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Cassazione: il consulente tecnico d’ufficio è l’unico responsabile del proprio operato

LE RESPONSABILITÀ DEL CTU

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione in una recente sentenza della III^ sezione civile (Cass. civ., sez. III, 18-09-2015, n. 18313), escludendo in quel caso che sussista una concorrente responsabilità del Ministero della Giustizia ai fini del risarcimento dei danni cagionati in violazione dei doveri connessi all’ufficio.

IL CASO
Nel caso specifico si trattava di un’azione di risarcimento dei danni patrimoniali subiti da due soggetti, che chiameremo i coniugi Rossi, i quali, avendo partecipato all’esperimento di vendita con incanto di un immobile sito in (OMISSIS), oggetto di procedura esecutiva, dopo esserselo aggiudicato in via provvisoria al prezzo di euro…. (si trattava di un importo di poco superiore a 230.000 euro), vedevano vanificata l’aggiudicazione medesima per il fatto che il Giudice dell’Esecuzione ne disponeva la revoca, ordinando la restituzione delle somme versate. Questi, infatti, a seguito del ricorso presentato dalla parte esecutata e motivato sull’errore valutativo commesso dall'ausiliare nella propria stima, per difetto, aveva disposto una perizia integrativa da parte dello stesso C.T.U., dalla quale era emerso che il valore dell'immobile, tenuto conto della sua intera superficie e dell'aggiornamento della stima ai valori correnti, ammontava effettivamente ad oltre 800.000 euro. Nel frattempo però i coniugi Rossi, già aggiudicatari, avevano (s)venduto l’immobile del quale erano proprietari per procurarsi la provvista necessaria per il corrispettivo di aggiudicazione, e dopo aver visto sfumare questa possibilità avevano dovuto ricorrere al libero mercato per procurarsi un altro immobile, sostenendo tutti i relativi oneri. Da qui l’azione risarcitoria, intentata nei confronti del C.T.U. nonchè del Ministero della Giustizia, chiedendo la condanna in solido tra loro al risarcimento dei danni arrecati dalla errata valutazione dell'immobile, in relazione alle vicende appena descritte, che quantificavano in euro 200.000,00. La sentenza di primo grado dichiarava il difetto di legittimazione passiva del Ministero convenuto, ed accertata la fondatezza della domanda nei confronti del perito, lo condannava ad un importo superiore a 100.000 euro, oltre interessi legali e spese di lite.
La sentenza d’appello confermava in linea di diritto la decisione di prime cure, dimezzando però il capitolo danni. La vicenda è stata definitivamente regolata dalla Corte Suprema di Cassazione, con una sentenza estremamente complessa per la molteplicità delle censure sviluppate, ma che ai nostri fini interessa cogliere in due passaggi determinanti della motivazione: a) il primo, nel momento in cui la Corte riconosce come corretta la decisione di merito ove ha ritenuto che la responsabilità civile per fatto illecito del C..T.U. è disciplinata dall'articolo 64 c.p.c., e di conseguenza è il predetto ausiliare del giudice che deve risarcire i danni che ha cagionato alle parti con la sua condotta colposa; b) il secondo, a corollario del precedente, nel senso che il Ministero della Giustizia non può essere chiamato a rispondere di tale condotta ne' si pone come garante delle obbligazioni risarcitorie di questi.

IL DETTATO NORMATIVO
L’art. 64 del codice di procedura civile dispone testualmente nel secondo comma che: ”In ogni caso il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino ad €. 10.329. Si applica l’art. 35 del codice penale. In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti”.
Detta norma introduce un autonomo profilo di responsabilità penale nell’ipotesi in cui la condotta tenuta dal consulente si connoti nell’accezione della colpa grave, ma ai nostri fini preme sottolineare la rilevanza della parte finale del comma, che statuisce l’obbligo del risarcimento, a prescindere dalla rilevanza dell’elemento soggettivo, e dunque in applicazione del più generale principio di responsabilità aquiliana.
Quanto ai danni dei quali il consulente tecnico può essere chiamato a rispondere, essi variano in relazione agli effetti del suo operato, fermo restando l’accertamento del rapporto di causalità in capo al soggetto che lamenta la lesione. Si può trattare di danni arrecati a persone (esempio: lesioni alla parte sottoposta a vista medico-legale) e cose (esempio: carotaggi dannosi compiuti sull’immobile e non necessari ai fini del mandato ricevuto dal consulente), spese sostenute per dimostrare l’erroneità della perizia, danni derivanti dal ritardo nella definizione del contenzioso a causa di una perizia d’ufficio errata, le spese tecniche sostenute per dimostrare l’erroneità di quest’ultima (per una più completa disamina cfr. Rados – Giannini “La consulenza tecnica nel processo civile”, Giuffrè, Milano 2013).

LE CONSEGUENZE
La Corte ha inoltre precisato che il C.T.U. svolge, nell'ambito del processo, quale ausiliare del giudice, una pubblica funzione, nell'interesse generale e superiore della giustizia, e su di lui grava una precisa responsabilità, oltre che penale e disciplinare, anche civile, con il consequenziale obbligo di risarcimento del danno cagionato in violazione dei doveri connessi all'ufficio. Aggiunge infine la Corte che, pur se il provvedimento di nomina dell'esperto per la stima del bene pignorato di cui all'articolo 568 c.p.c. è ritenuto atto preparatorio e non di esecuzione, e pur essendo tale nomina facoltativa, tanto non rileva ai fini della responsabilità anche civile del predetto ausiliare, una volta che il Giudice dell’esecuzione abbia proceduto a tale nomina ed il nominato abbia assunto l'incarico.
Nel caso preso in esame si trattava di un’altra figura di ausiliare (esperto nella stima); tuttavia, le similitudini esistenti tra le due inducono ad affermare che le statuizioni della Corte di Cassazione sul piano della responsabilità devono valere anche per il consulente tecnico, il cui operato assume un ruolo centrale nel processo, in tutti i tipi di processo, dal quale spesso dipende la decisione della lite.
Sempre più frequentemente il giudice si trova, suo malgrado, nella condizione di non poter fare a meno delle competenze tecniche ed estimative del consulente, alle quali talvolta è costretto a fidarsi ed affidarsi per questa sua delicata funzione super partes.
A questo punto è bene porsi qualche interrogativo, nel senso che sono i consulenti incaricati sempre consapevoli dell’importanza e delicatezza del loro compito?, hanno le conoscenze e le competenze necessarie per svolgerlo al meglio?, conoscono essi le regole del processo nel quale sono chiamati ad operare e ne sanno fare buon uso?
Se in coscienza ciascun consulente può rispondere affermativamente a tutte queste “impertinenti” domande, che tuttavia è meglio porsi ogni volta che si affronta un incarico senza avere la piena consapevolezza di poterlo assolvere onorevolmente, ne rimane ancora una, che lascio a ciascuno ma che vale in generale per ogni libero professionista e per coloro che praticano le professioni intellettuali, ovvero di fronte all’imprevisto, al non calcolato, all’errore che per sua natura è involontario, altrimenti non si tratterebbe soltanto di errore, ecco, in tutti questi casi rischio di avere i fianchi scoperti o posso contare su una buona copertura?
 

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