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Demolizione e ricostruzione di edifici vincolati. Art. 3, lettera d), del DPR n. 380/2001

In relazione al dibattito che si è sviluppato intorno ad un parere espresso dallo scrivente e da altri colleghi di questo Consiglio Superiore sulla questione della demolizione e ricostruzione di edifici vincolati, come disciplinata dall’art. 3, lettera d), del DPR n. 380/2001, è forse necessario un chiarimento.

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Ristrutturazioni demo-ricostruzione con diversa sagoma e volume in zone vincolate

Come è noto, il parere reso riguardava l’articolo 3, lett. d) del DPR 380/2001 così come modificato dal d.l. “Semplificazioni” del 2020 poi convertito in legge n. 120/2020, a proposito della ristrutturazione edilizia su immobili vincolati, la cui ratio, chiara e condivisibile, è quella di far rientrare nell’ambito della “ristrutturazione edilizia” gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico, anche con incrementi di volumetria, per promuovere interventi di rigenerazione urbana, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali.

Tutto ciò salvaguardando gli immobili di cui al D.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), riguardo ai quali l’articolo prosegue infatti:

“Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonché a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.”

Riguardo tale formulazione, lo scrivente, ritenendo che il Codice dei beni culturali e del paesaggio sia finalizzato alla tutela e valorizzazione di due tipi di beni - da un lato i “beni culturali” caratterizzati singolarmente da un intrinseco valore storico-artistico, cui è dedicata la Parte II del Codice, dall’altro i “beni paesaggistici”, cui è dedicata la Parte III  del Codice, ovvero quelle aree nelle quali gli immobili presenti contribuiscono nel complesso al valore del contesto paesaggistico – ha espresso l’opinione che la fattispecie della “ristrutturazione edilizia” operata anche attraverso operazioni di demolizione e ricostruzione, non potesse che essere riferita ad immobili ricadenti nella disciplina della Parte III del Codice; i vincoli Parte II, per la acclarata e pacifica separatezza tra le materie costituzionali della “tutela dei beni culturali”, da un lato, e del “governo del territorio” dall’altro, prescindono infatti dalle categorie di intervento edilizio del DPR 380, riferendosi semmai solo e soltanto alle “misure di conservazione” di cui all’art. 29 del Codice.

Facendo quindi riferimento prevalentemente ai soli immobili il cui vincolo risiede nell’essere inseriti in aree sottoposte a vincolo paesaggistico (Parte III del Codice), ma privi di riconosciuto valore storico, artistico o architettonico intrinseco, per questi si dovrebbe poter intervenire – qui il parere che ha innescato il dibattito – anche attraverso la demolizione e ricostruzione, comunque classificabile come “ristrutturazione edilizia”, comprendendo anche modifiche alla sagoma, al sedime, ai prospetti ed al volume preesistente, fermo restando, ovviamente, che tali interventi siano sempre dettati da specifiche esigenze ed inquadrati all’interno di specifiche previsioni regolamentari proprie degli strumenti urbanistici comunali e da sottoporre, comunque, al rilascio di nulla osta da parte delle Amministrazioni competenti per la tutela del vincolo.

E’ pacifico che tale interpretazione (peraltro contenuta nell’ambito di una interlocuzione con un soggetto privato che aveva chiesto un parere in merito) non poteva essere tuttavia applicata, stante l’attuale formulazione dell’articolo 3, lettera d); il parere del Consiglio Superiore, quindi, non ha inteso né potrebbe modificare una disposizione di legge, ma solo esprimere una visione più moderna e attuale della norma vigente.

In ogni caso, il recente intervento dei Beni Culturali, la cui competenza nella questione in esame è assolutamente fuori discussione, ha definitivamente chiarito - come evidenziato nel vostro recente articolo del 7 ottobre ultimo scorso - che la norma comprende non solo gli edifici aventi caratteri intrinseci di pregio architettonico ma anche gli edifici, ricadenti in ambiti tutelati, che potrebbero apparire privi di pregio. In definitiva, secondo il Mibac, coerentemente con la nozione di tutela del paesaggio, il limite della fedele ricostruzione vale non solo per gli edifici con caratteri intrinseci di pregio architettonico, ma anche per gli edifici ricadenti in ambiti tutelati, che potrebbero apparire privi di pregio.

Comunque ritengo che il parere sia stato utile per avviare un dibattito interessante e costruttivo su un argomento evidentemente sentito. Ci si chiede spesso, infatti, sia come tecnici che come cittadini, che senso abbia sottrarre dalla possibilità di accedere agli incentivi, interventi di demolizione e ricostruzione con modifiche in zone sottoposte a vincoli paesaggistici ambientali – su immobili come sopra descritti - senza neanche porsi il problema se la sostituzione di quel manufatto non possa portare beneficio al territorio piuttosto che nocumento. Tantissimi immobili inseriti in aree vincolate presentano criticità in termini di caratteristiche abitative, o addirittura sono frutto di autocostruzione abusiva, privi di progetto, energivori, pericolosi dal punto di vista sismico, e carenti di qualsiasi dignità architettonica.

Si auspica quindi che un intervento legislativo, tenendo conto degli esiti del dibattito, provveda - laddove se ne ravvisi l’opportunità e, evidentemente, con l’intesa del Ministero dei Beni Culturali - a perfezionare in tal senso la disciplina introdotta dall’art. 3, lettera d) del DPR n. 380/2001. Ancora di più sarebbe auspicabile che un radicale intervento legislativo provvedesse a riformulare/riordinare complessivamente le categorie edilizie.

Fra l’altro, è quello che il Tavolo tecnico istituito nel 2017 presso il Consiglio Superiore ha cercato di fare con la proposta di un nuovo Testo unico sulle costruzioni, recentemente proposto al MIMS. 

 

Ing. Antonio Lucchese

Consiglio Superiore ll.pp.

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