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Continuità e Cesure nella Digitalizzazione delle Professioni (Tecniche) del Settore delle Costruzioni

Continuità e Cesure nella Digitalizzazione delle Professioni (Tecniche) del Settore delle Costruzioni

Il 12 Maggio 2017 appariva su Le Monde la traduzione, dall'inglese americano, di un contributo di Carlo Ratti intitolato Lettre ouverte à mon ami chauffeur de taxi, in cui il progettista delle bolle termiche della Fondazione Agnelli, vale a dire della concezione di spazi di lavoro personalizzati sotto il profilo microclimatico (risparmio di energia e di occupazione), si confrontava con la disintermediazione dovuta alla Uberification o alla Uberization e colla questione della fiscalità applicabile ai robot.
In effetti, nelle parole dell'architetto torinese attivo al MIT si ritrovano, soprattutto, però, i temi legati alla scomparsa del lavoro umano, o almeno di una parte di esso, quello maggiormente ripetitivo, anche nel campo della progettazione architettonica e ingegneristica.
Si tratta di un tema ormai davvero ricorrente nel contesto anglofono, come dimostra il noto saggio dei Susskind, dedicato a The Future of the Professions, in cui ricorre ovviamente la menzione del  Building Information Modeling (BIM).
Se, dunque, da una parte, non per nulla specialmente nel Nord America, si inizia a proporre con insistenza la Progettazione Digitale associata alla Intelligenza Artificiale, dall'altra parte, si discute, alle Nostre latitudini, di come il professionista possa adottare gli strumenti del BIM (Authoring): mentre la trasposizione degli scenari progettuali in ambienti immersivi indossabili appare sempre più frequente (Oculus e HoloLens, in particolare).
E' difficile, dunque, far convivere la dimensione del futuribile che assimila il Digital Design al Digital Banking e al Digital Retailing, facendo scomparire i progettisti assieme ai cassieri e alle cassiere (delle banche e dei grandi magazzini), sostituiti non dai robot, bensì dagli algoritmi, con quella del professionista insediato localmente che guarda con curiosità, ma anche con diffidenza e con scetticismo uno strumento che, in teoria, dovrebbe procurargli grandi benefici senza minacciarne l'identità e l'esistenza. E che magari teme che siano generati ulteriori oneri, a fronte di una minore flessibilità delle prassi progettuali.
E' significativo, peraltro, che gli applicativi che attualmente godono di maggiore attenzione e di cui si inizia la pratica diffusa siano, in connessione ai vari Revit, AllPlan, ArchiCAD, Edificius (omettendone involontariamente altri) della situazione, quelli come Grasshopper o Dynamo, utilizzati, però, allo scopo di generare non più solo forme geometricamente complesse: lo stesso vale per Flux, a un altro livello, oppure, in rapporto alla filosofia ideativa, per Project Quantum.
Script Making e Machine Learning sembrano, perciò, promettere (o minacciare) la scomparsa dei progettisti e, più in generale, dei professionisti del Settore entro il medio periodo, nelle modalità con cui siamo abituati a pensarli, eppure, nel breve termine, appare una conquista significativa persuadere il professionista ad adottare gli strumenti più elementari della Grande Trasformazione Digitale: BIM Level 1&2 vs Level 3&4?
Non si può, quindi, ignorare il quesito fondamentale: la Digitalizzazione delle Professioni nel Settore delle Costruzioni condurrà semplicemente a un efficientamento delle stesse, senza neppure intaccare l'individualismo esasperato o il nanismo dimensionale, oppure ne sconvolgerà i connotati?
E', naturalmente, impossibile offrire un responso attendibile, per quanto la tesi massimalista, di sicuro effetto, non abbia grandi possibilità di avverarsi: certo. però, è che si confronta, nel Nostro Paese, l'affollamento eccessivo di professionisti, specie architetti, con una prospettiva di desertificazione del mercato professionale.
