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Consumo “effettivo” o “corretto” per la suddivisione delle spese di riscaldamento?

Intervista a Franco Barosso, ingegnere e membro GdL Energia CNI

1) Ing. Barosso, l’UNI ha messo in inchiesta pubblica la nuova versione della UNI 10200, norma fondamentale poiché necessaria per la ripartizione delle spese per riscaldamento ed acqua calda sanitaria in edifici condominiali. Il CNI ha fatto parte del tavolo di lavoro. Ci può raccontare in estrema sintesi cosa piace agli ingegneri, e cosa invece resta ancora da migliorare rispetto alla versione precedente?
Intanto è il caso di precisare che al tavolo di lavoro (del CTI e non dell’UNI) gli ingegneri (e comunque anche i professionisti) sono in nettissima minoranza. Ciò premesso, piace che sia stato accettato quanto richiesto dal CNI lo scorso 6/5/2015 (correzione di errori formali, corretta applicazione del coefficiente kinv, corrispondenza tra UNI 10200 ed UNI/TS 11300), resta ancora abbastanza da migliorare (trattazione specifica di edifici ad utilizzo saltuario, problematiche legate all’acqua calda sanitaria, riferimento all’utilizzo dell’edificio allo stato iniziale o dopo interventi, per esempio).

2) L’obiettivo della contabilizzazione è l’efficienza energetica e la riduzione dei consumi. Ritiene che questa nuova versione della 10200 possa garantire il raggiungimento di tale importante obiettivo?
Allo stato attuale (cioè non sapendo quali modifiche verranno realmente apportate alla UNI 10200) nutro forti riserve. Ho l’impressione che si stia complicando inutilmente e dannosamente un settore già di per sé piuttosto problematico, accettando da una parte “suggerimenti” di stakeholders molto interessati e di parte e complicandoci la vita dall’altra con argomentazioni più giuridiche che tecniche che spaccano il capello in quattro.

