Calcestruzzo Armato | Architettura
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Ripristino architettonico delle parti in calcestruzzo dello Unity Temple di FRANK LLOYD WRIGHT

Al fine di inquadrare il presente contributo è opportuno soffermarsi sul rapporto che ha strettamente legato gli architetti del movimento moderno e il calcestruzzo armato.

Articolo tratto da Concrete2014 - Progetto e Tecnologia per il Costruito Tra XX e XXI secolo

1 Introduzione

Al fine di inquadrare il presente contributo è opportuno soffermarsi sul rapporto che ha strettamente legato gli architetti del movimento moderno e il calcestruzzo armato.

Ogni nuovo “linguaggio”, nel muovere i suoi primi passi, come è accaduto in molti altri periodi della storia dell’architettura, utilizza quei materiali che meglio ne sottolineano gli aspetti formali ed espressivi. Il calcestruzzo lasciato a vista, con la sua apparenza materica e la sua scarna essenzialità, ben si adatta al nuovo linguaggio che ha tra i suoi obiettivi fondamentali quello di “abbattere le vuote decorazioni del passato”.

Queste sue caratteristiche, accanto alle capacità strutturali, rendono il calcestruzzo armato uno dei materiali privilegiati dagli architetti che si richiamano al movimento razionalista. In Europa è Le Corbusier che nel Padiglione svizzero della Cité Universitaire di Parigi, utilizza per la prima volta, nei grandi pilastri del piano terra, il calcestruzzo lasciato a vista, così come uscito dalle casseforme di legno, sfruttando l’impronta delle tavole per rendere la superficie maggiormente vibrante. Successivamente utilizzerà spesso questa tecnologia tanto da farla diventare un aspetto originale del suo linguaggio (in particolare le Unità di Abitazione, il noviziato dei domenicani La Tourette e Chandigarh dove il bèton brut, che darà il nome al movimento del Brutalismo, diviene anche espressione formale di alta qualità).

Molti altri grandi maestri del movimento moderno utilizzeranno, contemporaneamente e successivamente a Le Corbusier, l’espressività del calcestruzzo per connotare le proprie opere. In particolare vanno ricordati Saarinnen (terminal della TWA all’aeroporto J. F. Kennedy, NY) e Louis Kahn (Salk Institute a la Jolla, California) che per la prima volta ricerca dal calcestruzzo a vista non più “la dignità di un volto con le rughe”, ma una perfezione geometrica e una superficie il più liscia possibile; inoltre i fori necessari all’irrigidimento delle casseforme vengono lasciati a vista e con l’introduzione di “bucature posticce” diventando l’unica decorazione geometrica delle facciate interne ed esterne. In Italia Pier Luigi Nervi prima sperimenta le potenzialità strutturali del materiale e successivamente anche quelle estetiche, adoperando cementi bianchi mescolati con inerti di marmo di Carrara, casseforme sperimentali per ottenere superfici sempre più lisce e lavorazioni superficiali ideali per far risaltare la bellezza del materiale (ad esempio le colonne a fungo della Grande Sala delle Audizioni in Vaticano martellinate con gli inerti bianchissimi in evidenza).

Oltre a Nervi, in Italia vanno ricordati Vittoriano Viganò (l’Istituto Marchiondi a Milano è il primo edificio brutalista italiano), i fiorentini Giovanni Michelucci (Chiesa dell’Immacolata Concezione della Vergine a Longarone), Leonardo Ricci (complesso residenziale di Sorgane a Firenze) e Leonardo Savioli (edificio per abitazione in via Piagentina a Firenze), che sperimentano al limite le potenzialità strutturali ed estetiche del conglomerato cementizio, e Carlo Scarpa che negli anni settanta utilizza il calcestruzzo faccia a vista come fosse realmente una pietra naturale accettandone incondizionatamente il processo di degrado provocato dal tempo (Tomba Brion a San Vito d’Altivole, TV).

