FRP - Fiber Reinforced Polymers | Rinforzi Strutturali
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Durabilità in ambiente alcalino dei rinforzi fibrosi per il consolidamento strutturale

All'interno dell'articolo i risultati di una campagna sperimentale eseguita su fibre di rinforzo allo stato secco (senza matrice), sottoposte per diversi periodi, a diverse temperature, in diversi ambienti alcalini. Ciò al fine di valutare quali siano gli effetti, da un punto di vista meccanico, di diversi protocolli di prova, e soprattutto quali siano i livelli di sensibilità mostrati dai manufatti, che costituiscono il potenziale rinforzo di compositi impiegati per il consolidamento strutturale in campo civile.

Negli ultimi anni si è osservato un fortissimo interesse per l’utilizzo di materiali fibrorinforzati, di varia natura, per il consolidamento strutturale sia del calcestruzzo che della muratura. In questo ultimo caso gli intonaci (base calce o calce-cemento) con armatura costituita da fibre non metalliche, hanno riscosso un forte interesse nel campo antisismico, soprattutto per la tutela del costruito storico.
Le tipologie di rinforzo più comunemente utilizzate sono realizzate mediante:
• Tessuti e reti in fibra lunga (vetro, carbonio, poliaramide, fibre naturali) annegati direttamente nella matrice inorganica (cementizia o calce).
• Fogli e tessuti in fibra lunga (vetro, carbonio, poliaramide) incollati in situ per mezzo di resine termoindurenti a vari supporti, quali travi o pilasti in calcestruzzo armato, o substrato murario.
• Reti, lamine o barre in F.R.P. (fiber reinforced polymers) preformate, costituite sempre da fibre di vetro o carbonio e resine termoindurenti curate industrialmente, incollate o applicate al supporto e spesso annegate in una rivestimento inorganico di tipo cementizio.

Con riferimento particolare ai casi in cui sono impiegate matrici inorganiche, o ai casi di substrati cementizi, come noto si determina una condizione di elevata alcalinità, soprattutto nel periodo immediatamente successivo all’applicazione; le evidenze sperimentali [10] riportano, infatti, valori del pH, nella soluzione interstiziale presente all’interno dei pori delle matrici cementizie,compresi tra 12,5 e 13,5, a seconda delle specie chimiche presenti.

Oltre alla eventuale esposizione a soluzioni alcaline, più in generale, gli ambienti potenzialmente aggressivi per i rinforzi fibrosi nelle condizioni di esercizio sono caratterizzati da:
• esposizione agli agenti atmosferici in ambienti caldo-umidi (radiazioni UV, cicli di umidità);
• escursione termica elevata (esposizione esterna degli elementi rinforzati);
• esposizione agli agenti atmosferici in climi freddi (cicli di gelo e disgelo);
• alte temperature;
• alto contenuto di umidità nel substrato (umidità di risalita), con possibile alta concentrazione di sali;

