Condono edilizio: la Soprintendenza non può emettere pareri condizionati. Nessuna modifica, anche estetica, è ammessa oltre i termini di legge
Il condono edilizio è uno strumento straordinario che consente di regolarizzare opere abusive purché realizzate entro i termini previsti e nel rispetto degli specifici requisiti individuati dalla legge. La recente sentenza n. 6285/2025 della Corte di Cassazione ha ribadito che la compatibilità paesaggistica deve essere valutata sull’opera così com’era al momento della scadenza prevista per il condono. Non sono ammesse modifiche successive, nemmeno se di carattere puramente estetico.
Condono edilizio: regole, limiti e novità con il decreto Salva Casa
Il Condono edilizio è una misura straordinaria e a termine che non svincola da perplessità.
Una delle peculiarità del condono edilizio è la possibilità di regolarizzare costruzioni abusive che non siano conformi agli strumenti urbanistici, purché realizzate entro determinate date e rispettando specifici requisiti stabilite dalla legge.
Le leggi che hanno introdotto il condono sono state tre:
- la legge 47 del 1985;
- la legge 724 del 1994;
- il decreto Legge 269/2003 (convertito in legge 326/2003).
Più in generale, in merito alle sanatorie in edilizia, occorre precisare inoltre come con il recente decreto Salva Casa (DL 69/2024, convertito in legge n. 105/2024) siano state introdotte alcune semplificazioni, introducendo due modalità di regolarizzazione, ossia:
- l’accertamento di conformità ordinario (art. 36 del DPR 380/2001);
- l’accertamento di conformità semplificato (art. 36-bis).
Tuttavia, non trattandosi di un condono, non è possibile regolarizzare automaticamente alcune violazioni, come:
- abusi strutturali o antisismici, a meno che non rientrino nei casi particolari previsti dall’art. 34-bis, comma 3-bis;
- irregolarità connesse con i vincoli paesaggistici, ambientali o di altri vincoli specifici previsti da leggi speciali.
Inoltre, un principio fondamentale di tutti i condoni edilizi è quello della cristallizzazione temporale, ossia l’opera abusiva deve già possedere tutti i requisiti richiesti dalla legge alla data limite indicata dalla legge sul condono.
Non è quindi possibile fare modifiche dopo quella data per cercare di aggiustare l’opera e renderla regolare.
Anche se questa regola sembra chiara, nella pratica crea molti contenziosi e spesso si cerca infatti di aggirarla con interpretazioni tecniche o legali complesse.
I giudici hanno sempre ribadito che qualunque modifica fatta dopo la data limite, anche solo estetica, altera l’opera e rende inammissibile la stessa richiesta di condono presentata.
Questo serve a evitare che i termini fissati dalla legge vengano traslati in avanti, danneggiando la certezza del diritto e il valore delle regole urbanistiche.
In questo contesto, è molto importante il ruolo degli enti che tutelano il paesaggio e l’ambiente, i cui pareri devono limitarsi a valutare se l’opera fosse o meno compatibile così com’è alla data del condono e non è mai possibile approvare modifiche fatte in un secondo momento.
In conclusione i limiti temporali del condono edilizio e l'impossibilità di modifiche post- sono spesso mal interpretati, con tentativi di estendere l’interpretazione normativa al fine di sanare l’opera anche laddove non è possibile, come si evince da una recente sentenza della Corte di Cassazione.
Condono edilizio e modifiche post-termine
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6285/2025, ha respinto ulteriormente un ricorso proposto da un ricorrente, riguardante un vecchio ordine di demolizione di un immobile abusivo. Al centro della disputa vi è una sentenza irrevocabile emessa nel 1993, con la quale veniva ordinata la demolizione di un'opera realizzata senza titolo edilizio. Successivamente, il ricorrente aveva tentato di ottenere la revoca dell’ordine di demolizione invocando il rilascio di un condono edilizio. Secondo il proprio punto di vista, l'immobile sarebbe potuto rientrare nei limiti previsti dalla normativa sul condono straordinario del 1994 (secondo condono).
