In questi anni mi sono occupato di digitalizzazione, assieme ai miei colleghi (chiamarli collaboratori suonerebbe riduttivo) presso l'Università degli Studi di Brescia, anche in relazione ad altri Atenei, non solo a proposito dei metodi, ma sovente, contrariamente a certe convinzioni, sperimentandoli per primi in Italia, al cospetto degli strumenti: ad esempio, a proposito del 4D, dall'allora Jet Stream e dell'analogo applicativo messo a punto a Stanford, sino a Synchro.
Personalmente, credo che l'Accademia non possa limitarsi a elaborare scenari, ma che debba preoccuparsi di validarli sul campo, confrontandosi con la complessità del reale.
Oggi, a distanza di almeno quindici anni, la panoplìa delle metodologie e degli applicativi che si rifanno al digitale, inteso come numerico, come computazionale, è davvero impressionante, cosicché le potenzialità appaiono enormi, ma anche le scelte e i relativi oneri saranno non trascurabili.
Di conseguenza, l'innovazione e il cambiamento, categorie che paiono essere, da alcuni, le più attese per il settore, sembrano necessariamente passare attraverso la digitalizzazione, comunque essa possa essere intesa o applicata.
Di fatto, l'istanza evolutiva del comparto, considerata come discontinuità, si presenta in caratteri molto simili a quelli del passato, sotto le vesti dell'industrializzazione (mancata), per quanto essa sia sinora stata accolta solo molto parzialmente, grazie a una accezione, invece, prudentemente incrementale, cosicché sentir parlare di Edilizia 4.0 fa ovviamente sorridere.
All'interno dell'Accademia stessa sappiamo bene che alcuni tendano a semplificare gli esiti della digitalizzazione, enfatizzandone gli aspetti e le funzionalità elementari, diminuendo il ruolo di chi, al contrario, propone sempre inedite sofisticazioni, e viceversa.
La digitalizzazione, nozione piuttosto complessa, ha trovato, nel comparto, una identificazione approssimativa nell'acronimo BIM, il cui significato originario è naturalmente ormai stemperato in una generale accezione, benché, alla prova dei fatti, il pensiero computazionale sia relativamente poco diffuso, in contesti profondamente analogici.
Che, a dispetto dei metodi, gli strumenti dovessero risultare prioritari non è stato per niente stupefacente, dato che il tangibile è più facilmente comprensibile dell'immateriale: in ogni caso, a un certo numero di operatori, in primo luogo, quantunque non in via esclusiva della progettazione, che hanno forte dimestichezza cogli applicativi, questi ultimi impongono un modus che li riconduce ai processi e alle metodologie.
Abbiamo, pertanto, accademici che configurano soluzioni inedite, benché spesso non del tutto coerenti con le prassi, e attori che affinano dispositivi noti, ma secondo modalità pratiche impossibilitate ai ricercatori e, infine, luoghi di ibridazione tra essi, di carattere formativo o professionale.
Il novero dei soggetti citati è, tuttavia, assai ridotto in valori assoluti, a fronte della pervasività del tema che appare straordinaria, persino esponenziale.
Che cosa pensano davvero tutti gli altri operatori? Che cosa temono? Che cosa percepiscono come fattore determinante?
Sono interrogativi a cui è difficile dare risposte univoche, in quanto esse oscillano tra la preoccupazione per gli oneri addizionali da sostenere e l'inquietudine verso modelli di lavoro sconosciuti.
Al netto degli obblighi e delle convenienze (i primi per rimanere nel mercato dei contratti pubblici, le seconde per ridurre le tempistiche autorizzative nel rilascio dei titoli abilitativi), è indubbiamente all'avvio un processo di omologazione per cui i riferimenti alla digitalizzazione saranno presto cosa nota e i gerghi del BIM assimilati rapidamente, molto precedentemente al ricorso a indicatori di maturità e di redditività.
Sotto questo profilo, la finestra temporale che preceda la banalizzazione, in cui sarà possibile épater le bourgeois, è assai corta, dopodiché qualsiasi specificità annegherà nel mare degli elementi conosciuti, sia pure «mediocremente», nel senso etimologico di ciò che sta in mezzo.
La autentica incognita che soggiace a questa riflessione risiede altrove: sul serio, metodi e strumenti potranno avere successo ed essere surrogati entro questa struttura del mercato? Oppure, al contrario, l'adesione a essi trasformerà i caratteri identitari del mercato stesso?
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