Anche il movimento decostruttivista negli anni ottanta impiegherà largamente questa tecnica linguaggio: l’assunto di abbandonare i tradizionali piani verticali ed orizzontali, realizzando finestre non orientate secondo l’andamento dei piani di calpestio e creando spazi non più costretti nella tradizionale scatola parallelepipeda, trova un essenziale contributo nel calcestruzzo, che può essere plasmato in forme libere, condizionate solo dalla possibilità di realizzare le casseforme (ad esempio la caserma dei Vigili del Fuoco a Weil Am Rhein progettata da Zaha M. Hadid).

La chiesa Dives in Misericordiae a Roma progettata da Richard Mayer nel 2000 è un’ulteriore dimostrazione delle potenzialità plastiche ed estetiche del calcestruzzo faccia a vista, abbinate ad una sperimentazione e innovazione dei materiali impiegati e delle tecnologie costruttive; l’utilizzo di un “cemento ecologico mangia smog” che permette al paramento di rimanere candido nel tempo rappresenta ad oggi soltanto un esempio di una sperimentazione sempre in evoluzione.

I fenomeni di decadimento dell’architettura contemporanea

L’architettura moderna è stata condizionata in maniera rilevante dal contesto sociale, politico ed economico nel quale è nata e maturata e del quale ha risentito profondamente in termini di qualità tecnologica in senso stretto ed architettonica nel senso più ampio del termine.

È proprio in quegli anni che la tecnologia costruttiva del calcestruzzo armato raggiunge l’apice del suo successo: le antiche costruzioni vengono sistematicamente abbandonate a favore di un modello abitativo e costruttivo più sicuro e più funzionale1 .

In questa rapida ascesa vanno però in parte rintracciate anche le ragioni della sua parziale sconfitta: una frenesia speculativa legata ad una eccessiva fiducia nella standardizzazione del processo costruttivo ha portato a disattendere la qualità e l’accuratezza dell’opera, riducendo drammaticamente le prestazioni e la durevolezza dei manufatti. Gravi situazioni di decadimento edilizio, infatti, contraddistinguono, a pochi decenni dalla loro costruzione, molte tra le grandi opere architettoniche del movimento moderno, ponendone in crisi i valori formali dell’immagine architettonica e, talvolta, la consistenza edilizia stessa.

A rendere più complessa e grave la situazione è il fatto che molte di queste opere non sono opportunamente tutelate e, di conseguenza, al decadimento fisico si è affiancata, negli anni, la leggerezza con cui sono stati applicati interventi di recupero, stravolgendone l’immagine originaria.

Buona parte dei difetti che caratterizzano parte dell’architettura del movimento moderno sono insiti proprio nel fatto di appartenere ad un periodo storico caratterizzato dall’irreversibile abbandono delle tecniche artigianali in favore dell’introduzione nel mondo della costruzione edile di materiali nuovi, dei processi industriali, e dalla espressa volontà di proporre innovazioni tecnologiche e modifiche strutturali con il preciso intento sperimentale di rifondare la tradizione costruttiva, in contrapposizione all’accademismo dell’architettura della fine del XIX secolo. Una discreta casistica di patologie ed alterazioni discende direttamente dalle stesse tecniche costruttive di questi edifici, che ne hanno radicalmente trasformato le logiche fondanti.

I tetti a falde inclinate hanno lasciato il posto a coperture piane, molto spesso non realizzate a regola d’arte, e quindi causa frequente di infiltrazioni di acque 248 Claudio Piferi meteoriche, che hanno comportato gravi conseguenze sia per i paramenti che per le strutture. Le cornici, le gronde, i gocciolatoi, gli zoccoli, ossia tutto il repertorio di membrature aggettanti di eredità classica, sono stati aboliti dal linguaggio architettonico moderno, determinando degradanti colature e macchie sulle superfici di facciata. I volumi sono stati nella maggior parte dei casi rivestiti di bianco, mediante l’applicazione di nuovi intonaci, o la giustapposizione di lastre di materiale lapideo sottile, manifestando in entrambi i casi evidenti limiti prestazionali. I serramenti in metallo o in legno (quando non addirittura in calcestruzzo) di grandi dimensioni a sviluppo prevalentemente orizzontale sono stati in molti casi seriamente danneggiati da imbarcamenti e deformazioni e dal deterioramento dei meccanismi di apertura. Si sono poi presentati una serie di problemi legati all’introduzione negli edifici degli impianti e di tutto ciò che in generale costituisce il sistema di adduzione energetica, spesso caratterizzata dalla modestia nella scelta dei materiali, e dalla obsolescenza dei componenti, che ne ha ben presto compromesso le prestazioni.