3) Argomento dibattuto: i coefficienti correttivi. Alcuni sostengono siano necessari, altri fanno presente come la Direttiva Europea 2012/27/CE non li ammetta. La norma li prevede? Qual è la posizione del CNI?
La ripartizione delle spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria, in contesti condominiali alimentati da impianti termici centralizzati, è argomento da lungo tempo dibattuto. La materia in effetti è trattata da molti anni, e sempre seguendo gli stessi principi guida, tanto a livello italiano quanto a livello europeo. I primi cenni si hanno nell’articolo 26 comma 5 della Legge 9 gennaio 1991, n. 10. In esso si asserisce che gli edifici pubblici e privati, qualunque sia la loro destinazione d’uso, e gli impianti non di processo ad essi associati devono essere progettati e messi in opera in modo tale da contenere al massimo, in relazione al progresso della tecnica, i consumi di energia termica ed elettrica (comma 3). Il riparto degli oneri di riscaldamento deve essere effettuato in base al consumo effettivamente registrato. Qualche anno dopo, a livello europeo, nella Direttiva SAVE (Direttiva 93/76/CE) si trova, all’articolo 3, che “gli Stati membri stabiliscono ed attuano programmi concernenti la fatturazione delle spese di riscaldamento, climatizzazione ed acqua calda calcolate in proporzione appropriata sulla base del consumo effettivo”. La Direttiva Europea 2012/27/CE riprende il concetto perché, all’articolo 9, così recita: “Quando i condomini sono alimentati dal teleriscaldamento o teleraffreddamento o i sistemi propri comuni di riscaldamento o raffreddamento per tali edifici sono prevalenti, gli Stati membri possono introdurre regole trasparenti sulla ripartizione dei costi connessi al consumo di calore o di acqua calda in tali edifici, al fine di assicurare la trasparenza e la precisione del conteggio del consumo individuale”. A luglio 2014 viene pubblicato il D. Lgs. n. 102/2014 in recepimento della Direttiva Europea 2012/27/UE. Tale decreto (art.9 comma 5 lettera d) ribadisce, in coerenza con la Direttiva europea, che “quando i condomini sono alimentati dal teleriscaldamento o teleraffreddamento o da sistemi comuni di riscaldamento o raffreddamento, per la corretta suddivisione delle spese connesse al consumo di calore per il riscaldamento degli appartamenti e delle aree comuni, qualora le scale e i corridoi siano dotati di radiatori, e all’uso di acqua calda per il fabbisogno domestico, se prodotta in modo centralizzato, l’importo complessivo deve essere suddiviso in relazione agli effettivi prelievi volontari di energia termica utile e ai costi generali per la manutenzione dell’impianto” ed indica la norma tecnica UNI 10200 come unico strumento per la suddivisione delle spese di riscaldamento.
I coefficienti sono essenzialmente voluti dalla Regione Lombardia ma la norma tecnica non può inventarsi qualcosa di diverso rispetto alle leggi italiane ed alla direttiva europea.
Pertanto il CNI non può condividere la proposta di una loro adozione: Direttiva europea, legge n. 10/1991 e D. Lgs. n. 102/2014 prescrivono una ripartizione in base ai consumi effettivi: se si correggono non abbiamo più consumi effettivi e dunque i coefficienti correttivi sono contrari alle disposizioni di legge. Si deve cioè, a nostro avviso, fare una distinzione netta tra quello che è l’intento di riqualificare energeticamente un edificio e la semplificazione delle azioni necessarie in tal senso e la ripartizione dei consumi: ci deve essere molta differenza tra piano tecnico (di cui si occupano le norme) e piano politico che deve/vuole incentivare la riqualificazione tramite leggi ed agevolazioni.
Si osserva anche che è necessario ed opportuno non mescolare aspetti diversi quali l'equità, la legalità e la termotecnica. Le argomentazioni a sostegno dei coefficienti correttivi sono per lo più giustificate con considerazioni che richiamerebbero l'equità ma certo non la legalità (come sopra si è dimostrato) e la termotecnica. Chi invoca i coefficienti correttivi vorrebbe anche evitare che si disturbi il quieto vivere: ma questa è una conseguenza naturale di qualsiasi decisione! E poi non si può invocare l'equità per introdurre i coefficienti correttivi solo in alcuni casi: o è per tutti o è per nessuno, altrimenti è solo un alibi di comodo per alcuni.
La questione vera dunque è: "consumo effettivo" o "consumo corretto"? Ma da nessuna parte si prescrive di "misurare e pagare il confort", cioè il servizio inteso come volume riscaldato ad una determinata temperatura. Se così fosse, se cioè la ratio fosse quella di far pagare il confort goduto, basterebbe installare un registratore di temperatura ambiente (molto più facile che misurare il calore) e far pagare in base al volume ed ai gradi giorno goduti. Si parla invece sempre e soltanto di pagare a consumo il calore prelevato dall'impianto per ottenere il confort desiderato, responsabilizzando direttamente l'azione dell'utente. Se l'utente desidera confort (temperatura) deve sostenerne direttamente le conseguenze economiche (utilizzo di calore costoso) o provvedere per limitarle, cioè coibentare. Ciò è coerente con un quadro legislativo il cui fine ultimo è quello di provocare interventi di risparmio energetico, non semplice ridistribuzione del costo del servizio per compensare inefficienze delle strutture edilizie.
Se poi proprio si volessero introdurre ad ogni costo dei correttivi, si potrebbe pensare ad una introduzione parziale e limitata nel tempo, obbligando contestualmente, ove fattibile ed economicamente conveniente in base ad una diagnosi energetica a prestazione garantita, ad effettuare opere di coibentazione dell'involucro edilizio condominiale.

4) Il fatto che la norma sia rivista e ripubblicata all’inizio dell’estate, ultimo periodo utile per adeguarsi al D.Lgs. 102/2014, non rischia di creare disorientamento e rallentamento per le attività di installazione dei sistemi di termoregolazione e contabilizzazione? Sono possibili proroghe e/o deroghe?
Certo che creerà disorientamento, rallentamento e disagio ma è una tristissima abitudine italiana assai consolidata, per cui non ci sorprende avendolo già previsto e fatto notare da tempo. Premesso che per il legislatore quasi tutto è possibile, non ci dovrebbero essere proroghe per non incorrere in infrazioni dovute al non rispetto di direttive europee.

5) Gli ingegneri sono pronti ad applicare tale norma? O vi sono resistenze legate ad una difficoltà oggettiva a formarsi a fronte di una continua produzione normativa?
Ritengo che non tutti siano pronti ma non per le ragioni sopra indicate. Ci sono due problemi: il primo è dovuto al fatto che si tratta di un “mercato” per niente di qualità, in cui troppo spesso l’amministratore vuole (o deve) non inimicarsi più di tanto gli amministrati ed in cui spesso non c’è molta disponibilità economica, il secondo consiste nel fatto che, come spesso succede, non abbiamo molte certezze: è infatti ferma all’Ufficio Legislativo una proposta di legge di modifica al D. Lgs. n. 102/2014. E se dal 102 venisse stralciato il riferimento alla 10200? E se il riferimento alla 10200 rimanesse ma non venissero esplicitamente ammesse le modifiche in itinere ma solo il testo iniziale?