«BIM» & Digitalizzazione: Universi Distinti?
Un articolo del prof. Angelo Ciribini
Certo, in termini formali, il «BIM» rappresenta sempre più una parte per il tutto, vale a dire che non solo esso consente a molti attori l'ingresso nell'universo della trasformazione digitale, ma pure che la sua menzione riporta immediatamente i soggetti a e in un determinato ambito.
Eppure, la sensazione è che, proprio perché il «BIM» abbia consentito al settore di iniziare a produrre, almeno in parte, i dati in forma numerica e strutturata, coloro che meglio ne abbiano compreso il significato, comincino a concepirlo come il modo, solo originario, di sfruttare le potenzialità dei primi: come si suol dire, attraverso l'«estrazione» e ciò che ne consegue.
Si veda, anzitutto, il primo passaggio, inerente al ruolo del committente, pubblico o privato, quale acquirente di modelli e di strutture di dati, qualitativamente elevati, al fine di focalizzare la propria attenzione sul comportamento nel tempo dei cespiti fisici che commissiona e sui comportamenti nello spazio, in oltreché nel tempo delle loro vite, dei fruitori di tali beni immobiliari o infrastrutturali.
Una esigua minoranza della Domanda, infatti, ragiona in questi termini, tanto meno allorché si tratti di introdurre il dato nei processi decisionali embrionali relativi alla valutazione della fattibilità dell'investimento.
Molti dei pochi committenti, peraltro, si limitano, si fa per dire, a prescrivere analiticamente l'esistenza di una serie di metadati nei modelli informativi (in questi ultimi e non nell'ambiente di condivisione dei dati!), senza entrare nel merito dei valori attribuiti attesi, privilegiando l'«informazione» rispetto alla «decisione».
Per la restante parte, un documento, tendenzialmente statico e sintetico, denominato capitolato informativo, pretenderebbe, in luogo di un articolato e dinamico processo descritto, invero, nella normativa internazionale, sovranazionale e nazionale, di risolvere la questione.
A questo proposito, dunque, la divaricazione è già fortemente presente tra «BIM» e digitalizzazione, senza contare che l'evoluzione degli ambienti di condivisione dei dati ne accentuerà sempre più il carattere.
Sotto il profilo dei servizi di architettura e di ingegneria, è palese che, per rispondere adeguatamente ai requisiti informativi espressi computazionalmente sotto forma di modelli e di strutture di dati occorrerebbe disporre, da parte dell'Offerta, di una autentica cultura digitale e di interfacce amichevoli che permettessero agli operatori di erogare i propri servizi in accordo con le richieste in argomento.
Il fatto che poi si stia passando, in assenza di tutto ciò, dalla contraddittoria finalizzazione dei modelli informativi alla produzione di documenti al ricorso ai modelli medesimi sic et simpliciter, in assenza di ecosistemi di dati più estesi, non può che evidenziarne i limiti.
Se a ciò si aggiunge l'istanza, sempre più accentuata, di esaltare l'essenza simulativa della modellazione informativa, riducendo i confini tra «calcolo» e «modellazione», ci si accorge di come lo iato esistente tra chi rappresenta e chi simula, tra chi si assume o non si assume maggiori responsabilità, si accresca a ogni pié sospinto.
D'altra parte, ad esempio, immersive environment, gamification, machine learning e, anzitutto, open API, hanno già, per coloro che lo vogliano, enormemente dilatato l'estensione del tema.
Parimenti, la duplicazione dei livelli tra Model Checking e Business Intelligence suggerisce il transito dalla Compliance alla Prediction.
Si possono davvero, perciò, annoverare tutti questi soggetti ancora esclusivamente circoscritti al «BIM»?
La fabbrica e il cantiere, inoltre, stanno divenendo luoghi in cui, grazie ai flussi informativi generati da entità interconnesse, la dilatazione, in termini di volumi, di varietà, di velocità e di ubiquità dei dati letteralmente esploderà: basterà evocare il 4D o il 5D per restare nell'ambito del «BIM»?
E il ricorso alla Distributed Ledger Technology, oltreché agli Smart Contract e agli Smart Construction Object, muterà radicalmente i termini della negoziazione e dei corrispondenti quadri contrattuali.
Più in generale, tutto ciò che avrà un risvolto giuridico, dalla detenzione alla sicurezza del dato, assumerà una sempre maggiormente rilevante criticità.
Se tutto ciò vale per le fasi di committenza, di progettazione e di realizzazione dell'opera, per la sua gestione la dimensione geo-spaziale enfatizza ulteriormente una estensione della sfida digitale che certo non si può limitare al «BIM/GIS», tanto più che le eterogenee entità, specie gli esseri umani, continuamente interconnesse e interagenti, presenti nelle città e sui territori, saranno oggetto di un Business Model, incentrato sui servizi alla persona, di cui i cespiti saranno «ausiliari veicoli», ben di là del BIM4CAFM.
Intuito, dunque, che «BIM» e digitalizzazione appaiono due termini divaricanti, tesi a originare sfere differenti, occorre domandarsi se esse dovranno necessariamente essere sequenziali, oppure se una capillare «bimificazione» massiva possa, a lungo, rivelarsi sufficiente accanto a una digitalizzazione spinta, più elitaria.
Al contempo, che conseguenze potrà avere l'evoluzione sempre più accentuata dei processi guidati dai dati e leggibili dalle macchine sulla natura del comparto?
Sono, queste, le domande ineludibili che si cerca di affrontare nell'ateneo bresciano sia attraverso una proposta formativa post lauream dedicata a Data Science & Communication Technology sia grazie a una offerta consulenziale strategica e operativa molto più rivolta a digitalizzazione che non a «BIM».
Forse il primo concerne i soggetti più interessati ad acquisire nuove identità e a offrire nuovi servizi/prodotti (a conseguire maggiori marginalità con minori rischi?), mentre il secondo coinvolge attori più intenzionati a consolidare l'identità dei confini convenzionali.
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