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Abusi edilizi in zona vincolata, ci risiamo: la sanatoria ordinaria e il condono sono due cose diverse

Il Consiglio di Stato, in una recente sentenza, torna sulla differenza tra sanatoria ordinaria con accertamento di conformità e il condono edilizio, con precisazione sul rapporto tra i due istituti e la disciplina vincolistica

La giurisprudenza amministrativa è piena di sentenze di normativa urbanistico-edilizia, ma sicuramente la voce del padrone la fanno le pronunce su condoni e sanatorie o, comunque, situazioni ad essi collegati.

La recentissima sentenza 6925/2022 del 4 agosto, in tal senso, è molto interessante perché tratta il caso di un ricorso contro un diniego di sanatoria paesaggistica e conseguente demolizione di opere per una serie di interventi edilizi in zona vincolata.

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Il caso: interventi in zona vincolati con plurime richieste

In seguito dell’accertamento da parte della Polizia municipale dell’avvenuta realizzazione di una serie di opere sine titulo su un immobile a destinazione residenziale, già oggetto di una precedente ingiunzione a demolire - due privati presentavano in data  una domanda di sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Quale alternativa, ipotizzavano altresì una rimessione in termini per poter fruire di condono ai sensi della l. n. 326 del 2003, motivandola sull’assunto che solo a seguito delle modifiche apportate alla formulazione originaria del d.lgs. n. 42 del 2004 le opere, insistenti su area vincolata, erano divenute sanabili.

Si trattava dell'ampliamento di un preesistente corpo di fabbrica ad uso civile abitazione distribuito su due livelli, con autorimessa interrata, esso pure legittimato ex post con concessione edilizia in sanatoria e successivo condono (settembre 1994), attraverso la realizzazione di varie superfetazioni, quali una struttura in legno semicircolare coperta posta sul terrazzo antistante il lato sud, una scalinata in muratura per collegare il garage con il piano terra e una tettoia ubicata sul lato ovest costituita da una struttura in legno con sovrastanti tegole in cotto. 

Essendo stata la domanda di sanatoria presentata in data 19 marzo 2007, doveva trovare applicazione ratione temporis il regime transitorio contenuto nell’art. 159 del d.lgs. n. 42 del 2004, che mantiene il previgente sistema di controllo postumo sugli atti del Comune da parte della Soprintendenza.

Da qui l’intersecarsi dei vari motivi di appello, che da un lato contestano il procedimento seguito, dall’altro censurano sia il “parere” che il diniego, perché comunque immotivati sotto il profilo dell’impatto delle opere sull’ambiente. 

 

Sanatoria ordinaria e condono: le differenze

Il Consiglio di Stato inizia quindi differenziando i due istituti:

  • l'accertamento di conformità, o “sanatoria ordinaria” consiste nella regolarizzazione di abusi “formali”, in quanto l’opera è stata sì effettuata in assenza del preventivo titolo o in difformità dallo stesso, ma senza violare la disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione che a quello di presentazione della domanda (c.d. “doppia conformità”);
  • il “condono”, invece, ha portata sanante di situazioni “sostanzialmente” illecite, previo pagamento di una sanzione pecuniaria che produce l’effetto di estinguere anche la fattispecie penale identificabile nella relativa costruzione. In particolare, in Italia si sono succedute tre leggi di condono: la prima è contenuta nei capi IV e V della l. n. 47/1985, e dunque si collocava almeno in un contesto di nuova regolamentazione della materia con l’introduzione di una serie di strumenti dissuasivi per gli abusi futuri; le successive, invece, si inseriscono in testi del tutto eterogenei e per lo più finalizzati ad esigenze di pubblico erario, e si risolvono nella sostanziale estensione del lasso di tempo entro il quale l’abuso doveva essere stato ultimato per poter fruire del beneficio. Nel caso di specie viene in evidenza il c.d. “terzo condono”, contenuto nell’art. 32 della l. 24 novembre 2003, n. 326, di conversione del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, che ha applicato la disciplina di cui ai ridetti capi IV e V della l. n. 47/1985, come modificati dall’art. 39 della l. n. 724/1994, alle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003, seppure ponendo il limite che esse non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30% della volumetria originaria o, in alternativa, superiore a 750 metri cubi, fissando come limite temporale per la presentazione della relativa domanda la data del 10 dicembre 2004. 

 

Sanatoria e condono in rapporto ai vincoli

Palazzo Spada prosegue evidenziando che, sotto il vigore del previgente art. 151 del d.lgs. n. 490 del 1999 (ex art. 7, l. n. 1947/39), pur in assenza di un’esplicita previsione normativa, era opinione diffusa nella giurisprudenza amministrativa che l’autorizzazione paesaggistica potesse essere rilasciata in sanatoria purché in presenza del (solo) presupposto della compatibilità attuale dell’intervento abusivo con il paesaggio, in termini di mancata produzione di effetti pregiudizievoli in relazione alla stato dei luoghi antecedente all’edificazione.

