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Prove non distruttive per la diagnosi delle costruzioni - Parte I

Salvo le solite meritorie eccezioni, né l’ingegnere civile/edile né l’architetto sono in grado, al contrario dei medici, di scegliere il mezzo analitico più adatto per arrivare alla diagnosi. Né spesso sono in grado di precisare dove fare il prelievo del campione dell’edificio e della struttura da sottoporre ad analisi diagnostica. E’ come se il clinico o il chirurgo non sapesse se l’analisi del contenuto di azoto va fatta sul sangue o sulla saliva.

La ragione di questa distonia tra la scienza medica e quella delle costruzioni sta soprattutto nel fatto che nei corsi universitari i medici apprendono – sia pure da studenti e non certo da specialisti – le possibilità offerte dalle tecniche chimiche, fisiche, biologiche per una corretta emissione della diagnosi; al contrario, i geometri nelle scuole superiori, gli ingegneri civili/edili e gli architetti nelle università sono pressoché digiuni dei progressi nel settore diagnostico. Pertanto essi sono costretti spesso ad affidarsi allo stregone di turno solitamente chiamato “il chimico” – anche se poi spesso le prove sono di carattere fisico, mineralogico, ingegneristico oltre che chimico – perché sia lui a stabilire quali e quanti prelievi effettuare, quali tipi di misure eseguire ed interpretare, per arrivare non solo alla diagnosi ma possibilmente anche al rimedio proposto.

L’obiettivo di questo articolo è quello di offrire, sia pure in modo non esaustivo, ai tecnici delle costruzioni gli elementi fondamentali delle varie tecniche diagnostiche, affinché siano in grado di scegliere autonomamente quali siano le più appropriate allo specifico caso, e soprattutto di interpretarne i risultati insieme a tutte le altre informazioni al contorno.
Diagnosi e prove: La diagnosi del deterioramento di un edificio storico o di una struttura in c.a. consiste nella raccolta di dati sperimentali che – unitamente alle informazioni al contorno, di carattere ambientale, climatico, storico, strutturale – consente di stabilire le cause del deterioramento della struttura in genere, e del degrado dei materiali in particolare, come è schematicamente illustrato nella Fig. 1


La raccolta di dati sperimentali si basa sull’esecuzione di prove che possono essere suddivise in distruttive o non-distruttive.
La distinzione tra prove distruttive e prove non-distruttive (1) consiste fondamentalmente nel fatto che le prime si basano su prove sperimentali, generalmente eseguite in laboratorio, effettuate su provini geometrici o campioni informi (schegge o polvere) prelevati dalla struttura: ne consegue che esse prevedono in genere lo scrostamento di frammenti di intonaco, il sollevamento sia pure parziale di un rivestimento del pavimento, il carotaggio di una muratura, ecc., tutte operazioni che possono arrecare una compromissione, sia pure modesta o trascurabile, a costruzioni quantomeno sospettate di essere coinvolte da un processo di deterioramento.

Le prove non-distruttive, invece, presentano il vantaggio di fornire elementi utili alla interpretazione del potenziale deterioramento in atto, senza minimamente danneggiare lo stato dell’edificio o della struttura in c.a. dal punto di vista estetico o strutturale.

Le prove non-distruttive consistono in test di carattere prevalentemente fisico o fisico-meccanico da eseguire in sito sulla struttura; le prove distruttive, invece, sono prevalentemente di carattere chimico o chimico-fisico da effettuare in laboratorio. Inoltre, le prove non-distruttive in sito forniscono dei dati soprattutto sul dissesto delle strutture (per esempio: cedimenti fondazionali, sovraccarichi, ecc.) che non necessariamente coinvolgono il degrado dei materiali. Le prove distruttive effettuate in laboratorio, invece, sono prevalentemente finalizzate alla valutazione del degrado dei materiali (per esempio: distacco parziale di intonaco, rigonfiamento di una muratura, corrosione di un metallo, ecc.) che non necessariamente significano un dissesto strutturale dell’edificio.

In generale, è molto difficile che con le sole prove non-distruttive si possa arrivare ad una diagnosi corretta del degrado di una struttura. Molto spesso, esse devono essere accompagnate da quelle distruttive. L’accoppiamento di prove distruttive e non-distruttive, oltre al carattere di complementarità e di completezza dell’informazione desunta, presenta anche il vantaggio di ridurre globalmente il numero totale delle prove da eseguire e quindi il costo generale della diagnosi: infatti, in linea di massima, il costo della singola prova di laboratorio è relativamente basso, ma si richiede un numero relativamente elevato di prove sui diversi prelievi, rispetto alle prove non-distruttive, per poter emettere una diagnosi.

Nella Tabella 1 sono schematicamente riassunte le caratteristiche sopra menzionate delle prove distruttive e non-distruttive.

Lo scopo principale delle prove non-distruttive in sito è quello di fornire elementi utili non tanto e non solo per emettere direttamente una diagnosi, quanto e soprattutto per guidare il tecnico in un prelievo finalizzato dei campioni e dei provini da sottoporre a poche e ben mirate prove di laboratorio.