Tale tentativo ha ricevuto un primo rigetto da parte del Tribunale di Termini Imerese nel 2023, il quale ha ritenuto non applicabile la sanatoria, tale decisione è stata impugnata dal ricorrente con un primo ricorso e dichiarato inammissibile nel 2024 dalla stessa Cassazione. Il ricorrente contrariato, ha presentato un ulteriore ricorso straordinario, sostenendo che la Corte avesse commesso un errore di fatto, fraintendendo il senso del parere favorevole, ma condizionato, rilasciato dalla Soprintendenza ai beni culturali.
Secondo tale parere venivano imposte solo delle modifiche di tipo estetico (tra cui il colore dell’intonaco o i materiali degli infissi ovvero la pavimentazione esterna) non riguardanti quindi gli elementi strutturali dell’edificio.
Inoltre il ricorrete, si avvaleva della tesi secondo cui, la Corte avesse erroneamente ritenuto che la sanatoria potesse essere concessa solo per opere già ultimate entro il termine di legge, senza possibilità di completamento successivo, anche se limitato ad aspetti formali o decorativi.
Di conseguenza la Cassazione avrebbe dovuto riconoscere la validità della sanatoria rilasciata nonostante la presenza delle prescrizioni previste dal parere paesaggistico favorevole che avrebbero condotto all’esecuzione di lavori integrativi.
A questo punto la Corte ha specificato che “nel procedere alla disamina dell'art. 36 d.P.R. 380/2001 che fa riferimento al criterio della doppia conformità e dell'art. 39 della L. n.724/1994 (…), la Terza Sezione ha precisato, altresì, che il principio sopra espresso «affermato nell'ambito del condono sul piano edilizio, con riferimento al caso di lavori volti a fare rientrare l'opera da condonare entro limiti volumetrici di cui alla legge (Sez. 3, n. 43933 del 14/10/2021 Rv. 282163 - 01), vale, più in generale, per ogni tipo di intervento che tenda a mutare lo stato dei luoghi alla data ultima del 31.12.1993, prevista per legge, al fine di fare rientrare nell'ambito dell'ammissibile ciò che ammissibile a quella data non appare ai fini del condono.
Così che interventi di ogni tipo, sull'opera abusiva da condonare, ancorché imposti a fini paesaggistici con il nulla osta che dovrebbe completare la procedura di condono, incontrano comunque l'ostacolo per cui l'autorità deputata al relativo rilascio non può imporre alcuna modifica cui condizionare la propria autorizzazione.
Dovendosi limitare, così come del resto richiesto anche all'ente comunale chiamato al rilascio del provvedimento formale di condono, a verificare la sussistenza, alla data ultima imposta per legge, dei requisiti che consentono il rilascio dell'atto di competenza. Ciò significa, per l'autorità preposta alla tutela del paesaggio, verificare la compatibilità con il vincolo paesaggistico dell'opera così come realizzata alla data ultima di condono.
Tanto si impone non solo alla luce della lettera della disciplina, come sopra evidenziato, ma anche considerando la natura e quindi la ratio dell'istituto del condono»”.
Secondo la Cassazione il giudizio precedente era stato applicato correttamente, in particolare l’articolo 36 del DPR 380/2001, che richiede la cosiddetta doppia conformità urbanistica, sia l’art. 39 della legge n. 724/1994, riguardante i requisiti di ammissibilità al secondo condono. Infatti, sostenere che si possano sanare le opere non completate entro la scadenza prevista dalla legge è un errore, ma un’interpretazione coerente con il principio secondo cui qualsiasi modifica del territorio fatta dopo il 31 dicembre 1993, anche di tipo paesaggistico, rappresenta un modo per aggirare le regole sul condono.
Di particolare rilevanza sono le affermazioni che riguardano la Soprintendenza, infatti secondo la Suprema Corte, l’autorità preposta alla tutela del paesaggio nel concedere il nulla osta paesaggistico deve valutare la compatibilità dell’opera esattamente come essa si presentava alla data limite. Per cui non è possibile imporre prescrizioni (pareri condizionati) la cui attuazione comporti modifiche dell’opera abusiva. Questo principio, secondo la Corte, vale sia nel caso di sanatoria urbanistica ex art. 36 e sia per il condono edilizio ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724/1994.
In conclusione, il condono non può essere utilizzato per sanare ex post opere che alla data limite non fossero già pienamente conformi ai requisiti di legge, infatti chi costruisce abusivamente non può invocare le prescrizioni degli enti preposti per sanare opere che non siano già conformi alla norma.
LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE È SCARICABILE IN ALLEGATO.
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L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.
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