BIM come metodologia, la scomoda o la vera interpretazione?
Il BIM non è solo un modello 3D, ma una metodologia per coordinare il ciclo di vita delle costruzioni, migliorandone efficienza e sostenibilità. Il testo evidenzia la necessità di un cambio culturale e formativo per sfruttare appieno il potenziale del digitale nel settore.
BIM come metodologia, la scomoda o la vera interpretazione?
Nonostante gli sforzi di molti influenti esperti non sembra che la transizione digitale nel settore delle costruzioni sia ancora correttamente interpretata. Tutto ruota attorno all’hype dell’acronimo BIM e al centro della materia c’è il modello tridimensionale: il prodotto di un’attività tecnica di progettazione assistita dal computer (CAD).
Sembra che, come accade di frequente, si utilizzi la parola innovazione per far credere di fare le cose in modo nuovo, quando in realtà purtroppo così non è. Per questo appare lontano il vero obiettivo, la garanzia del risultato delle opere costruite, che invece si può raggiungere implementando il digitale attraverso l’applicazione di una nuova metodologia.
La storia
La storia della metodologia della modellazione informativa è nota. Nata come vera e propria disciplina della gestione digitale della costruzione, si è trasformata nella tecnica della progettazione tridimensionale delle opere.
Anche gli attori dovrebbero ormai essere noti.
Da un lato il professor Chuck Eastman, dall’altro le società produttrici di software per la progettazione.
Il primo, un vero pioniere dell’applicazione del digitale alla gestione del ciclo di vita delle opere costruite, come disciplina della conoscenza digitale della costruzione che, agli inizi degli anni ’70, comprese la necessità di generare un database formale per la descrizione della costruzione, il Building Description System (BDS), costituito per tutte le fasi del ciclo: design, construction, and building operation.
Le seconde, sono aziende private la cui finalità è quella della remunerazione degli azionisti attraverso gli utili. Queste hanno compiuto un poderoso intervento di pressione sul mercato trasformando la materia ad una questione inerente alla progettazione tecnica.
Il mercato così è stato per un certo tempo diviso in due schieramenti contrapposti. Uno, l’apporto scientifico di Eastman, fondato sulla necessità di una metodologia per la gestione digitale delle costruzioni, mentre l’altro, l’interesse delle società di software, basato sulla volontà di imporre gli attuali potenti software di progettazione tridimensionale parametrica.
Jerry Laiserin analista e consulente del settore AEC fin dagli inizi degli anni 2000 iniziò a diffondere ampiamente il termine "Building Information Modeling" e quando solo nel 2011 nell’introduzione al libro BIM Handbook , volle precisare la paternità della materia proprio ad Eastman, già la condizione culturale della stessa era completamente orientata sul presupposto che, al centro di tutto, c’è il modello digitale tridimensionale.
È ovvio quindi che anche Eastman abbia trattato di rappresentazioni grafiche di progetto come dimostra il passaggio concettuale avvenuto nel 1999 dal Building Description System al Building Product Models . Ma oggi in ogni caso, dovremmo avere ben chiara la differenza tra azione finalizzata al progetto dell’oggetto e azione finalizzata al risultato dello stesso.
Che il lavoro di Eastman non fosse affatto orientato ad una innovazione tecnica basata sulla produzione di modelli tridimensionali non è certo solo una opinione mia. Un riferimento che mi ha indirizzato correttamente nella comprensione della materia è quello del prezioso contributo di Simone Garagnani nel suo saggio Modellazione parametrica e semantica BIM “Jerry Laiserin è stato tra i primi a scrivere sistematicamente di BIM sulle pagine del suo blog, attribuendo a Charles Eastman la paternità dell’acronimo, dacché quest’ultimo lo citò per la prima volta in un articolo pubblicato sull’A.I.A. Journal nel 1975. In tale scritto Eastman, oggi riconosciuto come la maggiore autorità in materia, vi si riferisce come a un’attività di gestione informativa degli edifici (un autentico processo) piuttosto che ad un oggetto (modello informatico). Pertanto il BIM non è mai stato un programma di calcolo o un modello 3D, bensì un metodo gestionale immaginato per coordinare le attività convergenti nella realizzazione delle costruzioni”.
Si tratta di una differenza sostanziale che sembra non riuscire affatto ad essere correttamente compresa.
