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Controversie legali nel settore delle pavimentazioni industriali: cause, responsabilità e problematiche

Le controversie legali sulle pavimentazioni industriali nascono da vari fattori e tra questi anche richieste poco chiare, carenze nelle indagini preliminari e progettuali, o errata gestione in corso d’opera. Le cause più frequenti includono fessurazioni, planarità, delaminazione e difetti nella realizzazione dei giunti. Affrontare queste problematiche richiede chiarezza contrattuale, progettuale e un'efficace gestione del rischio. Intervista di Ingenio a Gian Luigi Pirovano, ingegnere forense esperto del settore.

Pavimenti industriali e contenzioso: perché si finisce in tribunale?

Quali sono i motivi più ricorrenti che portano a controversie legali riguardanti le pavimentazioni industriali? Dispone di statistiche recenti o rapporti che mostrano la frequenza delle controversie legali in Italia?

Ritengo che il vero problema non sia tanto il motivo della controversia, quanto piuttosto l’escalation incontrollata dei valori della stessa.

I motivi del contendere sono generalmente legati alle tradizionali richieste, contrattualizzate o meno, che il committente raramente specifica chiaramente e quindi si aspetta requisiti e prestazioni di cui si accorge solo in seguito, da questa errata modalità di approccio al problema si formano molte delle tipiche contestazioni delle pavimentazioni industriali.

Le più ricorrenti riguardano le fessure, la planarità, la difformità cromatica, la delaminazione, i giunti.
Meno frequente
il pop out, le imperfezioni superficiali, lo spolvero indurente.
Quasi
scomparso il problema delle fibre superficiali.

In crescita invece le problematiche sull’abbinamento di sistemi resinosi su pavimentazioni in calcestruzzo.

Per ultimo devo segnalare anche interventi di recupero e ripristino di pavimentazioni degradate mal eseguiti o eseguiti sottovalutando le reali problematiche esistenti che hanno prodotto il degrado.

Ancora una volta verifico che le indagini diagnostiche preliminari restano ancora lasciate in disparte, lasciate nella casella costi evitabili. E questo porta spesso a interventi di scarsa durabilità.

Purtroppo, le statistiche relative ai contenziosi nel settore sono poche e difficili da recuperare.
Il motivo è semplice, molti contenziosi si concludono prima della causa di merito e questo non permette di analizzare tutti i dati emersi dalle verifiche.

Posso capire che le procedure conciliative tra le parti vengano sollecitate in ogni contenzioso, alleggerendo in tal modo le pratiche in corso, e forse anche con lo scopo di evitare tempi e spese conseguenti, ma francamente non credo che questo sia la strada giusta se applicata semplicemente.

Personalmente caldeggio le conciliazioni, ma non possono essere ricercate a prescindere. Sono troppe le conciliazioni che, a mio avviso, rischiano di diventare più una soluzione bonaria “del parroco” piuttosto che di equità.

La litania è sempre la stessa, non conviene, i costi di procedura sarebbero alti, restate in ballo per molti anni.

Mi ricordo di un contenzioso, in qualità di CTP, con il CTU che voleva far conciliare le parti senza far ispezionare addirittura i luoghi di causa.

Sono invece piuttosto preoccupato per l’escalation incontrollata dei valori di contenzioso.

Lavori di 50.000 euro con richiesta di 2.300.000 euro di danni.
Di 11.000 euro di lavoro e richiesta danni di 1.750.000 euro.
Contenzioso di 15.000 euro iniziali con richiesta danni di 2.500.000 euro.

Vedo questa tendenza degli ultimi anni, direi un po’ “americana”, come uno dei pericoli del prossimo futuro.

La nostra realtà imprenditoriale molto polverizzata, poco strutturata e decisamente impreparata, mi sembra eccessivamente debole e indifesa di fronte a questa nuova “aggressività” del mercato.

Su questo punto sarebbe, a mio avviso, interessate programmare una tavola rotonda con i vari attori per analizzare la situazione e i rischi connessi.

  

Quali sono le parti tipicamente coinvolte?

L’esecutore è sempre coinvolto. È sempre chiamato a rispondere di quanto realizzato, anche nel caso di progetto errato, o richieste particolari del committente, magari emerse anche ex post.

Ovviamente il Committente che agisce sempre come Ricorrente o Attore, ma anche la D.L. che ormai è sempre più coinvolta in ogni contenzioso. Nel caso di delaminazioni, pop out, e fessurazioni è praticamente sempre coinvolto il preconfezionatore.

A volte viene coinvolto il progettista, soprattutto nel caso di progetto inadeguato, incompleto o a volte sbagliato.

In mancanza di progetto il Committente dovrebbe essere ritenuto responsabile, mentre invece la giurisprudenza tende a responsabilizzate l’esecutore che, in assenza di progetto o di progetto semplice e incompleto, realizza l’opera.