Per quanto attiene l’esposizione in ambiente alcalino, oggetto del presente studio, è fondamentale rilevare la notevole differenza che intercorre tra armature e rinforzi metallici (acciaio) e materiali compositi fibrorinfozati, in particolare con fibra di vetro. Nel caso di rinforzi in acciaio la presenza di un ambiente alcalino risulta benefica, in quanto favorisce una passivazione superficiale contro la corrosione galvanica. In questi casi è proprio la riduzione del pH a costituire una potenziale minaccia per l’innesco di fenomeni ossidativi di nota pericolosità. Nel caso di rinforzi in fibra di vetro, invece, la sensibilità chimica del materiale costituente il rinforzo, in ambiente alcalino potrebbe portare ad un danneggiamento chimico, anche severo, del rinforzo stesso, con conseguente riduzione delle proprietà meccaniche a livello macroscopico.
Per valutare quale sia detta sensibilità, si conducono dei test di laboratorio immergendo i materiali fibrorinforzati o le fibre in soluzione acquose con pH compresi tra 12 e 13,5, facendo variare il tempo di esposizione o accelerando l’effetto diffusivo di tali soluzioni attraverso un incremento di temperatura del bagno alcalino. Al fine di simulare diverse possibili situazioni di servizio le soluzioni alcaline possono avere diversa composizione chimica, contenenti variabili percentuali in peso di idrossidi alcalini, quali Na(OH), K(OH), Ca(OH)2 .
Tali soluzione dovrebbero simulare quelle realmente presenti nei pori che si vengono a formare all’interno delle matrici cementizie e inorganiche in genere. È importante notare poi che, a parità di valori del pH, i trattamenti realizzati in laboratorio possono risultare più aggressivi delle condizioni reali di servizio. Ciò in virtù del fatto che le matrici cementizie sono più viscose delle soluzioni acquose (consegue una riduzione di mobilità delle specie ioniche) e poi per il fatto che nel caso reale le cinetiche legate ai processi di dissoluzione dei vari idrossidi nella soluzione interstiziale e di diffusione degli ioni formatisi, potrebbero essere più lente rispetto a quelle di una esposizione diretta in bagno alcalino..
Oltre a ciò è risaputo che, ove vi sia una esposizione ad anidride carbonica, ed elevata porosità delle matrici inorganiche, nel tempo si innesca un processo di carbonatazione, legato alla reazione chimica che avviene in fase acquosa tra gli idrossidi e l’anidride carbonica disciolta, che porta alla formazione di carbonati. Tale reazione conduce, in un tempo più o meno lungo, ad una riduzione del pH della soluzione interstiziale fino a valori che possono raggiungere 9,5.
Tale condizione di carbonatazione, risulta notoriamente dannosa per gli acciai, visto che lo strato protettivo di passivazione verrebbe intaccato, portando ad un’accelerazione del processo di corrosione; mentre nel caso di rinforzi fibrosi non metallici (fibre e FRP) tale condizione non dà luogo a fenomeni di degrado, anzi nei casi in cui si ha sensibilità chimica agli alcali, potrebbe risultare benefica.
Per quanto riguarda le diverse tipologie di fibre, alcuni studi [10], non solo in campo civile, attestano che le fibre di carbonio mostrano una perdita trascurabile di proprietà meccaniche in ambiente alcalino, mentre tale problematica risulta particolarmente importante per il vetro, rappresentando, in quest’ultimo caso, la più forte criticità strutturale a lungo termine.
Per quanto riguarda le fibre di vetro sono stati individuati diversi meccanismi di degrado ([12], [13], [14]) che si possono sintetizzare sommariamente nei seguenti:
1. Corrosione massiva dei filamenti per attacco degli ioni OH-
2. Rottura per fatica statica: crescita di difetti superficiali esistenti (derivanti dalla procedura di produzione) aggravati dall’ attacco degli ioni OH- in prossimità dei bordi .
3. Densificazione: dovuta alla precipitazione di cristalli, ad esempio di portlandite (Ca(OH)2), che vanno a riempire gli spazi tra i filamenti della fibra, con successivo infragilimento della stessa fino a provocarne la rottura.

Tutti i suddetti meccanismi da un punto di vista macromeccanico si traducono in un più o meno sensibile decadimento delle proprietà meccaniche a trazione.
Studi statistici [11] sembrerebbero evidenziare che il meccanismo 2 sia ricorrente in molti casi di compositi a fibra di vetro, e che comunque il processo di danneggiamento dipende fortemente dalla composizione chimica del bagno alcalino presente a contatto.

