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Certificazioni tecniche e nullità dei rogiti

La sentenza delle Sezioni Unite dalla Cassazione n. 8230/2019 che interpreta la disposizione del Testo Unico dell’Edilizia in materia di nullità degli atti di rogito in assenza della citazione degli estremi dell’atto edilizio abilitativo originario induce l’Autore ad una disamina a tutto campo delle certificazioni che nel tempo il Legislatore ha imposto o che le prassi hanno consolidato in occasione dei trasferimenti immobiliari. Ed è l’occasione anche per inquadrarle correttamente nella loro funzione visto che coinvolgono anche l’attività certificativa del tecnico.

Le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza del 22 marzo 2019 n. 8230, hanno fatto chiarezza sulle cause di nullità degli atti di trasferimento immobiliare in applicazione del disposto dell’articolo 46 del DPR 380/01 che titola “Nullità degli atti giuridici relativi ad edifici la cui costruzione abusiva sia iniziata dopo il 17 marzo 1985”.

La norma, si ricorderà, è di diretta derivazione degli articoli 17 e 40 della previgente legge del “condono edilizio” n. 47/85 che era intesa a rafforzare la sanatoria delle opere abusive escludendo quelle non sanate dal panorama dei beni commerciabili.

Senza entrare nel merito delle successive modeste modificazioni, per la sostanza che qui interessa diremo solo che imponeva (e a tutt’oggi impone) l’obbligatorietà per le costruzioni realizzate post 17 marzo 1985 (data di entrata in vigore della l. n. 47/85) della citazione degli estremi dell’atto abilitativo originario nei rogiti pena la nullità del trasferimento.

Puntualmente sono però sorte due diverse interpretazioni.

L’interpretazione “sostanziale” e l’interpretazione “formale”

Proprio per la finalità originaria della legge in cui era inserita (v. anche in InGenio 06/01/2021: Abusivismo edilizio, repressione, condono: quando i nodi vengono al pettine ….) questa disposizione ha indotto i più rigorosi interpreti a ritenere che la finalità fosse quella di indurre la legittimazione dell’intero patrimonio immobiliare italiano tramite l’esclusione dal mercato degli edifici abusivi o portanti irregolarità non sanate; interpretazione che sarà definita “sostanziale” e, potremmo aggiungere, orientata alla corretta gestione e regolarizzazione urbanistica.

Per contro, una interpretazione “formale” di natura strettamente civilistica, portava altri interpreti a ritenere che causa di nullità del trasferimento fosse solamente la mancata citazione degli estremi dell’atto abilitativo originario, ma non anche la sanatoria di eventuali difformità successive per conseguire la “conformità” edilizia al momento del rogito perché la legge non lo richiede espressamente.

Dunque sono sorte (e si sono trascinate nel tempo) due opposte letture della norma orientata a due diverse finalità creando evidentemente non poca confusione in una materia così delicata.

La Cassazione sopra richiamata è ora intervenuta dando ragione agli interpreti formali perché, dice, in una stretta interpretazione giuridica in sede civilistica, non si può estendere implicitamente quel che la legge non dice espressamente e, dunque, il trasferimento immobiliare di edifici portanti abusi edilizi non sanati è legittimo e non è nullo purché esista almeno un titolo originario (alla sola condizione che sia quello dovuto riferibile al bene oggetto di negozio).

In sede di compravendita escludiamo dunque solo gli edifici completamente abusivi (successivi al 17 marzo 1985).

La questione delle eventuali irregolarità – dice la sentenza - non inficiano l’”esistenza” dell’atto di trasferimento, ma incidono solo sui rapporti privatistici tra i contraenti (in altri termini incide solo sulla determinazione del “prezzo”).

Diciamo che in chi – come lo scrivente - aveva visto (o aveva voluto vedere) nella legge n. 47/85 una finalità di politica urbanistica di più ampio respiro la decisione lascia un po’ l’amaro in bocca; ma tant’è. Lo dice la Cassazione e quindi l’argomento è chiuso.

Certo è che per chiuderlo ci sono voluti trentacinque anni e certamente non ne ha beneficiato la “certezza del diritto”.

Le certificazioni tecniche nei rogiti: quali e per quali fini

La questione – che la Cassazione circoscrive all’ambito civilistico – ha comunque effetti anche sull’attività professionale dei tecnici in particolare sulle certificazioni che a vario titolo vengono richieste.

Per cui sarà bene capire la finalità per cui le dichiarazioni vengono rese, da quale norma o, più semplicemente, da quale prassi siano imposte, per quali fini e se comportino o meno cause di nullità.

Il Certificato di Destinazione Urbanistica

L’articolo 30 del DPR 380/01 prescrive a pena di nullità dell’atto l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica nei trasferimenti di terreni (sempre) o di edifici con terreni di pertinenza superiori a 5.000 mq.