Può essere che una prima risposta si trovi nei risultati della indagine svolta dal CRESME per conto della Rete delle Professioni Tecniche, dato che l'inchiesta potrà fare emergere circostanze complesse e inattese.
Vi è, comunque, anzitutto, chi sostiene che, sotto l'apparenza, o a dispetto di essa, vi siano già strutture reticolari e collaborative informali diffuse, smentendo l'isolamento e la micro dimensionalità di cui i professionisti autoctoni sono sovente accusati.
Vi è chi denuncia la condizione di sfruttamento del lavoro intellettuale, favorito dagli Atenei (alcuni, in particolare, detengono la quota maggiore di laureati), che, sia pure con un tasso significativo di decrescita, sfornano annualmente una gran mole di soggetti.
Vi è, peraltro, anche chi contesta la modestia delle retribuzioni salariali dichiarate ufficialmente (materia di studi di settore, fiscalmente discorrendo) e chi ritiene che, a fronte delle centinaia di migliaia di architetti, geometri, ingegneri e periti, laureati o diplomati, iscritti o meno alle Rappresentanze, solo una modesta porzione eserciti davvero le professioni canoniche: potenzialmente interessate dal BIM e, più in generale, dalla Digitalizzazione.
Si danno, poi, interessanti iniziative locali, come per gli Ordini di Pordenone, che autonomamente costituiscono una Commissione BIM e altri, invece, che attendono gli obblighi ministeriali e le relative agevolazioni finanziarie e fiscali (presunte).
D'altronde, a livello europeo e comunitario, sia ACE sia EFCA, su due versanti molto diversi, sono attivi nello studio dell'argomento; oltre a ciò, gli architetti britannici esaminano inaspettatamente il Design for Manufacturing and Assemble e quelli statunitensi l'Integrated Project Delivery: la prefabbricazione e l'appalto integrato, diremmo impropriamente in Italia.
Tutto ciò a fronte del recente Survey di NBS, condotto nel Regno Unito, che dipinge un quadro articolato nell'adozione del BIM, per certi versi incoraggiante, per altri critico, che restituisce, comunque, la misura di una mutazione, avviata nel 2011, ma ben lungi dall'essersi conclusa, al 2017, sul fronte del livello di maturità elementare.
L'interpretazione del fenomeno, nei suoi tratti più tradizionali di implementazione di strumenti, è, insomma, difficile e non univoca, anche laddove essa è iniziata prima e precocemente: se, poi, si estende la faccenda alla diffusione dei metodi, il grado di incertezza si accresce ulteriormente, dato che di gestione digitalizzata dei processi se ne vede davvero poca.
Rimanendo alla domanda principale, possiamo davvero credere che l'obbligo del BIM si risolva nell'acquisizione e nel ricorso a strumenti in se stessi sicuramente utili, ma certo non intrinsecamente decisivi? Possiamo, ancora, credere che finalmente i legami tra professionisti e tra organizzazioni professionali (e imprenditoriali) si formalizzino e si rinsaldino? Possiamo, infine, credere che gli algoritmi generativi e i sistemi esperti possano rimpiazzare una parte considerevole della professionalità comune?
Probabilmente queste tre ipotesi convivranno, creando mercati a più velocità, con quelli, come il Nostro, incentrato sugli interventi sul costruito, spesso ignoto nella sua anagrafe sostanziale, e sullo schizzo non digitalizzabile (almeno così molti, forse erroneamente, credono), meno propensi a una semi automazione che derivi dalla progettazione modulare di nuovi cespiti immobiliari.
Ai quesiti sulla evoluzione della professione, però, si accompagnano quelli inerenti al prodotto immobiliare: positivo (produttore di energia), sismicamente reattivo, circolare, domotico, e così via.
Anche in questa occasione ci si può chiedere se si tratti solamente di applicare la categoria della Smartness al bene tradizionale per risolvere tutte le incognite della Digitalizzazione, oppure se, al contrario, parlare di occupancy evaluation, di continuity management e di altre categorie, come l'edificio cognitivo, ci conduca a una altra accezione del cespite.