Una cosa è l’operare tecnicamente associando ad un modello tridimensionale (il BIM) i dati e le caratteristiche digitali dei diversi elementi costruttivi al fine di generare efficacie ed efficienza delle fasi del ciclo di vita della costruzione, ben altra cosa è generare un processo di gestione del coordinamento informativo tra le fasi del processo ovvero una metodologia (la BIM) capace di generare attraverso il digitale l’efficacia e l’efficienza di un’opera costruita cosa che, ovviamente, può anche prescindere completamente dalla stessa esistenza di un modello tridimensionale.
Il passaggio dalla modellazione delle informazioni al modello informativo si è determinato all’interno della International Alliance for Interoperability (IAI), una associazione americana costituita da aziende di produzione di componenti per la costruzione, all’interno della quale si consolidò il termine “Building Smart” come missione dell’organizzazione destinata, come si legge nello screenshot che catturai nella prima metà degli anni 2000, “a realizzare un cambiamento coordinato per il miglioramento della produttività e dell'efficienza nel settore delle costruzioni e del facility management”.
Il significato di smart (digitale) era associato, nella proposizione di questa organizzazione, all’idea di generare un “new technologies to crash age old communication barriers” ovvero la soluzione per il superamento di quella caduta del valore dei dati trasmessi nel passaggio tra le diverse fasi del processo del ciclo di vita delle opere costruite, così ben descritta proprio da Eastman.
La figura mostra la perdita del valore dei dati nel passaggio tra le diverse successive fasi del processo e, in particolare, la drastica perdita del valore nel passaggio dalla fase della costruzione a quella della gestione nel caso di un processo privo di coordinamento digitale (without BIM) rispetto ad uno che invece lo prevede (with BIM).
Ho studiato in profondità gran parte dei contributi di Eastman, alcuni veri e propri reperti di un’epoca di saggi scritti con la macchina da scrivere, e ritengo che il professore in qualità di direttore di un laboratorio di ricerca universitario abbia sperimentato nella costruzione del suo Building Description System parecchi passi simili a quelli che ho percorso io stesso in qualità di ricercatore indipendente nello sviluppo del mio framework eXtreme Computer Aided Software Engineering (XCASE) la cui ideazione risale al 2005. E proprio quando, pochi anni fa, finalmente mi resi conto che avrei dovuto assolutamente fare in modo di conoscerlo personalmente per condividere con lui il mio progetto e-BIM, seppi che era prematuramente scomparso. Nonostante tutta la mia stima, il suo diagramma ha qualcosa che proprio non riesco a comprendere. Mostrerebbe infatti che il valore dei dati decresce durante la fase di gestione, cosa difficile da credere dato che, ovviamente, è esattamente il contrario. Per quanto spiegato in questo saggio il valore di quei dati cresce esponenzialmente e diverrebbe una vera e propria miniera d’oro nel caso di una condivisione globale di tipo opendata.
Il diagramma di Eastman, in ogni caso, è rappresentativo di una condizione che attualmente è tutt’altro che superata. Anche i migliori progetti tridimensionali parametrici al termine della costruzione hanno vita breve. Ed è normale che sia così, infatti, non solo non esistono attualmente le procedure standard per l’interoperabilità verso gli attuali sistemi di conduzione, operazione e manutenzione tutti basati su database relazionali, ma soprattutto il vantaggio dell’utilizzo “informativo” dei progetti non è affatto apprezzato rispetto all’onere gravosissimo del loro continuo aggiornamento in fase di conduzione.
In definitiva la storia dimostra come quanto più all’interno dell’IAI, e successivamente nelle altre organizzazioni che sono nate successivamente, è cresciuta la presenza delle società di software per la progettazione, tanto più tutta l’impalcatura dell’impostazione iniziale, l’abbattimento delle barriere informative nelle transizioni dei dati tra le fasi del processo, sia venuta sempre meno.
Attualmente il BIM è considerato come l’attività tecnica che si compie per creare in fase di progetto un supporto digitale: un “file” generato da idoneo applicativo software contenente un modello tridimensionale di un’opera costruita che, contenendo dati geometrici e alfanumerici, viene definito “informativo”. Tale supporto digitale dovrà (più ipoteticamente che realmente) poi essere utilizzato e aggiornato durante le successive fasi del processo edilizio. E così diviene ovvio che il focus vada a riferirsi agli strumenti software che consentono la creazione e l’aggiornamento di tale supporto digitale.
