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Servitized Built Heritage e Digitalizzazione dell'Analogo: tra Flussi Culturali e Flussi Fruitivi

Il Convegno conclusivo del Programma di Ricerca di Interesse Nazionale del MIUR dedicato alla Modellazione e alla Gestione Informativa nell'ambito dei Beni Culturali Immobiliari, coordinato da Stefano Della Torre, tenutosi presso il Politecnico di Milano il 21 e il 22 Giugno 2016, anche sotto l'egida di buildingSMART Italia, ci consegna un lascito non indifferente che richiede ora di essere tradotto in linee di azione operative.
È naturalmente impossibile riassumerne in dettaglio i contenuti (che, del resto, compariranno in un apposito e-book), ma alcuni elementi possono essere in questa sede forse riassunti con qualche esito.
Per prima cosa, appare significativa la dialettica che si instaura tra il Manufatto Tangibile ovvero Analogico, e il suo «Doppio», che tale invero non è, Digitale.
Ovviamente la sfida principale che, a questo proposito, ha contraddistinto l'intero lavoro di ricerca, consisteva nel coniugare la matericità concreta del Bene Immobiliare da conservare e l'immaterialità trasformativa che deriva dalla sua digitalizzazione.
Nello iato che si instaura tra l'Analogico e il Digitale si insinuano, dunque, alcuni temi principali, tra cui una certa qual dissoluzione delle fasi temporali (analisi e rilievo, progettazione, esecuzione) dell'intervento di Restauro Puntuale (naturalmente il termine non è usato casualmente), in quanto la Conservazione Programmata paradossalmente ci restituisce una accezione in divenire del Bene Culturale Immobiliare.
Finalmente, si potrebbe tranquillamente affermare, la digitalizzazione consente il tertium datur nella dicotomia di benvenutiana memoria tra materia signata ed haecceitas, sia perché la digitalizzazione smonta una certa fissità del Manufatto (che, in quanto connesso, è digitalmente in mutazione informativa) sia in quanto la sua fruizione aumentata, virtuale, può essere distorcente e soggettiva, individualmente, senza alterare ciò che occorre collettivamente preservare.
La dissoluzione delle fasi discrete in un ciclo di vita parziale del Manufatto rimanda a una dimensione operazionale della gestione che ha strettamente a che fare con Tutela e Valorizzazione.
Molte sono state le icone emerse dalle due giornate ambrosiane (tra cui il Duomo di Milano, il Teatro alla Scala e il Teatro Lirico di Milano, la Basilica di Collemaggio, l'Albergo dei Poveri a Genova, la Certosa di Pavia, la Villa Reale di Monza), ma, tutto sommato, ciò che emerge è che sia la loro relazione col territorio a contare.
Evidentemente il tema dei Distretti Culturali, caro al coordinatore, fa tacitamente capolino, ma è anche il DIMMER del Politecnico di Torino a farci sovvenire che la Distrettualità è, appunto, categoria di quella scala della Rigenerazione Urbana in cui ora si affastellano Conservazione Programmata, Riqualificazione Edilizia, Demolizione e Sostituzione, senza che, per questo, ancora emergano i Nuovi Player dell'ibridazione tra Costruzioni, Utility, ICT.
Accanto a queste figure, David Philp, in collegamento dal Regno Unito, ha introdotto i tòpoi del paesaggio anglofono (Manchester City Council, Westminster Palace, Sidney Opera House), ma, soprattutto, ha proposto una opzione inusitata: la Cognitività del Bene Culturale Immobiliare.
I ripetuti riferimenti, occorsi nella Ricerca, ai dettagli del Cespite Tutelato, come le guglie del Duomo di Milano o i conci della Basilica di Collemaggio, ci hanno ricordato l'ambiguità digitale della singolarità ripetibile e della riproducibilità parametrica (non solo nel limite del visibile, del superficiale) degli «oggetti»; del resto, la trasposizione delle nuvole di punti in Modelli Informativi entro ambienti di calcolo strutturale ci dice che nulla di oggettivo vi possa essere nel «come funziona».
Questo, tuttavia, ci ricorda che la modalità di funzionamento si rapporta, in verità, al «come si fruisce».
Sarebbe ingenuo, in effetti, qui e ora, arruolare la Conservazione Programmata nel flusso partecipativo del co-housing de La Biennale di Architettura o di ReBuild, ma sicuramente il farsi servizio (contratto di) del Bene da Conservare Programmaticamente è eloquente di una posizione inedita, nei potenziali contratti di concessione o di sponsorizzazione, tutto sommato equilibrata, tra la vena «aziendalista» e quella «giustizialista» relativa ai Beni Culturali.
D'altronde, l'Occupancy è al centro delle forme contrattuali partenariali relative ai Beni Culturali: Mobiliari e Immobiliari.
Ecco: vorremmo tanto ricordare le ontologie oppure le cantieristiche della Conservazione Programmata, ma, invece, occorre entrare in corpore vili nell'essenza della questione: la riforma, controversa, degli organi di tutela e i processi di digitalizzazione degli artigiani della preservazione.
Qui, con la consueta saggezza, Stefano Della Torre, che dell'evento milanese è stato il gran cerimoniere, e pour cause, apriva con la constatazione dei sorprendenti avanzamenti occorsi in questi anni al BIM con l'Acca Aspirata, e concludeva invitando a dar corso, infine, alle linee guida ministeriali, da tempo attese, per cui capitalizzare la legacy del Programma di Ricerca testé illustrato.
Difficile dire ove risiedano i confini della disciplinarietà e quelli della militanza operante, della «politicità» delle cose.
Ma occorre domandarsi se, in questo Paese, Domanda Pubblica (Enti Gestori e Organi di Tutela) e Offerta Privata, possano, da sole, governare Conoscenza e Rischio.
Quale possa essere in tutto ciò il ruolo dell'Accademia è oggetto di controversie, i gradi di interventismo sono differenziati, ma veramente serve una politica (industriale) per questo particolare ambito dell'Ambiente Costruito.
E nello stesso giorno il MIT discorreva di Infrastrutture Digitali e di Smart Road con l'Unità di Missione condotta da Ennio Cascetta. Un esempio da imitare?