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Opere pubbliche: niente compenso al professionista se salta il finanziamento pubblico

Con la sentenza n. 10326/2016 la Corte di Cassazione ha stabilito che se le opere pubbliche non ricevono il finanziamento previsto per essere realizzate il compenso del professionista per la progettazione non è dovuto, purchè sia prevista una clausola contrattuale di copertura finanziaria che subordina il pagamento all’ottenimento del finanziamento per la realizzazione dell’opera.

Con la sentenza n. 10326/2016 la Corte di Cassazione ha stabilito che se le opere pubbliche non ricevono il finanziamento previsto per essere realizzate il compenso del professionista per la progettazione non è dovuto, purchè sia prevista una clausola contrattuale di copertura finanziaria che subordina il pagamento all’ottenimento del finanziamento per la realizzazione dell’opera.
 
L’accordo raggiunto tra il professionista e il Comune per la progettazione di lavori di urbanizzazione ha un suo valore giuridico e, quindi può considerarsi valido, solo se il finanziamento legato all’esecuzione dei lavori sia approvato. In caso contrario il professionista non può pretendere la parcella per il mancato avveramento di una condizione fondamentale quale per l’appunto quella della concessione del finanziamento
 
IL CASO. La sentenza nasce da una vicenda datata 2002 quando due architetti e un ingegnere ricorsero al Tribunale di Trapani contro il Comune di Alcamo in merito al mancato pagamento del corrispettivo per l’attività di progettazione degli impianti di illuminazione della città, che il Comune giustificava puntualizzando che l’inosservanza del termine previsto per il deposito degli elaborati progettuali aveva comportato una lievitazione dei costi da 10 a 25 miliardi di lire, diventando così insostenibili per il Comune, che aveva quindi deciso di non realizzare l’opera e successivamente aveva affidato l’incarico a un progettista interno.
 
La vicenda si complicava in quanto i ricorrenti imputavano il ritardo nel deposito degli elaborati al parere del Genio Civile che invalidava il contratto sostenendo la competenza dell’attività solo degli ingegneri e non degli architetti.
 
Chiarito nel successivo grado di giudizio, la competenza anche degli architetti nell’attività di progettazione degli impianti di illuminazione e pur riconoscendo la natura non essenziale del temine stabilito per la consegna degli elaborati, la Corte di appello di Palermo ha tuttavia “escluso la sussistenza del complessivo credito vantato dai professionisti, rilevando che, poichè con specifica clausola il pagamento delle prestazioni era stato espressamente subordinato al finanziamento dell’opera, nella specie non intervenuto, il mancato avveramento della condizione era ostativo all’esigibilità del compenso”.
 
La Corte di Appello osservava inoltre che non potendosi dubitare della validità di detta clausola, nè ravvisando nel Comune elementi di contrarietà ai principi di buona fede, agli effetti previsti dall’articolo 1358 c.c., in quanto gli elaborati relativi al primo progetto erano stati inoltrati per l’approvazione non intervenuta per ragioni non imputabili al Comune, mentre, quanto al secondo progetto, la lievitazione dei costi attribuibile anche al ritardo, imputabile ai professionisti, con il quale l’elaborato era stato redatto, lo rendeva inutilizzabile, realizzando così una circostanza ostativa all’ottenimento del finanziamento.
 
Contro tale sentenza i professionisti ricorrevano per Cassazione che però rigettava il loro ricorso adducendo tra le varie motivazioni, che l’affidamento dell’incarico a terzi, da parte del beneficiario dell’opera, rileva se avviene durante la pendenza del termine previsto per l’elaborazione del progetto affidato al professionista, mentre la sua collocazione in un momento successivo al mancato avveramento della condizione (il finanziamento), è una scelta necessitata dall’impossibilità della realizzazione della condizione stessa, e non configura un comportamento contrario a buona fede o la sopravvenuta carenza di interesse al riguardo. Infine sottolinea che un semplice comportamento inattivo, salvo che questo non costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge, non costituisce responsabilità della parte che avrebbe un interesse contrario all’avveramento della condizione (Cass., 11 aprile 2013, n. 8843; Cass., 27 gennaio 2012, n. 1181, Cass. 20 luglio 2004, n. 13457).
 
La clausola di copertura finanziaria
La sentenza in esame chiarisce in primis che “l’inserimento nel contratto d’opera professionale della c.d. clausola di copertura finanziaria – in base alla quale l’ente pubblico territoriale subordina il pagamento del compenso al professionista incaricato della progettazione di un’opera pubblica alla concessione di un finanziamento – non consente di derogare alle procedure di spesa, che non possono essere differite al momento dell’erogazione del finanziamento, sicché, in mancanza, il rapporto obbligatorio non è riferibile all’ente ma intercorre, ai fini della controprestazione, tra il privato e l’amministratore o funzionario che abbia assunto l’impegno (Cass., 18 dicembre 2014, n. 26657)”.