3. Lo Unity Temple di Oak Park, Illinois (F. L. Wright)

Circa 30 anni prima che Le Corbusier utilizzasse il calcestruzzo faccia a vista nelle colonne del padiglione svizzero, negli Stati uniti, ai primi del Novecento, Frank Lloyd Wright sperimenta le potenzialità costruttive ed estetiche del nuovo materiale nella progettazione dello Unity Temple di Oak Park nell’Illinois. Per descrivere brevemente l’importanza che questo edificio ha all’interno del movimento moderno basta ricordare che lo Unity Temple è l’ultimo edificio pubblico superstite dal periodo “Prairie” di Wright, ed è, oltre che uno dei più importanti progetti pubblici della sua lunga carriera, la più antica struttura ad essere ancora nelle mani dei suoi proprietari originari e tuttora utilizzato per lo stesso scopo per cui è stato costruito2 .


La costruzione dello Unity Temple venne commissionata a Wright nel 1905, quando un incendio rase al suolo la struttura esistente, incenerendola completamente. La forma del lotto lunga e stretta, la sua collocazione in un angolo molto rumoroso, oltre a problemi di budget, misero a dura prova il progettista, chiamato a realizzare una struttura che doveva diventare un importante luogo di incontro e scambio per la comunità, oltre che il principale luogo di culto. Il contratto iniziale prevedeva la consegna dell’opera per il 15 novembre 1906 ed una spesa complessiva di circa 40.000 dollari. Il budget era limitato se si considera che nella stessa zona i costi di costruzione di altri edifici religiosi variavano, all’epoca, dai 65.000 ai 100.000 dollari. I lavori di costruzione terminarono nel 1908 e la chiesa, inaugurata il 26 settembre del 1909, venne immediatamente riconosciuta quale emblema anche da parte della comunità internazionale. Wright, negli ultimi anni di vita, la indicò come suo grande contributo all’architettura moderna: “Unity Temple makes an entirelyd new architecture […] and is the first expression of it. That is my contribution to modern architecture. And that, to me, is modern architecture”

La committenza fu soddisfatta del progetto in quanto rispettava il budget previsto e usava tecniche di costruzione innovative abbinate ad un design audace che rompeva con la tradizione, ponendo le basi degli edifici moderni, abolendo, ad esempio, alcuni dei simboli dell’architettura religiosa americana ed europea quali il campanile e il grande portale di ingresso. L’uso del calcestruzzo armato, sia quale elemento strutturale innovativo, che come materiale di finitura, rappresenta un altro carattere distintivo del tempio, uno tra i primi edifici monumentali al mondo ad essere realizzato interamente in calcestruzzo gettato in opera con inerti a vista. La scelta di impiegare questo materiale si rivelò dapprima vincente, in quanto costituì un'occasione per esaltarne le straordinarie potenzialità espressivo-formali e tecnologico-strutturali, consentendo di creare prospetti di grande effetto, con un interessante gioco chiaroscurale garantito dalla lavorazione superficiale del paramento di facciata, scandito dalle grandi superfici vetrate e valorizzato mediante l’aggetto dei solai di copertura, permettendo di mettere in risalto la monumentalità del manufatto, la possibilità di creare spazi imponenti grazie all’impiego di grandi luci, ampie finestrature e superfici aggettanti d’impatto, mantenendo bassi i costi di costruzione.

