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Domanda, rilascio, inizio lavori: i tre momenti chiave in edilizia

Tempus regit actum”: così recita uno dei principi del diritto amministrativo che trova applicazione (evidentemente) anche in materia edilizia.

Dove però troviamo un’eccezione di legge e dove qualche problema può sorgere nei casi di rilascio implicito per intervenuto silenzio-assenso.

Trattandosi però di principio inderogabile, pena l’illegittimità dell’atto rilasciato in violazione, vale la pena soffermarsi con l’Autore nella disamina dei casi che possono presentarsi nella pratica professionale, verificando anche possibili rimedi alle eventuali incertezze suggeriti dalle recenti modifiche legislative di “semplificazione” della legge n.120/2020.


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Il brocardo latino “tempus regit actum” è noto e applicato ai procedimenti amministrativi di cui qui vogliamo occuparci e dispone in sostanza che gli atti amministrativi devono rispettare le regole del momento di emanazione.

Questo è un principio generale del diritto amministrativo come la giurisprudenza ha costantemente ribadito, applicabile senz’altro anche agli atti ammnistrativi quali (oggi) il permesso di costruire (e, prima, la concessione e la licenza edilizia) (v. da ultimo CdS, sez. IV, 22.01.2019 n. 532). Principio generale e indiscusso dell’ordinamento e perciò stesso applicabile anche nel silenzio della norma (come nell’articolo 20 del dpr 380/01).

 

Il principio generale e il permesso di costruire

L’articolo 20 comma 1 del dpr 380/01 prevede però che “La domanda per il rilascio del permesso di costruire ............... è accompagnata da una dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie alle norme relative all'efficienza energetica”. La dichiarazione del progettista non può però che riferirsi alla data della domanda.

Va da sé che dal momento della domanda - in cui si attesta la conformità del progetto a tutte le norme dell’universo edilizio - alla data del rilascio decorre un lasso di tempo non breve (definito dai commi 3, 5, 7 del medesimo articolo o dagli equivalenti di eventuali leggi regionali) comunque non inferiore a 90 giorni.

Lasso di tempo durante il quale potrebbero essere entrate in vigore e/o in salvaguardia norme statali, regionali o comunali che inficiano l’attualità della dichiarazione allegata alla domanda. Stante l’attuale standard di produzione legislativa/normativa la probabilità è alta.

Il che potrebbe portare al diniego (o alla sospensiva istruttoria) del permesso per contrasto con una norma subentrata alla data di richiesta.
Nessun problema se il rilascio sarà formale. Sta al comune verificarlo in quel momento.

L’unica incertezza sull’esito della domanda sta in capo al richiedente che potrebbe veder diniegata la Sua richiesta (assentibile al momento della domanda, ma non più al momento del rilascio) non per errore progettuale del progettista, ma per subentrata modifica normativa.

Eventuale responsabilità potrebbe essere addebitabile al responsabile del procedimento comunale, qualora avesse ingiustificatamente protratto i termini dell’istruttoria fissati dalla legge (per questo la formalità è fondamentale) fino a trascinarla illegittimamente oltre la data di entrata in vigore delle nuove disposizioni ostative.

Ciò, in ogni caso, porterebbe ad un risarcimento del danno provocato, ma mai al rilascio del permesso in contrasto normativo.

 

L’eccezione che conferma la regola: le sanatorie “per accertamento di conformità” e per principio giurisprudenziale

Così è, se la legge non dispone altrimenti.

E in effetti il Testo Unico dell’Edilizia (dpr 380/01) ha una disposizione specifica che se ne discosta nell’articolo 36 quando, a proposito dell’“accertamento di conformità”, prevede che le opere di cui si chiede la sanatoria siano conformialla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.

In questo caso dunque (e solo in questo) la lex specialis pretende la conformità al momento della presentazione della domanda e non al momento del rilascio dell’atto.

E un motivo c’è (o, per lo meno, si può ritenere che ci sia) e sta nel fatto che, mentre nel permesso normale le opere ancora devono essere eseguite - e quindi se ne deve assicurare la conformità alla norma ultima esistente (presumibilmente vigente anche nell’immediato futuro in cui avverrà la realizzazione) - qui le opere già ci sono per cui il momento della vigenza con cui confrontarle non può essere successivo a quello della domanda.

Vero è che alla domanda di “accertamento di conformità” (alias sanatoria) deve seguire un atto di conferma della Pubblica Amministrazione, visto che il comma 3 recita “Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”.

E’ altrettanto vero però la “pronuncia di conformità” non è un’autorizzazione vera e propria, ma una sorta di conferma della fondatezza della richiesta (ovvero di “validazione ex post” dell’Autorità Pubblica) che, dunque, non può essere riferita ad una data posteriore a quella della domanda.

Qualora poi mancasse la pronuncia espressa nel termine dei sessanta giorni si concretizzerebbe un implicito “diniego”, oggi previsto dal 3° comma dell’articolo 36, sulla cui legittimità grava il dubbio di incostituzionalità sollevato dal TAR Lazio di cui abbiamo parlato nell'articolo “Dubbio di illegittimità costituzionale sul silenzio-rifiuto della sanatoria edilizia”.

