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Sicurezza sismica in Italia: un percorso ancora lungo e articolato tra tecnologie e consapevolezza del rischio

Crescono le conoscenze e le tecnologie per la protezione sismica ma manca ancora una visione più ampia da parte delle istituzioni che possa condurre ad un vero e proprio piano di riduzione del rischio che ne definisca le priorità.

Ne parliamo con il Presidente ANIDIS, Prof. ing. Franco Braga

Presidente, ANIDIS da anni rappresenta la cultura tecnica e scientifica in ambito sismico in Italia, e questo vi ha sicuramente offerto un osservatorio sullo stato delle conoscenze da parte del nostro mondo professionale. Quale è il vostro bilancio per quanto riguarda l'evoluzione delle conoscenze e delle tecnologie? E invece lo sviluppo della consapevolezza legata al rischio?

> L’evoluzione delle conoscenze è continua e l’evoluzione delle tecnologie la segue da presso; dunque bilancio positivo; si sente molto la mancanza di un centro di controllo nazionale che qualifichi e confronti le diverse tecnologie, evidenziandone meriti e demeriti relativi e assoluti. In sua assenza le scelte del professionista, specie in assenza di esperienze pregresse, sono legate al materiale illustrativo prodotto da chi propaganda la tecnologia e ciò, evidentemente, non facilita le scelte.
Lo sviluppo della consapevolezza legata al rischio e alla necessità di ridurlo procede invece più a rilento, specie presso le istituzioni. La valutazione e riduzione del rischio è lasciata ancora alla sensibilità del singolo e alla sua capacità, finanziaria e tecnica di incidere positivamente.

Abbiamo l’impressione che stia crescendo il divario tra due mondi: da un lato il mondo della ricerca nazionale e internazionale, capace di dar luogo a una importante evoluzione tecnologica per il miglioramento sismico, dall’altro quello delle istituzioni, poco attento alla crescente capacità di intervento e quindi a dare delle regole che consentano di adottare l’innovazione tecnologica.
E’ un’impressione corretta? e se sì, dove sta il problema?

>L’impressione è corretta e condivisibile. Si sente il bisogno, anche sulla base degli insegnamenti ricavati dai recenti terremoti italiani (in specie quello dell’Emilia) di un piano nazionale di riduzione del rischio. Un piano di tale portata richiederebbe la totale consapevolezza delle istituzioni, un loro impegno fortemente finalizzato, la disponibilità di strumenti legislativi e finanziari di ampio respiro e realizzati ad hoc. Tutto ciò manca e il problema risiede proprio in tale mancanza.

Abbiamo un patrimonio immobiliare estremamente vulnerabile, sia per la parte pubblica che privata. Una criticità che riguarda monumenti, abitazioni, uffici, edifici pubblici … ovviamente il pensare che si possa intervenire su tutto il patrimonio è quindi impossibile. Esistono delle soluzioni che si possono proporre sia per la programmazione che per la scelta degli interventi? esistono degli esempi virtuosi a livello internazionale?

> Data la numerosità delle criticità che riguardano la maggioranza del patrimonio strutturale e infrastrutturale nazionale (non soltanto gli edifici, dunque …) è velleitario pensare di intervenire in tempi brevi e a tappeto; si deve ragionare in termini almeno ventennali o trentennali.
Di conseguenza occorre stilare un piano che formuli chiaramente le priorità, definisca gli interventi minimi da adottare per ottenere risultati significativi, operi dapprima là dove è più probabile che il sisma si presenti a breve e dove il patrimonio è più vulnerabile.
Come si vede un compito immane che vuole l’impegno congiunto dei privati e delle istituzioni e chiede alla classe scientifica di affrontare problemi (ad esempio dove è più probabile che si presentino i prossimi terremoti italiani?) ad oggi poco trattati.
Senza entrare più in dettaglio concludo dicendo che quanto fatto nell’ultimo quindicennio in California o quanto attualmente si fa in Nuova Zelanda costituiscono efficaci esempi di possibili attività finalizzate alla riduzione del rischio sismico.
Aggiungo, e concludo definitivamente, che per l’Italia il problema della riduzione del rischio dovrebbe essere affrontato in modo più ampio di quello richiesto dal solo rischio sismico e riguardare l’intero rischio ambientale.