Anche su questo si dovrebbe attivare un’analisi tra le varie parti coinvolte.

  

Sulla conoscenza di normative e documenti tecnici di riferimento per il settore

In genere, chi apre il contenzioso è a conoscenza dell’esistenza di normative, linee Guida di riferimento per il settore in cui è possibile riscontrare un’effettiva non conformità dell’opera realizzata?

Raramente, nonostante tutto il lavoro tecnico e normativo prodotto in questi ultimi 20 anni oggi ancora troppo spesso le norme vengono prese in considerazione solo all’avvio del contenzioso.

Molto spesso, inoltre, la non conformità, non essendo stata definita chiaramente in fase progettuale o contrattuale, diventa oggetto del contendere a lavoro ultimato.

In questi casi, molto frequenti, l’esecutore viene a mio avviso eccessivamente penalizzato, alla luce della cosiddetta responsabilità in carico all’esecutore in qualità di esperto. L’aggiunta di frasi difensive inserite nei contratti proposti dall’esecutore, non li protegge dalle responsabilità.

Proporre e realizzare un lavoro indicando che non si risponde della qualità del supporto e/o dell’umidità presente, non serve assolutamente a niente.

Le norme e i codici indicano cosa fare, e non possono essere risolte con le esclusioni contrattuali.

 

Ripartizione delle responsabilità in caso di contenzioso

In quale misura e in quale peso le responsabilità sono ripartite tra progettista, applicatore e produttore di materiali?

L’esperienza accumulata nei contenziosi affrontati in questi anni mi ha dimostrato che ci sono diversi approcci che portano alla ripartizione delle responsabilità.

Contratto, prestazioni, norme, progetti, esecuzione, soprattutto.

Mi permetto di aggiungere anche una mia personale posizione in merito.

Il progettista, ha compiti e responsabilità ben definiti. Il problema è che spesso manca proprio il progettista.

Spesso, nel corso degli accertamenti appare la figura del progettista “architettonico” e sparisce la figura del progettista “tecnico”. Strana situazione.

Spesso, nel corso di un procedimento riguardante la realizzazione di pavimentazioni industriali, sembra che la figura (tecnica) del Direttore dei Lavori, diventi evanescente, a volte inesistente.

 

Per approfondire, leggi anche
Pavimenti Industriali: non basta il progetto, fondamentale il ruolo della direzione lavori

 

Pavimento industriale e garanzia di risultato

Che obbligo ha l’impresa in termini di garanzia del risultato? Ci sono differenze se il pavimento è considerato elemento di finitura o elemento strutturale?

Il pavimento, strutturale o meno, è sempre un elemento di finitura.
E, pertanto, la garanzia del risultato riguarda i requisiti prestazionali della pavimentazione realizzata, alla consegna e in fase di esercizio, requisiti che dovrebbero essere sempre preventivamente contrattualizzati tra le parti.

L’aspetto strutturale è un altro requisito che il progettista dovrebbe analizzare nelle fasi iniziali di check list, in relazione all’uso, alle sollecitazioni, agli scaffali, agli aspetti sismici, ecc.

È il progettista che deve stabilire la componente strutturale o meno dell’opera progettata.
In caso positivo valgono le regole delle normative cogenti in materia.

 

Peculiarità relative ad alcuni contenziosi nell’ambito dei pavimenti industriali e non solo

Qual è stato il caso più complesso di contenzioso o di maggior interesse a cui ha lavorato e come è stato risolto?

La scelta sarebbe difficile, non tanto per la soluzione finale emersa, ma per le difficoltà tecniche o gli aspetti giuridici del contenzioso.

Nel caso di difficoltà tecniche uno dei problemi è ricostruire il nesso eziologico, non semplice in alcuni casi.

Il calcestruzzo è un materiale complesso, costituito soprattutto da materiali naturali, che risente di temperatura e trasporti, realizzato con ingredienti che hanno pesi specifici estremamente differenti, da 0 (aria) a 1 (acqua) a 2,6 (aggregati) a 3 (cemento). E che deve essere mescolato, trasportato, pompato, messo in opera e lavorato a fresco.

Credo sia una delle tecnologie più complicate nel settore delle costruzioni quando utilizzata nella realizzazione delle pavimentazioni industriali.

La realizzazione della pavimentazione è soggetta a problematiche e rischi di varia natura, a volte anche difficilmente controllabili. Pensiamo ad un improvviso temporale, ad un’interruzione del traffico con le fasi di getto ancora in corso, alla rottura di attrezzature, ad un’improvvisa indisposizione di un operatore, ecc.
Tutti fattori di rischio che durante le fasi di esecuzione e di getto posso inficiare o comunque modificare il risultato finale.

