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La tecnologia per la buona regola costruttiva antisismica

Viaggio nelle tecnologie costruttive antisismiche del passato fino a quelle attuali.

Viaggio nelle tecnologie costruttive antisismiche del passato fino a quelle attuali.
 
La questione sismica non può essere considerata una problematica recente, nel senso più largo del termine, in quanto essa accompagna lo sviluppo del costruito fin da tempi remotissimi caratterizzando profondamente l’ “Arte del fabbricare”.
 
In effetti svariati i ritrovamenti archeologici che hanno dimostrato come le tecniche costruttive spesso erano influenzate nella loro evoluzione proprio dalla necessità di minimizzare l’impatto dei terremoti sulla costruzione. Tale modalità progettuale si rintraccia proprio nelle regioni particolarmente colpite da attività sismica e risultano concentrate, in particolare, in area mediterranea dove la civiltà costruttiva ha visto il suo maggiore sviluppo.
 
La tecnologia, quindi, è la fonte ispiratrice di tale costante attenzione dei costruttori per la riduzione di quello che oggi definiamo rischio sismico dimostrando da subito come la vera strada maestra per l’antisismicità del costruito sia la buona regola nel fabbricare andando oltre le verifiche numeriche necessarie ma conseguenziali.
 
Se perseguiamo questa convinzione sembra buona cosa scorrere preventivamente quelle particolari regole adottate in vari siti del mediterraneo per comprendere quanto affermato nella precedente introduzione. Ad esempio sembra sintomatico segnalare come nella fascia di territorio compresa tra le catene montuose dell’Anatolia, del Caucaso e dell’Iran, e che si estende dall’area della Palestina fino alla Siria in una zona ad altissima sismicità, il sito più importante è costituito dalla biblica Gerico. Scoperta e portata alla luce tra il 1907 ed il 1909, le successive campagne condotte negli anni trenta e cinquanta datarono l’insediamento intorno all’8000 a.C. Di grande importanza le tecniche costruttive sviluppate in tale periodo. Esse prevedevano l’uso di mattoni crudi per gli edifici, l’uso della struttura voltata e di murature particolarmente spesse per la cinta difensiva. Dopo tale periodo, all’incirca duemila anni, la tecnica non prevede più l’uso di mattoni crudi ma di elementi appiattiti e lunghi mentre nel piccolo villaggio di Beidha è rilevata una tecnica costruttiva decisamente diversa che prevede che gli edifici siano scavati in parte nel terreno mentre le murature sono a secco.
 
Altro centro importante è Giarmo, nel Kurdistan, dove nel 6500 a.C. si riscontrano edifici a pianta rettangolare realizzati con blocchi di fango rinforzati da canne che a loro volta venivano ricoperte e legate con altro strato di fango a realizzare una sorta di muratura armata. Per quanto riguarda l’Anatolia notevole l’importanza di Catal Hoyuk dove l’insediamento mostra l’uso di mattoni crudi con inserti in legno. In Mesopotamia, invece, importante l’uso di argilla pressata in una prima fase e di mattoni di argilla in una successiva, più evoluta, nonché di contrafforti posti negli spigoli degli edifici.
Passando all’altra sponda del Mediterraneo, in altra zona ad altissima sismicità, in età cretese-micenea, nella cittadella di Akrotiri si rileva una tecnica costruttiva per gli edifici soprattutto residenziali fino a quattro piani abbastanza evoluta con murature ben allineate fondate su un basamento di roccia ed un alzato in mattoni crudi.
Frequente anche l’uso di una intelaiatura lignea a rinforzo della muratura stessa. Come si evince, molti sono i particolari tecnologici che indicano la tendenza ad interventi antisismici degli antichi costruttori come appunto il contenimento delle spinte usando il terreno di contenimento o l’uso del legno all’interno delle murature e la particolare attenzione per la posa in opera della muratura e dei cantonali e infine la buona organizzazione delle fondazioni. Per esempio, nella foto 1 relativa al palazzo di Cnosso si evidenzia proprio l’uso del legno così come a Delfi per il tempio di Apollo l’uso di fondazioni a griglia (foto 2) rilevabili anche ad Agrigento nella Valle dei Templi (foto 3). Altri particolari da segnalare sono la buona lavorazione dei cantonali come a Zacro (foto 4) e l’allineamento delle aperture lungo le facciate come ad Archanes (foto 5).
 
Dalla analisi delle osservazioni precedenti appare chiaro come alcuni dei criteri di antisismicità, anche attuali, siano palesi. In particolare appare notevole l’uso del legno all’interno delle murature per attutire lo sforzo sismico per una tecnica che risulta adottata anche nelle successive epoche costituendo l’origine delle contemporanee controventature. Questa tipologia costruttiva conosciuta come “muratura alla beneventana”, presente anche in zone come il Pakistan dove assume la denominazione di “Dhajji-dewari”, consta di un sistema di montanti e traversi in legno adeguatamente connessi, i quali formano un’intelaiatura inserita all’interno di una pannello in elementi lapidei sia naturali che artificiali (fig.1).
 