La complessità del progetto, il budget limitato, l’assenza di informazioni in merito alla durabilità dei nuovi materiali e delle nuove soluzioni costruttive, abbinati alla oramai nota propensione di Wright a modificare i suoi progetti durante la costruzione e all'ostinazione con cui difendeva le proprie scelte, seppur tecnologicamente non adeguate, resero la fase di realizzazione complessa e compromisero sensibilmente la fase d’uso dell'edificio.

È emblematico, a tal proposito, quello che dissero i membri del Consiglio della Fondazione il giorno dell’inaugurazione nel ringraziare Wright: "We believe the building will long endure as a monument to his artistic genius and that, so long as it endures, it will stand forth as a masterpiece of art and architecture." Quel “so long as it endures” si rivelerà, da li a pochi anni, una precisazione significativa. A pochi anni dalla sua inaugurazione, infatti, l’edificio cominciò a mostrare tutta una serie di problematiche sia di carattere strutturale che prettamente estetico.

Nel 1938 William Drummond, un collaboratore di Wright, sottopose all’attenzione dell’architetto il problema del cedimento di una delle piastre di fondazione, ritrovandosi liquidato dal maestro, il quale evidenziava come la struttura avesse già brillantemente superato l’aspettativa di vita della costruzione, che era di soli 25 anni.

Più tardi il Village Oak Park Villane Buillding Department, temendo per le possibili conseguenze, transennò l’edificio proponendosi di risolvere il problema che nel frattempo si era aggravato in modo preoccupante. Se è innegabile l'importanza che le scelte architettoniche hanno avuto nel progetto di Wright (l’uso sperimentale del calcestruzzo faccia a vista e l’impiego delle coperture piane ad esempio), è altrettanto evidente, da subito, come tali soluzioni, non supportate da una adeguata esperienza e da materiali idonei per lo specifico periodo, ne abbiano definito la vulnerabilità fisica. Le infiltrazioni di acqua all'interno dell'edificio (per molti studiosi un problema ricorrente nelle architetture di Wright) sono state continue e distruttive danneggiando l'integrità del calcestruzzo (sia strutturale che di facciata), del sistema di copertura e delle finiture interne

Sebbene dopo neanche 30 anni dalla sua costruzione l'immobile cominciasse ad evidenziare fenomeni di degrado preoccupanti, è soltanto dagli anni Settanta che si è iniziato a programmare correttamente l’intervento per il ripristino e per la conservazione a lungo termine dell'opera.