E la ricostruzione di tutte le fasi ex post non è facile, anche se a mio avviso, con la dovuta attenzione e ricerca, può risultare spesso possibile.

Un caso particolarmente complesso ha riguardato un intervento di consulenza richiestomi a seguito di un ATP già realizzata in precedenza e particolarmente negativa per l’applicatore.

L’Applicatore era stato considerato colpevole, anzi, addirittura identificato come progettista.
Inoltre, è stata data un’interpretazione delle norme esistenti completamente scollegata alla filosofia che gli stessi normatori avevano indicato come percorso di verifica.

Nel caso specifico è stato richiesto, addirittura, di rifare una pavimentazione industriale, tutta, con le tolleranze delle corsie.

Quindi, contro ogni norma e codice di pratica esistente la presenza di scaffalature avrebbe, secondo il CTU, obbligato l’esecutore a mettere tolleranze “da corsie” su tutta la pavimentazione. Anche nelle zone libere.
Queste interpretazioni “libere” dei documenti normativi dovrebbero essere evitate.

Ma non potendo fare un libro sulle vere interpretazioni delle prestazioni indicate in normativa (non basterebbero centinaia di pagine) probabilmente si dovrebbe insistere sulla specializzazione dei CTU.

Chi tratta di un contenzioso sui pavimenti deve essere specificamente preparato in materia.

Tuttavia, uno di quei casi che mi ha maggiormente interessato non è stato nel settore delle pavimentazioni industriali, ma un caso di supposto inquinamento di una villetta a schiera a seguito di un intervento di deumidificazione.

Mi sono trovato in una situazione dove grossi esperti e professori universitari hanno disquisito per mesi e mesi, con analisi e sperimentazioni producendo memorie di svariati centimetri di spessore, per discutere sulla presenza di parti per miliardo di alcuni prodotti residui.

Parti per miliardo, che vuol dire mettersi a contare, praticamente, le singole molecole….

Leggendo i documenti di ATP ho avuto l’impressione che la necessità del prevalere sul CTP avversario non abbia permesso di dare il giusto peso al problema concreto e reale.

In sostanza, 11.000 euro di lavoro realizzato, 1.750.000 euro di danni richiesti. Dissertando sulle molecole ... (ipotizzando danni ambientali, danni sociali, danni personali, danni...)

Fortunatamente ho incontrato un CTU capace, che ha saputo dare un giusto peso al contenzioso in essere, concreto e per niente appassionato al numero di molecole…

 

Pavimenti industriali: più controlli e meno contenzioso 

Quali consigli darebbe ai progettisti e agli applicatori per evitare contenziosi?

Dare consigli è sempre difficile, si rischia di indirizzare in modo generico i destinatari su un percorso senza conoscerne l’insieme.

Ma basta ricordare solo i documenti tecnici vigenti, che contengono molte informazioni.

Il DT 211 del CNR, i Codici di Buona Pratica, ecc., facilmente reperibili in Internet, gratuiti.

Su questo mi sento di dare certamente un consiglio, non solo citarli, non solo leggerli, ma applicarli veramente.

Ma non per gli aspetti teorico- illustrativi, o per riportare generiche definizioni (il copia-incolla è sport ancora molto presente.), ma mettendo nella pratica giornaliera gli elementi di controllo.

Appunto, i controlli. Che non sono 4 cubetti, ma sono ben altro.

Su questo mi sento di dare un consiglio non solo ai progettisti e agli applicatori, ma anche alle direzioni lavori e soprattutto agli stessi Committenti.

Sono quest’ultimi che subiranno gli effetti negativi di errori e sottovalutazioni in corso d’opera delle scelte progettuali iniziali.

Anche se non competenti in materia, dovrebbero applicare, anzi preoccuparsi che vengano applicate, le regole e le modalità che sicuramente avranno inserito nei loro sistemi di controllo aziendale.

Verifiche, report qualitativi, controllo delle forniture, normative, controlli in corso d’opera, ecc.

Se loro per primi ritengono un “costo” realizzare effettivamente tutti i controlli necessari indicati nei documenti tecnici, ritengo che in caso di eventuale contezioso non possano ritenersi esenti da responsabilità.

E su questo i CTU lo dovrebbero tener presente.

I controlli sono una risorsa, sono la prevenzione per evitare guai futuri, non possono essere considerati come un costo.

Se mancano specifiche competenze in materia, il problema dei controlli non va declassato o rimosso, ma va cercato utilizzando gli esperti che conoscono il settore e le sue problematiche.

Credo che anche su questo dovrebbero essere responsabilizzati, oltre alle D.L., gli stessi Committenti.

Non certo in quanto esperti, ma come gestori degli aspetti economici dell’intervento, con la conseguente capacità di spesa.

E questo vuol dire responsabilità

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