 
Questo porta a sviluppare un telaio in legno riempito; la struttura in legno prevede anche l’utilizzo di diagonali all’interno delle pareti, tali da sviluppare una forma similare ad una croce di Sant’Andrea. Questi accorgimenti hanno prevenuto la formazione di fessure diagonali, dovute allo sforzo di taglio all’interno dei muri, ed hanno anche contribuito ad evitare il collasso dei muri stessi fuori dal piano. La cosiddetta “opera beneventana” è uno dei primi esempi di muratura intelaiata adoperata in seguito al terremoto del 1627 in Campania. Essa era formata da uno scheletro portante in legno, con montanti fissati su un basamento in pietra, e da specchiature in materiali leggeri (vimini o canne fissati a listelli di castagno), ricoperte da un rinzaffo di malta. Da una ricerca effettuata, si evidenzia che nelle regioni colpite dal sisma, soprattutto nell’Irpinia, la tipologia costruttiva della muratura alla beneventana ha avuto un comportamento tecnologicamente funzionale il cui punto di forza consiste nel dividere le pareti in piccoli campi, separati da aste in legno ben connesse ai pilastri principali, entro cui è consentito che si creino fratture. È possibile che, talvolta, alcune parti della parete collassino, ma la zona di collasso è limitata e resta comunque circoscritta all’interno delle parti diagonali in legno.
 
Un’altra caratteristica emersa dagli studi su queste strutture è che esse presentano una forte dissipazione delle forze orizzontali dovuta all’attrito all’interno del muro per cui si nota che i campi non sono eccessivamente rigidi nel proprio piano. Questo sistema costruttivo è individuabile nel tipo strutturale della “casa antisismica” che veniva realizzata secondo il cosiddetto sistema “baraccato”, da cui il nome di “casa baraccata”, che si ispirava alle norme antisismiche applicate a Lisbona dove, dopo il terremoto del 1755, un’intelaiatura lignea (la gaiola pombalina) con specifici caratteri antisismici era stata già utilizzata per rinforzare gli edifici in muratura costruiti dopo il sisma. I tecnici borbonici, che studiarono i modelli costruttivi dopo il sisma del 1783 in Calabria erano a conoscenza della normativa portoghese a cui si ispirarono per le “Istruzioni reali” emanate il 20 marzo 1784.
Queste stabilivano ad otto metri circa l’altezza massima degli edifici e prescrivevano di inserire nelle murature “una rete interna di legname di poca fabbrica rivestite”.
 
Il prototipo di casa “baraccata” antisismica prescritta da tali norme venne illustrato da Giovanni Vivenzio (1783) nella sua “Istoria e teoria de’ tremuoti”. La tecnica “baraccata” venne ulteriormente perfezionata dal R.D. 18 aprile 1909 n. 193, emanato dopo il sisma che colpì Reggio Calabria e Messina nel 1908.
Il decreto prevedeva per i sistemi intelaiati o baraccati:
a) connessioni rigide delle membrature nei punti d’ incrocio;
b) collegamenti diagonali o controventi;
c) riempimento dei pannelli murari per ridurre le deformazioni.
 
Veniva altresì prescritto che i montanti laterali fossero monolitici o efficacemente collegati per non creare sezioni vulnerabili. Come bene afferma Randolph Langenbach, in uno studio del 2003 dopo i forti terremoti del 1999 in Turchia e del 2001 in India, si tratta di un sistema piuttosto comune nell’area mediterranea nelle edificazioni sette – ottocentesche, quasi sistematico, sostenendo la validità di tali strutture miste legno-pietra o legno-mattone nel ridurre i danni da terremoto soprattutto rispetto a strutture in calcestruzzo armato esecutivamente scadenti (Survivors amongst the rubble: traditional timber-laced masonry buildings that survived the great 1999 earthquakes in Turkey and the 2001 earthquake in India, while modern buildings fell. In “Proceedings of the First International Congress on Construction History”, Madrid, 20-24 gennaio 2003 (pp. 1257-1268).
 
La tecnica col passare dei secoli vide l’Italia una delle aree di maggiore diffusione ed in particolare la Campania vide notevoli applicazioni nelle aree di maggiore concentrazione di terremoti: l’isola di Ischia e le aree interne del Sannio e dell’Irpinia. Successivamente al terremoto di Casamicciola del 1883 fu necessario prendere opportune misure tecniche in tal senso e nel Sannio ed in Irpinia si costruì con la introduzione di telai in legno nelle strutture murarie. Il sistema baraccato prevedeva un’ossatura di tipo spaziale inserita nello spessore delle pareti in muratura. Tale ossatura poteva essere realizzata in legno, di castagno o abete, o in carpenteria metallica. In particolare, l’intelaiatura principale prevedeva una serie di ritti disposti con interasse prefissato a partire dai cantonali. Questi si estendevano per tutta la parete e assumevano diverse predisposizioni dell’apparato centrale (foto 8) come:
 
a) pareti con un elemento centrale più robusto da cui si dipartivano a raggiera elementi diagonali di dimensioni più limitate;
b) pareti suddivise in aree rettangolari scandite da elementi verticali collegati da altri orizzontali. Si otteneva così un’ulteriore suddivisione in rettangoli i cui vertici erano collegati lungo la direzione di una delle diagonali in maniera alternata;
c) pareti con introduzione di elementi orizzontali a formare due riquadri disuguali, quello inferiore di superficie decisamente minore e quello superiore di maggiori dimensioni per ospitare una controventatura incrociata.
 
Una riconosciuta validità del metodo viene testimoniata dalla specializzazione nelle controventature in acciaio introdotte nelle pareti d’ambito in laterizi forati in zona sismica.
Oggi, attraverso l’utilizzo di moderni programmi di calcolo, è possibile valutare i benefici che si ottennero nell’utilizzo di elementi lignei all’interno di setti murari. A tal proposito si segnala l’analisi effettuata dallo scrivente in collaborazione con Valeria Gambardella nell’anno 2005.
 
Il lavoro di ricerca ha visto l’analisi eseguita su modelli di paramenti murari (foto 9) rilevati ad Ischia:
a) sistema misto con intelaiatura lignea a maglia quadrata;
b) sistema misto con intelaiatura lignea a maglia quadrata con diagonali;
c) sistema misto con intelaiatura lignea a maglia quadrata controventata.