Norma anch’essa derivata dalla legge del condono edilizio (ex articolo 18) tesa a far conoscere all’acquirente le effettive destinazioni e potenzialità di utilizzazioni del bene acquisito e posta a presidio del reato di lottizzazione abusiva.

La “conformità catastale”

Altra causa di nullità recentemente introdotta dal Legislatore con l’articolo 19, comma 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, come convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122 è la mancata certificazione di conformità catastale.

Qui non basta la citazione degli estremi dell’identificazione catastale dell’edificio: occorre l’attestazione di conformità e se l’immobile non è conforme l’atto è nullo.

Ovvero va regolarizzato prima del rogito.

L’Attestato di Prestazione Energetica

Se poi vogliamo essere esaustivi diremo che negli atti di trasferimento di edifici vige anche l’obbligo della presentazione dell’APE (Attestato di Prestazione Energetica) a norma dell’articolo 6 del d.lgs. 192/2005: per essere precisi è obbligatoria l’esibizione dell’APE, ma la sua mancanza non è causa di nullità dell’atto (se il notaio ha reso edotti i contraenti della necessità e loro consapevolmente non l’abbiano voluta rispettare) ma comporterà semplicemente una sanzione a loro carico. (Non scendiamo nei dettagli delle ripetute modifiche a questa norma perché vogliamo andare alla sostanza del problema).

Riassumendo…

La sostanza del problema è che le attestazioni di cui abbiamo parlato fin qui comportano la nullità se:

  • manca l’attestazione della conformità catastale;
  • manca la citazione dell’atto abilitativo edilizio originario;
  • manca l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica in caso di compravendita di terreni o di edifici con aree di pertinenza superiori a 5.000 mq.

Il fatto che il Legislatore abbia previsto la “sanabilità” della nullità per mancata esposizione dei dati di cui sopra (purché esistenti all’epoca) con la conferma postuma, non cambia le considerazioni che stiamo per trarne.

La mancanza dell’APE non comporta nullità.

Quali garanzie sostanziali?

Al di là dell’aspetto formale del loro inserimento nell’atto queste attestazioni/citazioni che cosa garantiscono di fatto ai contraenti?

Se ripercorriamo a ritroso l’elenco di cui sopra vediamo che:

  • il certificato di destinazione urbanistica informa della destinazione d’uso gravante sul terreno o sull’edificio (ma solo se con terreno superiore a 5.000 mq);
  • gli estremi dell’atto abilitativo attestano meramente l’esistenza di un’autorizzazione originaria e quindi la non abusività integrale dell’edificio, ma non la sua attuale legittimità (quella, per intenderci, richiesta dall’articolo 20, comma 1 del DPR 380/01 necessaria in caso di nuovo intervento edilizio);
  • la conformità catastale attesta invece l’effettiva regolarità fiscale.

Condizioni di trasferimento

In altri termini al momento della compravendita condizione necessaria e sufficiente per la validità dell’atto è la sola regolarità fiscale e non anche quella edilizia.

Questo è il nocciolo della citata sentenza delle SS.UU. della Cassazione quando afferma che la regolarità edilizia attiene unicamente ai rapporti interpersonali privatistici venditore/acquirente per definire il “prezzo”, ma l’eventuale illegittimità non inficia la legittimità dell’atto di compravendita.

Il fine (neanche tanto) recondito del Legislatore

Il tutto per favorire la commerciabilità dei beni che da sempre è preoccupazione del Legislatore prima ancora della legittimità degli stessi (quella che in dottrina si definisce “commerciabilità giuridica” distinta dalla “commerciabilità economica”).

Che il Legislatore fosse più preoccupato di consentire la commerciabilità che non perseguire la regolarità edilizia lo avevamo già capito nella legge del condono quando, all’articolo 35, co. 14, si era premurato di introdurre il principio del silenzio-assenso per le domande di condono inevase dopo 120 giorni dalla presentazione.

Chi verifica cosa

Poiché l’accertamento della regolarità edilizia incide solo sull’utilizzabilità del bene e quindi sul suo “valore economico” la sua verifica è demandata alla diligenza e correttezza del venditore e alla cautela dell’acquirente.

L’eventuale relazione di conformità edilizia (quella “legittimità” che in alcuni ambiti territoriali del Paese si è ritenuto di chiedere per prassi con la sottoscrizione di un “tecnico abilitato”) costituisce semplicemente una prassi e non un obbligo di legge, orientata a far conoscere all’acquirente lo stato di “salute” dell’edificio.