Nel 1973 venne fondata la Unity Temple Restoration Fondation, con l’intento di organizzare il restauro complessivo della costruzione ed il proposito di terminare l’intervento entro il 2008, centesimo anniversario dalla costruzione. Venne redatto un Master Plan, strumento indispensabile per coordinare tutta una serie di interventi che andavano dal ripristino del calcestruzzo e delle vetrate artistiche, fino al rifacimento dei corpi illuminanti, all’adeguamento dell’impianto Concrete2014 - Progetto e Tecnologia per il Costruito Tra XX e XXI secolo elettrico, alla ritinteggiatura e alla risoluzione dei problemi di umidità derivanti dalla condensa e dalle infiltrazioni di acqua. L'analisi, il sondaggio, la valutazione delle condizioni del calcestruzzo e lo sviluppo di un piano di ripristino graduale furono commissionate al CTLGroup (Construction, Technology Laboratories), filiale della Portland Cement Association. Il CTLG raccolse dapprima i dati storici ed effettuò gli esami visivi: successivamente eseguì le prove in situ (non distruttive) e le prove in laboratorio su prelievi mirati, fece un esame critico comparativo dei dati raccolti ed infine emise la diagnosi. L’analisi storica rilevò, tra l'altro, l’uso di tre specifiche tipologie di calcestruzzo: un Portland cement facing mortar, uno stone concrete e uno structural cinder concrete (per le lastre a sbalzo). L'ispezione visiva permise di monitorare, nello specifico, i fenomeni di fessurazione, di laminazione e scheggiatura dei paramenti in calcestruzzo, la corrosione evidente di alcune colonne ornamentali e l’inflessione dei terrazzi che avevano causato l’esposizione delle armature agli agenti atmosferici. Figura 3: Distacco del paramento in calcestruzzo faccia a vista Figura 4: Dettaglio di una colonna a restauro ultimato Le prime indagini in situ eseguite con tecniche di analisi non distruttive, tra cui quelle ultrasoniche, si rivelarono in parte imprecise, in quanto stimarono l’armatura esistente insufficiente al sostegno delle travi a sbalzo, suggerendo la demolizione di tutti gli aggetti quale unica soluzione praticabile. Tale diagnosi era in parte supportata dall’analisi storica di altre architetture progettate da Wright, tra cui la casa Kauffman sulla cascata, per la quale l’utilizzo di armature insufficienti e di sezione ridotta, causarono l’inflessione delle grandi terrazze a pochi mesi dalla scasseratura, con conseguenti fessurazioni e infiltrazioni3 . Furono fatti prelievi e carotaggi mirati che confermarono, grazie alle prove di 251 Claudio Piferi Nel 1938 William Drummond, un collaboratore di Wright, sottopose all’attenzione dell’architetto il problema del cedimento di una delle piastre di fondazione, ritrovandosi liquidato dal maestro, il quale evidenziava come la struttura avesse già brillantemente superato l’aspettativa di vita della costruzione, che era di soli 25 anni. Più tardi il Village Oak Park Villane Buillding Department, temendo per le possibili conseguenze, transennò l’edificio proponendosi di risolvere il problema che nel frattempo si era aggravato in modo preoccupante. Se è innegabile l'importanza che le scelte architettoniche hanno avuto nel progetto di Wright (l’uso sperimentale del calcestruzzo faccia a vista e l’impiego delle coperture piane ad esempio), è altrettanto evidente, da subito, come tali soluzioni, non supportate da una adeguata esperienza e da materiali idonei per lo specifico periodo, ne abbiano definito la vulnerabilità fisica. Le infiltrazioni di acqua all'interno dell'edificio (per molti studiosi un problema ricorrente nelle architetture di Wright) sono state continue e distruttive danneggiando l'integrità del calcestruzzo (sia strutturale che di facciata), del sistema di copertura e delle finiture interne. Sebbene dopo neanche 30 anni dalla sua costruzione l'immobile cominciasse ad evidenziare fenomeni di degrado preoccupanti, è soltanto dagli anni Settanta che si è iniziato a programmare correttamente l’intervento per il ripristino e per la conservazione a lungo termine dell'opera. Figura 2: Degrado di una delle lastre di copertura Nel 1973 venne fondata la Unity Temple Restoration Fondation, con l’intento di organizzare il restauro complessivo della costruzione ed il proposito di terminare l’intervento entro il 2008, centesimo anniversario dalla costruzione. Venne redatto un Master Plan, strumento indispensabile per coordinare tutta una serie di interventi che andavano dal ripristino del calcestruzzo e delle vetrate artistiche, fino al rifacimento dei corpi illuminanti, all’adeguamento dell’impianto Concrete2014 - Progetto e Tecnologia per il Costruito Tra XX e XXI secolo elettrico, alla ritinteggiatura e alla risoluzione dei problemi di umidità derivanti dalla condensa e dalle infiltrazioni di acqua. L'analisi, il sondaggio, la valutazione delle condizioni del calcestruzzo e lo sviluppo di un piano di ripristino graduale furono commissionate al CTLGroup (Construction, Technology Laboratories), filiale della Portland Cement Association. Il CTLG raccolse dapprima i dati storici ed effettuò gli esami visivi: successivamente eseguì le prove in situ (non distruttive) e le prove in laboratorio su prelievi mirati, fece un esame critico comparativo dei dati raccolti ed infine emise la diagnosi. L’analisi storica rilevò, tra l'altro, l’uso di tre specifiche tipologie di calcestruzzo: un Portland cement facing mortar, uno stone concrete e uno structural cinder concrete (per le lastre a sbalzo). L'ispezione visiva permise di monitorare, nello specifico, i fenomeni di fessurazione, di laminazione e scheggiatura dei paramenti in calcestruzzo, la corrosione evidente di alcune colonne ornamentali e l’inflessione dei terrazzi che avevano causato l’esposizione delle armature agli agenti atmosferici.