Se così fosse, nell'interconnessione tra edificio cognitivo, rete intelligente, veicolo autonomo e altro ancora, i progettisti e i professionisti tradizionali difficilmente avrebbero diritto di cittadinanza.
In qualche blog statunitense capita di leggere previsioni relative alle diverse disciplinarietà dell'Architettura e dell'Ingegneria, in cui accanto a esse figura, a medio termine, l'attributo scomparsa, sostituite da dispositivi decisionali autonomi (dal progettista): affermazioni sicuramente prive, nell'immediato, di un reale fondamento, ma rivelatrici del fatto che se una conoscenza si può formalizzare, in parte si possa automatizzare.
Nessuno oggi in Italia potrebbe risultare credibile nell'agitare un simile spauracchio, ma certamente, riprendendo il Ratti dell'inizio, non si tratta, per alcuni, solo di cercare di far lavorare i professionisti con maggiore produttività e con minore retribuzione (o, come sostiene l'uberizzazione, il contrario: meglio con minore sforzo), ma pure, in parte, di farne a meno.
Potere fare a meno di risorse intellettuali è concetto che solitamente si esprime in maniera più elegante (come attraverso la riduzione di attività ripetitive e banali: un antidoto alla noia) che, peraltro, in presenza di una eccedenza di offerta di lavoro concettuale potrebbe non essere così determinante.
In altre parole, il messaggio del marketing è necessariamente ambiguo, poiché promette di incrementare le prestazioni professionali riducendo il fabbisogno operativo, ma è ben consapevole che ciò possa implicare altro.
La migliore testimonianza di questa potenzialità, positiva o negativa, non è, peraltro, offerta da ipotesi di progettazione automatizzata (che non mancano, potendo scegliere, addirittura, tra stili e poetiche!), bensì dalla riduzione del lavoro umano e intellettuale nei procedimenti amministrativi di rilascio di titoli abilitativi nell'Edilizia Privata, laddove opera una miriade di professionisti, all'interno e all'esterno delle Amministrazioni Pubbliche: come dimostrano i recenti esperimenti condotti dal Comune di Milano assieme al locale Politecnico, in sintonia con una tendenza che buildingSmart International ha ben inteso.
Anche se, al contrario della Manifattura  (certamente) e del Cantiere (forse), non sarà o non sarebbe il robot, ma l'algoritmo, a rimpiazzare il professionista, resta il fatto che una parte consistente della professione sia oggi praticata in attività routinarie dai risvolti amministrativi.
Conseguentemente, la domanda che si pongono alcuni è se il lavoro intellettuale, nella sua generalità, sia veramente così qualificato oppure se esso sia surrogabile da algoritmi che generino ulteriore valore aggiunto, a fronte di edifici da progettare (da costruire, da demolire, da trasformare, da conservare) sempre più complessi, sempre meno gestibili da pochi, a meno che essi non dispongano di ausilii computazionali.
Sarebbe oggi implausibile assimilare gli architetti ai tassisti, entrambe categorie importanti, ma il Lavoro 4.0 non è un tema da affrontare superficialmente, perché a oggi si ricercano BIM Manager e BIM Co-ordinator dotati di vasta esperienza professionale corredata da conoscenze digitali, oltre che BIM Modeller esperti (specie nell'Ingegneria Impiantistica e, in misura minore, in quella Strutturale), ma domani forse serviranno Data Scientist, magari Architectural Data Scientist.
Accademie e Rappresentanze cercano principalmente di affrontare la scommessa allestendo una offerta formativa ricca, differenziata, molto focalizzata su strumenti e su esempi (più che su casi pilota), Ciò è comprensibile, poiché riflette l'esigenza di rispondere il più in fretta possibile a una attesa (apprendere gli applicativi, impiegarli), ma è chiaro, come dimostrano altrove i precedenti, che così non sarà e che se lo fosse avremmo eluso sostanzialmente la sfida.