Il BIM nel mainstream corrente
Per quanto detto fin qui, quindi, ha stravinto l’attuale impostazione del mercato, quella alla quale sono tutti orientati, che considera come “il BIM” un modello tridimensionale o come un software per la progettazione tecnica. La sua applicazione, inoltre, è completamente isolata all’interno della fase della progettazione avendo così raggiunto un solo vero obiettivo evidente: una attività completamente dipendente dai software di progettazione tecnica.
A parte considerazioni circa la risibilità di una simile impostazione rispetto alle necessità dell’oggetto costruito, allo stesso tempo dovrebbe apparire chiaro che, ridotto a questa definizione, non si comprende affatto quale differenza e innovazione si avrebbe tra software BIM e software CAD ovvero tutta la gamma di strumenti per la progettazione tecnica assistita dal computer.
L’unica spiegazione, infatti, consiste nella forzatura di aver trascinato al di fuori qualcosa che rimane invece nell’ambito della progettazione CAD.
La questione degli strumenti CAD rimane la stessa sia per quelli più recenti completamente orientati agli oggetti e quindi parametrici tra oggetti diversi e quelli precedenti orientati alle geometrie e quindi parametrici solo per oggetti considerati singolarmente. Sono potenti strumenti per il disegno tecnico ma sono praticamente inconsistenti e primordiali quanto a gestione di dati. Basta considerare che solo recentemente in questi strumenti si è iniziato a trovare la gestione del “tipo di dato”, uno degli aspetti cruciali su cui da sempre fondano il loro funzionamento i software noti come database.
Il riferimento al “modello informativo”, inoltre, è dovuto ad un altro errore di fondo: quello della fonte di informazione. Secondo questa visione ampiamente superata in tutti i settori dove l‘impiego del digitale è maturo, la sola presenza di dati produrrebbe naturalmente informazioni, continuando così a perpetrare l’uso sinonimo dei termini dato e informazione.
Non solo, si tende a generare l’idea che i dati debbano essere compresi tutti in un unico supporto digitale (il file IFC) e che l’infrastruttura di repository di tutti i dati e tutti i documenti sia un unico contenitore (il common data environment CDE). Come non venga in mente che l’IFC sia idoneo a divenire il medium per il puntamento dei collegamenti ai dati esterni alle geometrie tridimensionali non si comprende. Analogamente non si capisce l’idea dell’unico CDE se non con l’evidenza della scarsa o nulla conoscenza del fenomeno IT noto con il termine interoperabilità.
Il focus sulla sola fase della progettazione ha scatenato sul mercato una successione di azioni tutte tese alla formalizzazione di procedure orientate alla definizione di buone pratiche. E in tal senso sono state implementate diverse norme tecniche oltre che la certificazione delle figure professionali, tutte ovviamente rientranti sempre esclusivamente all’interno della sola fase della progettazione. Purtroppo, l’idea di generare “best practices” mal si adatta in un ambito di elevata complessità come è quello del settore della costruzione e dimostra, ancora una volta, come la comprensione della materia sia stata molte volte disorientata.
Ebbene rispetto alla potenzialità della BIM come metodologia per la digitalizzazione del ciclo di vita delle opere costruite lo scenario appare desolante. Nonostante tutti i proclami si ignora completamente la straordinaria importanza che il fenomeno digitale riveste come strumento per garantire la qualità delle performance della costruzione. Aspetto che, da solo, comporterebbe la possibilità di considerare la BIM come una vera e propria disciplina scientifica, un mix di molteplici competenze nient’affatto squisitamente tecniche ma soprattutto economiche, finanziarie e sociali.
Purtroppo, la totale assenza di una simile prospettiva ha ridotto il fenomeno BIM ad una competizione tra progettisti, professionisti o società, tutti BIM esperti, tutti “masterizzati” e tutti certificati.
Ovviamente il mercato ha la sua dimensione e, quando l’offerta è troppo abbondante e indistinta, la fine è quella a cui stiamo assistendo, una competizione feroce sui prezzi offerti, una vera guerra tra poveri, che sta generando come naturale conseguenza una riduzione costante della qualità dei progetti, esattamente al contrario di ciò che ci si attenderebbe dalla stessa concezione del BIM come modello tridimensionale.
E, come detto in apertura, nonostante il contributo autorevole di molti esperti, non appare nessun segnale che faccia immaginare una volontà capace di rispondere a tutte le necessità impellenti di una nuova concezione del settore della costruzione, riferibili alla sua qualità e sostenibilità, necessità che proprio il digitale potrebbe, se correttamente concepito e impiegato, contribuire a risolvere.
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