Perciò per un immobile in area sottoposta a vincolo paesaggistico, la sanatoria poteva essere conseguita sotto il profilo edilizio-urbanistico se sussisteva la “doppia conformità” a norma del richiamato art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché, in precedenza, dell’art. 13 della legge n.47/85; sotto il profilo paesaggistico, sulla base di valutazione positiva da parte del Comune competente al rilascio dell’autorizzazione circa la mancanza di danno al paesaggio, previo parere obbligatorio, ma non vincolante, della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio, applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 164 d.lgs. n. 490/1999 e ferma restando la possibilità di annullamento da parte del Ministero nei successivi 60 giorni. 

In relazione invece al c.d. condono edilizio, o sanatoria straordinaria, la disciplina è comunque contenuta negli artt. 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47, cui si fa rinvio anche nella normativa successiva (per quanto qui di interesse, il già ricordato d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla l. 24 novembre 2003, n. 326).

L’art. 32 di tale legge dispone che «il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso».

Di fatto, quindi, il procedimento di condono di un abuso su area vincolata è assimilabile a quello previsto a regime per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica “ordinaria”, nonché per l’accertamento di conformità, nei residui casi in cui esso è possibile. 

L’art. 32, comma 27, lett. d), del d.l. n. 269 del 2003, a sua volta, esclude dalla sanatoria le opere abusive realizzate su aree caratterizzate da determinate tipologie di vincoli (in particolare, quelli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesaggistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali), al ricorrere delle seguenti due condizioni: 

  • a) il fatto che il vincolo sia stato istituito prima dell’esecuzione delle opere abusive;
  • b) il fatto che le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

 

Conta sempre la conformità urbanistica!

Da tale ricostruzione emerge, quindi, un sistema che consente la sanatoria delle opere realizzate su aree vincolate solo in due ipotesi, previste disgiuntamente, costituite dalla loro realizzazione prima dell’imposizione dei vincoli (e, in questo caso, trattasi della mera riproposizione di una caratteristica propria della disciplina posta dalle due precedenti leggi sul condono con riferimento ai vincoli di inedificabilità assoluta di cui all’art. 33, comma 1, l. n. 47 del 1985); nonché dal fatto che le opere oggetto di sanatoria, benché non assentite o difformi dal titolo abilitativo, risultino comunque conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

In definitiva, la novità sostanziale della suddetta previsione normativa è costituita proprio dall’inserimento del requisito della conformità urbanistica all’interno della fattispecie del condono edilizio, così dando vita ad un meccanismo di sanatoria che si avvicina fortemente, almeno per le fattispecie di abusi in zone vincolate, all’istituto dell’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, discostandosi invece dai meccanismi delle due precedenti leggi sul condono edilizio.

 

La differenza tra inedificabilità assoluta e relativa

In base alla disciplina posta dal d.l. n. 269 del 2003, dunque, la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è radicalmente esclusa solo qualora si tratti di un vincolo di inedificabilità assoluta e non anche nella diversa ipotesi di un vincolo di inedificabilità relativa, ossia di un vincolo superabile mediante un giudizio a posteriori di compatibilità paesaggistica. In tali casi, purché non si tratti di opere realizzate dopo l’imposizione del vincolo ed in assenza o in difformità del titolo abilitativo che risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici il condono può trovare applicazione (sul punto v. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4619). 

 

Se gli interventi non sono comunque assentibili in zona vincolata

Altro passaggio determinante della pronuncia è quello dove si sottolinea che la non riconducibilità della tipologia degli interventi tra quelli assentibili in zona vincolata comporta in automatico il rigetto dell’istanza di sanatoria, stante il ricordato regime della stessa.

In sintesi, né il parere della Soprintendenza, ammesso lo si possa qualificare tale essendosi la stessa correttamente arrestata in limine della procedura, non ravvisando proprie competenze, né il diniego del Comune, che ha fatto proprie le ragioni di tale arresto, necessitavano di un ulteriore supporto motivazionale di merito.

In sintesi, «dal provvedimento impugnato si evince chiaramente che le opere realizzate non sono suscettibili di sanatoria paesaggistica ex post e conseguentemente l’amministrazione comunale mai avrebbe potuto rilasciare un accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 in relazione ad abusi commessi in zona vincolata, senza il previo necessario rilascio del titolo paesaggistico, oltre che di quello edilizio»

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