Le prime indagini in situ eseguite con tecniche di analisi non distruttive, tra cui quelle ultrasoniche, si rivelarono in parte imprecise, in quanto stimarono l’armatura esistente insufficiente al sostegno delle travi a sbalzo, suggerendo la demolizione di tutti gli aggetti quale unica soluzione praticabile. Tale diagnosi era in parte supportata dall’analisi storica di altre architetture progettate da Wright, tra cui la casa Kauffman sulla cascata, per la quale l’utilizzo di armature insufficienti e di sezione ridotta, causarono l’inflessione delle grandi terrazze a pochi mesi dalla scasseratura, con conseguenti fessurazioni e infiltrazioni3 . Furono fatti prelievi e carotaggi mirati che confermarono, grazie alle prove di 252 Claudio Piferi laboratorio, i risultati dell'analisi storica e dell'esame visivo, ma smentirono parzialmente le analisi non distruttive, dimostrando l’adeguatezza dell’armatura rispetto alle sollecitazioni cui la struttura era sottoposta. Le prove più invasive confermarono, inoltre, che la causa del distacco di porzioni di calcestruzzo era dovuta anche alle specifiche chimiche degli aggregati utilizzati, particolarmente ricchi di particelle di ferro. Il Master Plan del recupero, predisposto dall'architetto T. Gunny Harboe, programmava, successivamente all'analisi, la suddivisione dell'intervento in tre fasi specifiche (I - rafforzamento della struttura, II - controllo della temperatura e dell’umidità, III - ripristino degli interni).

La Fase I prevedeva il consolidamento, e in parte la sostituzione, degli elementi strutturali tra cui la piastra di fondazione, sei travi aggettanti, una colonna, i parapetti, il camino, le lastre di copertura del tetto e i canali di scolo, oltre al ripristino dei paramenti esterni in calcestruzzo faccia a vista, delle lastre del tetto sopra l’ingresso e delle fioriere ornamentali sempre in calcestruzzo a vista. Oltre al recupero degli elementi faccia a vista, la prima fase prevedeva il restauro delle terrazze, del muro di contenimento ad est, dei lucernari e delle vetrate artistiche.

La messa a punto della prima fase avrebbe permesso, inoltre, di prevenire un ulteriore deterioramento della struttura, di garantire la stabilità strutturale dell'edificio e di prevenire ulteriori danni alla finiture interne. I lavori dovevano essere completati in massimo 5 anni ed avere un costo di 5-7 milioni di dollari.


Gli interventi sugli elementi in calcestruzzo si attuarono essenzialmente su due fronti: da un lato il consolidamento strutturale mediante l’inserimento di nuove armature o la sostituzione totale degli elementi, e dall’altro il trattamento della carbonatazione del calcestruzzo e il ripristino volumetrico e superficiale dei paramenti. Se l’armatura e il calcestruzzo, infatti, nell’ambiente alcalino dell’impasto cementizio coesistevano tranquillamente, con il trascorrere del tempo, a causa del naturale scambio chimico tra il biossido di carbonio contenuto nell’atmosfera e i componenti della pasta cementizia, il fenomeno di carbonatazione rese più acido l’ambiente alcalino, favorendo l’ossidazione dell’armatura in presenza di umidità.

Durante il ciclo di vita, infatti, numerose fessurazioni, causate dai fenomeni di scorrimento, avevano compromesso le pareti esterne, dal substrato di calcestruzzo alla superficie con inerti a vista.