Le fibre di vetro normalmente utilizzate nell’industria dei compositi (E-glass) hanno dimostrato una notevole sensibilità all'attacco alcalino, con conseguente scarsa durabilità. I meccanismi di attacco chimico, in tal caso, sono classificabili in due modalità:
1. Leaching: diffusione di ioni alcalini che causa quindi una vera e propria dissoluzione delle fibre di vetro
2. Etching: rottura del legame Si-O-Si, che costituisce la struttura principale della fibra di vetro, a causa dell’attacco chimico prodotto dalle specie alcaline.
In ambiente ricco di ioni calcio sembrerebbe che subito dopo l'innesco del meccanismo di degrado chimico gli ioni calcio possano legarsi al gruppo Si-O- che si viene a formare, producendo uno strato superficiale che agisce da barriera alla diffusione degli ioni OH- ritardando in tal modo il processo di accumulo di danno; è importante notare che tale effetto benefico non si è riscontrato in ambienti alcalini nei quali vi fosse la presenza di ioni sodio o potassio.
Per ovviare a detta intrinseca vulnerabilità della fibra di vetro E, è stata sviluppata, già nei settori industriali prima che in quello civile, una fibra alternativa, denominata fibra AR-glass (Alkali Resistant) ad elevato contenuto di ossido di Zirconio (16÷20%). In questi casi, durante l'esposizione in bagno alcalino, sulla superficie della fibra si forma uno strato di tale ossido che ne aumenta fortemente la resistenza chimica contro attacco alcalino, rallentando così molto sensibilmente la diffusione degli ossidrili OH- che causerebbero la rottura dei filamenti di vetro [15].
Per fibre impiegate in un composito a matrice polimerica, è importante anche il ruolo protettivo della resina; pertanto è fondamentale che la medesima resina non si degradi anche al fine di mantenere inalterato il suo ruolo meccanico in fase di trasmissione omogenea degli sforzi alle fibre. Per quanto riguarda le resine [15] il meccanismo di degrado più pericoloso è l’idrolisi dei gruppi esterei presenti all’interno delle resine poliesteri e vinilesteri. Le resine vinilesteri presentano una concentrazione decisamente inferiore di gruppi esterei e quindi una ridotta sensibilità all’idrolisi rispetto alle poliesteri tradizionali. Le resine epossidiche non presentano gruppi esterei e quindi sono molto meno sensibili all’idrolisi, di fatti sono quelle maggiormente utilizzate nei compositi strutturali.
Oltre all’idrolisi, il deterioramento della matrice può essere causato da fenomeni di plasticizzazione e/o rigonfiamento causati dalla diffusione della soluzione alcalina all’interno della resina stessa che porta ad una riduzione della capacità della resina di trasferire i carichi tra le fibre; inoltre può avvenire un attacco alcalino all’interfaccia fibra-resina che degrada le proprietà macromeccaniche del composito. La permeabilità della resina dipende tipicamente dalla tipologia di resina (composizione macromolecolare) e dal grado di reticolazione della stessa.

Vari studi sulla durabilità degli FRP in ambienti che simulano le soluzioni interstiziali all’interno delle matrice cementizie [7], [10], [16] hanno dimostrato come le proprietà di fibra e resina nonchè quelle dell’interfaccia fibra-resina incidano tutte sensibilmente sulla durabilità degli FRP, intesa come capacità di mantenere le proprietà meccaniche inalterate a seguito dell'esposizione.
Tipicamente FRP prodotti a partire da matrici di resina poliestere mostrano minor durabilità di quelli prodotti a partire da resina vinil-estere. Inoltre, la durabilità in ambiente alcalino di prodotti costituiti da fibra di vetro E è ridotta rispetto a quella relativa all'impiego di fibre di vetro AR; infine, è da considerare l’influenza sulla durabilità della resina utilizzata per l’impregnazione [7].
Un ulteriore punto da tenere in considerazione è il fatto che nelle prove di laboratorio si tende ad accelerare gli effetti, per simulare lunghi tempi di esposizione in-situ, mediante l'incremento di temperatura del bagno alcalino. Tale variazione di temperatura di prova incide in modo marcato sulla durabilità, e diversi studi mostrano che prove di invecchiamento accelerato a temperature dell'ordine di 50-60°C sembrano esaltare fortemente i processi di degrado dei Glass FRP (GFRP). L'effetto accelerante della temperatura è presente anche per provini immersi semplicemente in acqua [13]. E' doveroso osservare che i test in temperatura devono avvenire in intervalli ben lontani da quello di transizione vetrosa delle matrici polimeriche, altrimenti la prova risulterebbe falsata da altre variabili legate al cambiamento di stato "glassy-to-rubbery" della matrice.

Nel presente lavoro sono illustrati i risultati di una campagna sperimentale eseguita su fibre di rinforzo allo stato secco (senza matrice), sottoposte per diversi periodi, a diverse temperature, in diversi ambienti alcalini. Ciò al fine di valutare quali siano gli effetti, da un punto di vista meccanico, di diversi protocolli di prova, e soprattutto quali siano i livelli di sensibilità mostrati dai manufatti, che costituiscono il potenziale rinforzo di compositi impiegati per il consolidamento strutturale in campo civile.
 
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