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La Legislazione Italiana e i Mandati del BIM in Europa

La Legislazione Italiana e i Mandati del BIM in Europa

Nel mentre che vi è stato chi ha polemizzato sui «ritardi» nell'emanazione di decreti ministeriali, tra cui quello relativo alla Modellazione e alla Gestione Informativa, e chi ha contestato che nella bozza di decreto, a tutt'oggi non pubblica (e, quindi, non conoscibile nella sua uffcialità), non vi fosse una adeguata valorizzazione della normativa consensuale nazionale, non si è riscontrato alcuno che abbia osservato come, almeno in parte, la definizione delle modalità digitali nei lavori pubblici tramite disposto legislativo rappresenti una sostanziale novità, destinata probabilmente a fungere da riferimento in Europa, proprio in virtù delle esigenze dei Paesi Late Comer, i quali avvertono il bisogno di una migliore stabilizzazione del tema.
Nel Regno Unito, infatti, il cosiddetto BIM Mandate del 2011, alla stessa stregua di quello del 2016, non si riflette in altro che in una volontà esplicita rivolta alle amministrazioni centrali dello stato, accompagnate da riferimenti a stanziamenti nella legge finanziaria.
In Francia, la piattaforma pubblica è iniziativa di un ministero specifico, che non copre, peraltro, interamente il Settore, anche se l'intenzione pare estendersi, per lo meno temporalmente.
In Germania, la situazione è sostanzialmente simile, fatto salvo che, a parti invertite riguardo alle competenze ministeriali, edilizie là, infrastrutturali qui, il dicastero ha elaborato, come nei Paesi Britannici (la Scozia e l'Irlanda del Nord operano anche autonomamente, il Galles non l'ha ancora fatto: tutti con soglie minime di applicazione differenziate) pure una strategia di medio periodo.
In Spagna, è attiva una commissione ministeriale che sta svolgendo un intenso lavoro preparatorio agli obblighi legislativi.
L'unico esplicito riferimento legislativo resta quello, facoltativo, presente nel testo della direttiva comunitaria, recepito senza specifica menzione nel Regno Unito, non ancora recepito, se non erro, in Spagna, recepito senza obbligatorietà in Francia e in Germania.
Ciò detto, occorrerà leggere attentamente, ai fini della consultazione pubblica, oltre allo schema di decreto, pure tutti i documenti a corredo, per capirne senso e narrazione.
Quanto, poi, alla normazione volontaria, a parte una intensa attività di dettaglio da parte di ISO e di CEN (ma anche di buildingSmart International, a suo modo e con ricadute sul primo), si può e si deve disquisire analiticamente sui contenuti delle ISO DIS 19650, delle BS PAS 1192 (in revisione) e, naturalmente, sulle UNI 11337, ma, in sostanza, in questa sede rileva che l'impalcato concettuale rimane il medesimo, di là dal maggiore o minore rigore, da un ulteriore affinamento o involuzione, a seconda dei diversi punti di vista.
Il che dimostra come leggere questi testi analiticamente sia doveroso e, per la normativa internazionale addirittura urgente (per via dell'inchiesta pubblica), ma fondamentalmente serve ribadire una scarsa utilità dei dibattiti relativi alla maggiore o minore sovranità od originalità.
Meglio sarebbe, invece, rammentare come, in buona sostanza, l'idea che accanto agli strumenti sia opportuna una processualità o una proceduralizzazione sia sorta negli Stati Uniti, per la ovvia ragione che in quel Paese i tool siano stati impiegati per la prima volta.
Una più netta caratterizzazione per gli elaborati programmatici di competenza della Domanda, a cui l'Offerta debba con-seguire, si deve, più tardi, al Regno Unito.
Queste banali riflessioni ci dovrebbero indurre a meditare su alcuni aspetti:
1) l'intero costrutto concettuale, terminologico e processuale descritto nei documenti di riferimento normativo appare chiaro, anzi autoesplicativo, a coloro che se ne occupano da tempo, ma non è certo che sia immediatamente comprensibile ai neofiti operatori diffusi. Evidentemente, il «legislatore» di ciò si è fatto carico in vario modo;
2) per quanto possano scattare obblighi legislativi o contrattuali, Domanda e Offerta si trovano in una fase altamente sperimentale e, molto spesso, denotano qualche incertezza (che è un modo elegante per dire altro) che giustifica lassi temporali di implementazione simili a quelli previsti altrove;
3) la qualità media dei Modelli Informativi richiesti e prodotti non è, sempre eufimisticamente parlando, immancabilmente eccelsa, benché quasi mai disprezzabile, ma raramente riflette un processo originariamente «BIM», anziché «CAD»: indice di un processo lento di maturazione degli operatori;
4) a parte il fatto che ovviamente la crono-logicità faccia sì che la maggior parte delle esperienze sinora maturate riguardi la fase di progettazione, ci si ostina a sottovalutare le implicazioni più ampie che gli stessi strumenti, inclusi i device digitali che non siano i meri tool del BIM, generano sulle identità degli operatori, sugli assetti delle organizzazioni, sulle forme dei contratti, e così via. Per quale motivo il tema delle ricadute del BIM sullo statuto professionale e sulla logica operativa dell'architetto gode di una vasta letteratura e popolarità nelle università nordamericane, allorché in quelle italiane ci si preoccupa prevalentemente di introdurre corsi sugli strumenti (con preferenza comprensibile per il Computational Design)?
5) la proceduralizzazione dei procedimenti in senso digitale deve essere affiancata dalla revisione dei processi dell'organizzazione che li applica e, dunque, dalla sua propria cultura digitale.
Due ambiti esemplificativi valgano per tutti: il CDE e i LOD.
Nel primo caso, il Common Data Environment, o Ambiente di Condivisione dei Dati, questi a oggi è sovente poco più che un «Dropbox» variamente evoluto (in gergo, un EDMS), pur avendo potenzialità evolutive straordinarie, ma non risulta essere compreso appieno da operatori professionali e imprenditoriali che tendono a sfuggire a ecosistemi che li relazionino e ne traccino le attività.
Nella seconda evenienza, i Level Of ..., le innumerevoli versioni nazionali (presto anche quella europea) sembrano apprezzabili tentativi di formalizzazione che, tuttavia, in termini contrattuali stentano a misurare la densità informativa, risultando fortemente evocativi, ma molto simili concettualmente ai tradizionali livelli, non solo di progettazione.
La questione, perciò, è che la digitalizzazione del settore passa attraverso una prima fase di efficientamento delle prassi (che, però, stante la condizione iniziale, appare già radicale), a cui ne seguirà una di totale sconvolgimento.
Mai sentito parlare di Data Science nelle Scuole di Architettura e di Ingegneria Edile? Da qualche parte, nell'Italia Centrale, effettivamente sì.

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