La demolizione delle parti in calcestruzzo è stata operata in tutta sicurezza senza dover utilizzare alcun tipo di protezione. A causa dei possibili danni collaterali determinati dalle vibrazioni (tra cui non solo la rottura delle grandi vetrate, ma anche il possibile distacco del calcestruzzo dalle armature), non furono utilizzate, neppure per la rimozione di strati superficiali, attrezzature ad aria compressa, ma si fece ricorso all’utilizzo di un agente di demolizione non esplosivo che ha la proprietà di demolire in tutta sicurezza il calcestruzzo senza produrre rumore, vibrazioni, lanci di detriti o inquinamento ambientale. Questo agente, una polvere simile ad un cemento pronto all'uso, miscelato con acqua, da vita ad un impasto che, colato in fori appositamente ricavati nel calcestruzzo, provoca la frantumazione dello stesso a causa dell'espansione di volume che il prodotto subisce in fase di consolidamento (la spinta generata è di circa 6000 t/m2).

Per ciò che riguarda il ripristino della tessitura superficiale si è operato dapprima con la preparazione del sottofondo, poi con la protezione dei ferri e infine con il ripristino volumetrico e la finitura.

Per quanto riguarda la preparazione del sottofondo è stato rimosso il materiale ammalorato fino ad arrivare ad un calcestruzzo meccanicamente resistente e irruvidito con asperità di circa 5 mm: lo spessore di calcestruzzo rimosso è stato pari a quello che, in base alle indagini diagnostiche, è risultato essere ormai penetrato dagli agenti aggressivi, anche se ancora non completamente danneggiato. In questo modo è stato rimosso il copriferro danneggiato consentendo la liberazione delle armature arrugginite dal materiale più deteriorato.

L’operazione di asportazione è stata eseguita manualmente in modo da evitare la trasmissione di dannose vibrazioni alla struttura.

Nei casi in cui le barre d’armatura erano compromesse dalla corrosione per oltre il 40% del diametro e lo spessore era sufficiente, è stata introdotta una rete elettrosaldata applicata direttamente sul sottofondo e fissata con chiodi in modo da garantire un copriferro di almeno 15 mm. Infine è stato saturato di umidità il sottofondo bagnandolo con acqua a pressione al fine di evitare sottrazione di acqua alla malta da applicare successivamente con conseguente perdita delle caratteristiche espansive. La fase di pulitura si è conclusa con un test che prevede l’applicazione sulle parti trattate di un reagente a base di fenolftaleina4 . Successivamente i ferri sono stati trattati con uno strato sottile di malta passivante che, oltre a svolgere un’azione anticorrosiva, funge da strato di aggrappaggio per i successivi trattamenti per il ripristino volumetrico. Le malte passivanti utilizzate sono costituite da cemento, resine bicomponenti e additivi, in grado di inibire l’alterazione del metallo in esercizio e la formazione di composti espansivi e sono state stese a pennello su tutti gli elementi metallici, sia nuovi che preesistenti, in due mani successive5 .

La scelta dei materiali più idonei da impiegare nel ripristino volumetrico è dipeso fortemente dalle considerazioni emerse dall’analisi dei dati storici, e quindi dalla composizione originaria della miscela, e dalla diagnosi del degrado, ovvero dalle cause che lo hanno provocato. I materiali da utilizzare, quindi, dovevano essere in grado di resistere alle sollecitazioni di carattere chimico, fisico e meccanico alle quali non era stato in grado di resistere il calcestruzzo originale e di ridare alle facciate l’aspetto originario tenendo conto anche della specifica tecnica esecutiva da adottare per l’intervento di ripristino.