Il contributo delle prove distruttive all’interpretazione del degrado dei materiali è molto maggiore che non di quelle non-distruttive. Infatti, le prove non–distruttive possono evidenziare dove e in che misura il degrado è in atto nell’ambito globale di un edificio (per esempio: un processo fessurativo localizzato in una parete) ma non sempre, senza le prove di laboratorio, potranno spiegare perché il degrado si è innescato e propagato. D’altra parte, senza una comprensione del meccanismo di degrado, si rischia con una diagnosi incompleta di mettere in atto un restauro inefficace e che, a distanza di tempo, ripropone, e talvolta aggrava, i mali originari.

Nei paragrafi che seguono verranno esaminate le principali prove non-distruttive e distruttive, precisando subito che nelle seconde, salvo quelle di carattere meccanico, la massa del campione occorrente per la singola prova è in genere piuttosto modesta (da qualche milligrammo a qualche grammo).

PROVE NON-DISTRUTTIVE

Le prove non-distruttive possono essere formalmente suddivise in due tipi: passive ed attive. Le prime rilevano quei fenomeni fisici che si verificano naturalmente, mentre le seconde richiedono un’eccitazione artificiale, di natura termica, elettrica, acustica, ecc. a seconda del fenomeno fisico coinvolto nella prova. Nella Tabella 2 è mostrato un elenco delle principali prove non-distruttive.


Le prove non-distruttive sono in genere caratterizzate dalle seguenti proprietà:

  • mantengono integra la struttura indagata;
  • informano in modo globale, rapido e semplice;
  • forniscono risultati sia qualitativi che quantitativi (o comunque comparativi).

Fotografia: Per quanto banale possa sembrare, la documentazione fotografica è una prova non-distruttiva che sempre dovrebbe accompagnare una diagnosi, anche e soprattutto se seguita da prove distruttive in laboratorio, per evidenziare dove sono localizzati i prelievi sottoposti alle altre osservazioni o analisi (Fig. 2).


Essa dovrebbe includere sia la visione d’insieme della struttura da indagare, sia il dettaglio dei particolari esaminati, ripresi con tele- o macro-obiettivi, possibilmente identificati con un codice per consentire al lettore un facile ed immediato riferimento alla struttura generale.

A questo scopo una rappresentazione grafica di piante, sezioni, ecc. dell’opera da esaminare possono essere allegate alla documentazione fotografica per meglio chiarire la distribuzione dei difetti e dei prelievi.

Ovviamente si può anche arrivare ad un vero e proprio rilievo topografico.

Termografia: Il principio teorico della termografia è basato sul fatto che qualsiasi oggetto che si trova ad una determinata temperatura emette un flusso di energia regolato dalla legge di Stefan-Bolzman:



Immaginando che una struttura composita, come una muratura, sia esposta nelle stesse condizioni termiche (per esempio all’irraggiamento solare), i singoli elementi (pietra, mattone, ecc.) si porteranno ad una diversa temperatura in funzione delle loro proprietà termiche, ed in particolare del loro calore specifico e della loro conducibilità termica (Tabella 3): per esempio, una pietra caratterizzata in genere da una maggiore conducibilità termica e da un minor calore specifico, rispetto ad un mattone, raggiungerà più rapidamente una maggiore temperatura, dopo un determinato periodo di insolazione (Fig. 3 A); ancor maggiore è la differenza di comportamento tra la pietra e l’eventuale intonaco. A seguito di queste diverse proprietà la pietra si riscalderà più del mattone e questo più della malta con la conseguenza che, a parità di irraggiamento solare, assumeranno temperature diverse.


D’altra parte, terminato l’irraggiamento solare, la pietra si raffredderà più rapidamente del mattone (Fig. 3 B). L’eventuale intonaco sugli elementi in pietra e mattone risentirà delle differenze termiche così instauratesi ed assumerà temperature diverse (Fig. 3 C), sia pure con una differenza attenuata rispetto alle murature non intonacate.


Fig. 3 – Una muratura mista (in pietra e mattone) in fase di irraggiamento solare (A) ed emissione termica (B): a destra il profilo termico (C) rilevato con la termografia (T=temperatura). La lunghezza delle frecce p proporzionale alla temperatura

Ad ogni modo, ciascun elemento emetterà un flusso di energia in accordo con la legge di Stefan- Bolzman, in funzione della temperatura raggiunta (T) e della sua emissività (ε). La termografia consiste nel registrare, mediante un rilevatore ad infrarosso, le temperature raggiunte dai vari elementi presenti in una muratura. Il rilevatore impiegato consente, in particolare, di misurare le radiazioni infrarosse (IR) comprese nell’intervallo di lunghezza d’onda tra 2 e circa 6 μm.
Mediante un sistema ottico (costituito da varie lenti) ed elettrico (capace di tramutare in un segnale elettrico l’intensità della radiazione ricevuta) le differenze di temperature vengono registrate, attraverso un termogramma consistente nella registrazione grafica di tonalità monocromatiche (varianti dal bianco al nero) proporzionali alle diverse temperature. L’indagine si effettua riprendendo con una telecamera la superficie dell’edificio in esame, visualizzando il termogramma su un monitor, e registrandolo mediante fotografia in bianco e nero o attraverso un video registratore.

Segue in allegato