibilità di intervenire sul patrimonio monumentale e su cui riteniamo necessario sensibilizzare le pubbliche amministrazioni attraverso l’invio di uno specifico documento già predisposto in seno all’Assemblea dei Presidenti.
E’ evidente che tale situazione può interferire in maniera significativa nei rapporti fra le diverse figure professionali che concorrono alla definizione di un progetto complesso come quello del restauro di un edificio monumentale soprattutto se persisteranno certe posizioni “integraliste” che sicuramente non favoriscono l’interazione e la collaborazione fra i vari soggetti.

5 - In questi ultimi anni la tecnologia ha fatto salti da gigante, anche per l’uso di nuovi sistemi di rinforzo e di microsensori. Che grado di confidenza hanno gli ingegneri con queste nuove tecnologie ?
Devo dire che la nostra categoria è sempre stata molto attenta ai progressi in campo tecnologico negli ultimi decenni, a prescindere dall’obbligo formativo. E’ evidente che negli ultimi due anni, a seguito anche dell’inevitabilmente ampliamento dell’offerta formativa che ordini e provider hanno messo in campo dal 1 Gennaio 2014, abbiamo riscontrato una sempre maggiore attenzione da parte dei colleghi verso le novità sia in campo della tecnologia che dei nuovi materiali e delle nuove tecniche costruttive. Come dicevo prima è comunque anche compito nostro, come Ordini territoriali, cercare di focalizzare meglio queste problematiche e dare agli iscritti la possibilità di acquisire una sempre maggior confidenza e familiarità con strumenti innovativi per rimanere competitivi in un mercato professionale sempre più esigente.

6 - Lei è il Presidente non di un Ordine qualsiasi, ma di quello di Firenze, una delle città con il maggior patrimonio culturale al mondo. Quanto gli ingegneri sono considerati dalla pubblica amministrazione per la definizione delle politiche di riqualificazione e mantenimento della città?
Sinceramente il coinvolgimento diretto della nostra categoria da parte della pubblica amministrazione in tutte quelle le scelte di indirizzo politico per la riqualificazione e manutenzione della città è stato fino ad oggi modesto. Anche se negli ultimi anni abbiamo organizzato una serie di eventi in stretta collaborazione con il Comune di Firenze (una per tutte la manifestazione “io non tremo” negli anni 2013, 2014 e 2015 sulla sensibilizzazione dei cittadini alle problematiche attinenti il rischio sismico) devo dire che una collaborazione diretta e continua con la pubblica amministrazione è mancata. Probabilmente anche per colpa nostra che non siamo riusciti ad instaurare dei rapporti consolidati con la P.A. per divenire interlocutore abituale su tutte quelle problematiche di carattere tecnico per le quali possiamo offrire un contributo tecnico qualificato. Va per altro osservato come in Toscana, i rapporti fra la pubblica amministrazione e la realtà delle professioni tecniche passa attraverso la Rete Toscana delle Professioni Tecniche, che riprende su scala regionale quanto ciò avviene già a livello nazionale. Questo porta sicuramente dei vantaggi in termine di rappresentatività del mondo delle professioni tecniche nei confronti della P.A. ma è altrettanto vero che qualunque documento licenziato dalla Rete rappresenta il parere di tutti, a prescindere dalle competenze professionali specifiche e dalle peculiarità tecniche delle realtà professionali che la compongono. Questo porta, probabilmente, agli occhi dell’opinione pubblica anche ad un appiattimento delle singole competenze professionali dei soggetti rappresentati, cosa che per altro sta già succedendo anche in altri ambiti, basti pensare che non esiste più una tariffa professionale per ingegneri e architetti ed una per periti e geometri ma solo un D.M. 140/2012 e un D.M. 143/2013 (i famosi decreti “Parametri” e “Parametri bis”) applicabili indistintamente da qualsiasi figura tecnica, sia essa laureata o diplomata.
Ma quella della tariffa e dei compensi è tutta un’altra storia!
 

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