Per il ripristino sono stati utilizzati prodotti a base cementizia6 , nei lavori di restauro che hanno coinvolto spessori più elevati, e materiali a base polimerica7 (resine epossidiche, poliuretaniche) per il rivestimento di spessori minori (0,1-2 mm). Grande attenzione, come detto, è stata posta al composto impiegato per il ripristino volumetrico, per il quale fu preteso l’utilizzo di inerti a vista ricavati dalla stessa cava utilizzata per il confezionamento del paramento originario. Per il corretto mix design della miscela sono state effettuate diverse prove per individuare gli aggregati più simili agli originali sia per forma che per colore: una volta individuate morfologia, dimensioni e tinta, è stato acquistato il quantitativo necessario per l'intero intervento, così da scongiurare l'eventuale futura necessità di dover acquistare materiale non idoneo per il restauro. La nuova miscela, additivata con prodotti acceleranti di presa che garantiscono l'aggrappo immediato del calcestruzzo nel momento in cui entra in contatto con il sottofondo, è stata messa in opera con la tecnica dello Shotcrete, ovvero del calcestruzzo spruzzato, mediante una lancia ad aria compressa. Questa tecnologia è apparsa la più idonea sia perché in grado di garantire resistenze meccaniche elevate in tempi ridotti, sia per l’ottenimento di una superficie omogenea e compatta, con una finitura simile all’originale con gli inerti a vista, quindi senza l’utilizzo di casseforme.

Per prevenire la futura corrosione delle armature sono state inoltre applicate iniezioni di idrossido di litio a bassa pressione, in grado di aumentare il pH del composto. Le operazioni di finitura sono state minime rispetto ad altri interventi di ripristino di paramenti di facciata in calcestruzzo faccia a vista, in quanto per la specifica tipologia di tessitura, la fase del ripristino volumetrico ha in buona parte sostituito la fase di finitura8.

L’operazione ha riguardato essenzialmente la rimozione della malta in eccesso dalle zone di maggiore accumulo, con una spatola di legno, al fine di rendere più o meno planare la superficie prestando attenzione a non comprometterne la finitura superficiale.

L'intervento di restauro è stato completato con la fase II, che ha previsto la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, attraverso la realizzazione di un sistema HVAC geotermico, il rifacimento degli impianti elettrici, idraulici, antincendio e sicurezza e la fase III che ha riguardato il ripristino e la conservazione delle vetrate interne, degli intonaci, delle vernici, dei cementi e dei pavimenti in magnesite, degli apparecchi di illuminazione in vetro e degli arredi e delle finiture in rovere.

Il costo complessivo del restauro dello Unity Temple è ammontato a circa 15 milioni di euro e la stessa congregazione per riuscire a sostenerlo si è ritrovata costretta a mettere all'asta e a vendere alcuni degli arredi originali progettati da Wright.

Bibliografia

Piferi, C. - Qualità e degrado dei paramenti in calcestruzzo faccia a vista. Basi conoscitive e strutturazione di dati per la progettazione, la messa in opera e il ripristino, EditriceZONA, Arezzo, 2012. Coppola, L. - Il ripristino e consolidamento delle strutture esistenti in calcestruzzo armato e precompresso, Kerakoll Group, Sassuolo (MO), 2009. Marino, R. - La durabilità delle strutture. Calcestruzzo e normativa, La Fiaccola, Milano, 2007. Piferi, C. - Quality and deterioration of the architectural concrete facades” in Construction in XXI century: Local and global challenges, in Joint 2006 CIB W065/W055/W086 international symposium proceedings (edited by R. Pietroforte, E. De Angelis, F. Polverino), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2006, pp. 408-409. Piferi, C.; Di Salvatore, S. - Theory and Pratice in Conservation. A tribute to Cesare Brandi (edited by J. Delgado Rodrigues, J. M. Mimoso), Lisbona, May 2006, pp. 293-302. Piferi, C.; Marino, R. Il calcestruzzo faccia a vista. IN Concreto, Maggioli Editore, Vol. 66 (2005). Collepardi, M.; Coppola, L.; Pistoleri C. Materiali e tecnologie per il restauro delle opere in calcestruzzo. Enco Journal. Vol. 14 (2001). Rossetti, V. A. - Il calcestruzzo, McGraw-Hill, Milano, 1999. Coppola, L. La diagnosi del degrado delle strutture in calcestruzzo. L'Industria Italiana del cemento. Vol. 10 (1993). Gimma, M. G. - Il restauro dell'architettura moderna, Betagamma editrice, Roma 1992. 256 Claudio Piferi Avramidou, N. - Criteri di progettazione per il restauro delle strutture in cemento armato, Liguori Editore, Napoli, 1990.

 

 

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