Anche la certificazione APE – pur imposta come obbligatoria dal Legislatore, ma non escludente la validità dell’atto – ha il solo scopo di presa d’atto della situazione di fatto visto che non impone alcun adeguamento di miglioramento energetico rispetto allo stato attuale. Utile al solo fine privatistico della definizione del prezzo.

Ma se così è – e così è – sono molteplici gli accertamenti che un acquirente oculato dovrebbe porsi in un atto di compravendita; basti pensare alle certificazioni di idoneità degli impianti sui quali però il Legislatore nulla dice, o alla sicurezza statica …. Certificazione che - con la norma attuale – dovrebbero essere desumibili dal certificato di agibilità.

L’agibilità

Sullo stesso piano della conoscenza va allora esaminata anche la controversa questione dell’”abitabilità/agibilità” sulla cui necessità di dichiarazione/allegazione in sede di rogito si è a lungo dibattuto (al di là di un’esasperante quanto marginale dissertazione sul significato letterale del termine e sul contenuto dell’atto).

Anche l’agibilità (come la chiama oggi il Testo Unico dell’Edilizia) è elemento utile alle parti per conoscere lo stato di “salute” dell’edificio, ma la sua mancata citazione in atto (o addirittura la sua inesistenza) non è motivo di nullità del rogito.

A dire il vero andrebbe altresì rammentato che non basterebbe neppure la citazione dell’esistenza di un certificato di agibilità per attestare l’effettiva utilizzabilità dell’edificio (a maggior ragione se reso con la modalità del silenzio-assenso) in quanto le condizioni per il suo ottenimento sono variate col tempo come col tempo varia il permanere delle condizioni originarie, soprattutto in relazione all’impiantistica) per cui servirebbe almeno un certificato “attuale” di agibilità oggi richiedibile ai sensi dell’articolo 24, co. 7-bis del DPR 380/10 anche in assenza di opere.

Per la precisione andrebbe anche detto che le condizioni di sicurezza statica, impiantistica e di salubrità attestate dall’agibilità attengono ad una finalità di tutela pubblicistica che pare improprio relegare ad un mero rapporto commerciale.

Ma è inutile dilungarci nell’elencazione delle cautele che l’acquirente deve porsi in caso di compravendita: cautele che sarebbe bene affidare ad un tecnico competente e di fiducia perché il rogito non necessariamente le garantisce.

La garanzia della “commerciabilità giuridica”, non della “commerciabilità economica”

Quel che preme qui sottolineare è che il coacervo di dichiarazioni che - vuoi per obbligo imposto dal Legislatore vuoi per prassi - viene oggi riportata in un atto di compravendita non tutela l’acquirente se non per la mera “commerciabilità giuridica” lasciando non garantita la “commerciabilità economica” affidata alle sue accorte verifiche.

Il che, però, è contrario al comune sentire dell’uomo della strada che per tradizione e retaggio culturale ripone nel rogito notarile un’affidabilità in realtà estranea alla sua competenza; a maggior ragione indotta dall’intervento del Legislatore che ha arricchito (si fa per dire) l’atto di verifiche e certificazioni dall’apparenza rassicuranti.

L’intervento del Legislatore sul punto appare invece episodico, occasionale e scoordinato, guidato più dall’emotività del momento che dall’efficacia della disposizione (vedi APE).

E non solo.

Un sostanziale fallimento di politica del territorio e un comportamento poco etico

Finché si credeva che l’interpretazione sostanziale della legge n. 47/85 (e poi del DPR 380/01) imponesse la “conformità” edilizia, la legge che nel 2010 ha imposto anche la “conformità” catastale ne era il simmetrico corollario: conformità edilizia e catastale parevano dover andare a braccetto in un’ottica di contestuale regolarizzazione (da ottenersi prima del trasferimento immobiliare con provvedimenti di “sanatoria”).

Ora che la Cassazione ha definitivamente affossata la necessità della regolarizzazione edilizia degli immobili abusivi il quadro normativo appare sbilanciato e monco. Continuano a sopravvivere immobili abusivi che però pagano regolarmente (?) le tasse.

Il che:

  • da un lato è un’occasione perduta di intercettazione/regolarizzazione dell’abusivismo e
  • dall’altro costituisce un comportamento indubbiamente poco etico per un soggetto pubblico (anzi per il Soggetto Pubblico per eccellenza: lo Stato). Non è etico far pagare le tasse su fatti illegittimi/illeciti.

Si è sostenuto che la pretesa del Legislatore di regolarizzare la posizione catastale dell’edificio sia una garanzia per il cittadino acquirente: si direbbe che sia più una garanzia per lo Stato che così ha modo di tassare gli edifici in base alla loro consistenza ancorché illegittima.

Se ne deve dedurre che quel che interessa al Legislatore è la regolarizzazione fiscale; la lotta all’abusivismo può attendere.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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