Vi è, infatti, una ansia che il famigerato decreto ministeriale indichi modi e tempi degli obblighi per poter giustificare e legittimare definitivamente gli investimenti e per procedere a risolvere la partita: ma l'esperienza britannica dimostra ben altro.
Andrebbe fatto tesoro di essa, proprio nel momento in cui l'Handbook dello EU BIM Task Group riconosciuto dalla Commissione Europea ne formalizza e ne generalizza gli assunti, allo stesso modo delle norme ISO EN 19650.
Il primo approccio al BIM di un professionista è, infatti, inerente alla progettazione a oggetti tridimensionali, offerti dalle BIM Library, che assicura coerenza e precisione (clash detection e quantity take off), anche se gli strumenti non appaiono ancora davvero maturi, completi, interoperabili: tanto più nelle Infrastrutture, nel Genio Civile. 
E' il tempo dei BIM Modeller. Alla fine, però, si producono molti Modelli Informativi al di fuori di un ridisegno dei Processi.
Il secondo riguarda la tutela della proprietà intellettuale e la condivisione delle responsabilità nelle scelte ideative, per quanto la cultura giuridica sul tema sia scarsa. Qui si introducono i BIM Co-ordinator e i BIM Manager, ma norma UNI 11337-7 a parte, non si ha certezza di disporne di effettivamente qualificati in gran numero.
Il terzo mette in discussione i ruoli e le identità, con le ripercussioni immaginabili sulla natura stessa della professione, coll'insorgere della Data Science: è un tempo dell'incognita.
In Italia, siamo sicuramente al primo passaggio, con alcuni giunti oltre, reclamando concretezza nelle esposizioni, ma ignorando, più o meno volutamente, il senso ultimo della Transizione Digitale.
Del resto, nell'agenda professionale sono altre le emergenze: rigenerazione urbana, dissesto idrogeologico, messa in sicurezza sismica, e quant'altro. Ma il fatto è che la Digitalizzazione non va ad aggiungersi a esse, le mette in luce, le pone in trasparenza, talvolta impietosamente. Casa Italia, non per nulla, intende basarsi su sistemi informativi, su analitiche dei dati.
La credenza secondo cui i digital native possano semplicemente rimpiazzare progressivamente i digital visitor non appare del tutto convincente: anzi, sembra essere una ricetta riduttiva che mira a evadere dalla questione nodale.
Non è così, poiché il successo della Digitalizzazione, ce lo ricorda Martin Fischer, si misura dall'acculturamento digitale dei visitor, non dei native, perché occorre, sia pure rivedendoli, far transitare nel New Brave World i saperi consolidati.
Basterà, allora, allestire moduli didattici semestrali o annuali su BIM e Computational Design nonché offrire corsi di master universitari oppure sarebbe meglio ripensare radicalmente ai corsi di laurea stessi, come sta facendo, ad esempio, l'Università Politecnica delle Marche?
In definitiva, la Digitalizzazione delle Professioni indica un loro progressivo slittamento verso la Imprenditività, forse persino la Imprenditorialità: sarebbe un paradosso per un ambito che cerca, con buone ragioni, indubbiamente, di rivendicare la propria autonomia intellettuale dagli Esecutori/Imprenditori (Costruttori o Produttori), in linea con l'impostazione rinascimentale dell'Alberti o del Vasari, potendo celebrare, ad esempio, per gli architetti, una storia plurisecolare (come indica la mostra allestita alla Cité de l'architecture et du patrimoine titolata L'Architecte. Portraits et clichés).
Negli anni scorsi, i report di Mc Graw-Hill avevano messo in evidenza il sorpasso, negli Stati Uniti, dei Costruttori sui Progettisti (in particolare, architetti) quali utenti degli strumenti del BIM: e se i Professionisti, lungi dallo scomparire in quanto tali, si tramutassero in Imprenditori?
Si tratta, evidentemente, di una provocazione: ma è palese che Accademie e Rappresentanze non possono affrontare riduzionisticamente la questione: è un affare esistenziale.