Se poi il diniego espresso (rectius: la pronuncia negativa del responsabile dell’ufficio) intervenisse oltre i sessanta giorni di legge (e sulle norme di quel momento), a maggior ragione l’esito della sanatoria sarebbe esposto ad esiti illegittimamente incerti non più rettificabili neppure con ricorso giurisdizionale.

Il che spiega la ratio derogatoria al principio generale del “tempus regit actum” voluta dal Legislatore nella disposizione dell’articolo 36.

In realtà più che una deroga ne è la conferma: E’ la coerente modalità di applicazione ad un titolo ex post qual è il permesso in sanatoria.

Diverso sarebbe il caso della sanatoria giurisprudenziale che, non essendo oggetto di alcuna norma derogatoria ricadrebbe nella normalità del principio generale (sul tema abbiamo già detto in “Sanatoria “giurisprudenziale”: un dibattito infinito…e una soluzione regionale”).

 

Qualche problema di “certezza” in caso di silenzio-assenso

Tornando ora ai titoli abilitanti ex ante, tutto fila liscio se il permesso viene rilasciato formalmente: l’onere della verifica sta alla Pubblica Amministrazione (e, per essa, al Responsabile del procedimento e, ancor più, al Dirigente che sottoscrive l’atto).

Se però si opera in regime di silenzio-assenso la certificazione della conformità del tecnico progettista risale alla data di presentazione della domanda per cui la conformità originaria potrebbe essere venuta meno per il sopravvenire di nuove norme (entrate in vigore definitivamente per legge, per regolamento o anche solo in salvaguardia in variante a norme tecniche di piano regolatore).

Poiché l’efficacia del titolo (equivalente dunque al rilascio che abilita l’esecuzione delle opere) si concretizza solo al momento dello spirare del termine che rende sostituibile il rilascio espresso con la dichiarazione sostitutiva di parte, la certezza del rispetto del principio della conformità al momento del rilascio si opacizza dunque quando il rilascio non è formale, ma si acquisisce per decorso del termine.

Per recuperare la certezza non sarebbe improprio confermarla:

  • con una nuova attuale attestazione del progettista al momento del formarsi del silenzio-assenso (ma non è richiesto per legge e non mi pare sia prassi),
  • ovvero con un provvedimento interdittivo della Pubblica Amministrazione in caso di subentro di nuove norme ostative (da emanare evidentemente caso per caso e non a pioggia; ma anche questa non mi pare sia prassi e per di più sarebbe anche difficilmente esperibile perché comporterebbe da parte del comune l’espletamento di quell’istruttoria individuale di cui la procedura di silenzio-assenso vorrebbe esonerarlo).

Resta però un problema per il tecnico futuro che dovesse attestare la legittimità di un permesso siffatto (anche se, va detto, una volta rilasciato potrebbe solo essere annullato non oltre i termini decadenziali di legge. Ma qui il problema si complica e non lo tratteremo in questa sede).

Questo lo stato dell’arte fino al 2020.

 

Una possibile soluzione dopo il “Semplificazioni 1”

L’art. 10, comma 1, lettera i), della legge n. 120 del 2020 (detto anche “Semplificazioni 1”) ha integrato l’articolo 20 comma 8 del dpr 380/01 con questa disposizione “Fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio, lo sportello unico per l’edilizia rilascia anche in via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego; altrimenti, nello stesso termine, comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti”.

Anche se non pare proprio costituire una semplificazione (ma anzi è un aggravamento burocratico per il comune), questa disposizione è stata introdotta per dare certezza all’avvenuto perfezionamento dell’atto per silenzio-assenso.

E poiché anche noi siamo alla ricerca di certezze di quel tipo di atti, l’attestazione comunale ben potrebbe essere integrata con la dichiarazione della mancanza di nuove norme (di legge, di regolamento o di piano) inibenti il silenzio-assenso o, per essere più precisi, invalidanti la certificazione di conformità rilasciata dal tecnico progettista al momento di presentazione della domanda.

 

E in caso di SCIA (e CILA)?

In caso di SCIA (e di CILA) il problema suesposto non esiste.

Pur non trattandosi di un vero e proprio atto amministrativo di cui non esiste rilascio (né formale, né implicito), ma di una certificazione di parte avente effetto abilitante, il principio del rispetto della conformità delle attività assentite alle norme vigenti rimane comunque valido e va accertato.

Ma la dichiarazione del tecnico progettista (pur equivalente nel contenuto) opera diversamente nel caso sia finalizzata a far assumere efficacia ad un atto amministrativo per silenzio-assenso oppure ad una certificazione di parte.

Nella s.c.i.a. il momento di efficacia abilitante (assimilabile al rilascio) coincide con quello della comunicazione per cui la dichiarazione di conformità normativa rispetta l’attualità dell’attivazione e della realizzabilità delle opere.

 

Rilascio e Inizio lavori: ovvero la differenza temporale tra eseguibilità ed effettiva esecuzione. Il caso della DIA e la SCIA differita

Diverso era il caso dell’ormai scomparsa DIA che prevedeva l’efficacia abilitante differita di trenta giorni.

Quel che importa ai fini dell’accertamento di conformità è il momento in cui le opere diventano eseguibili (momento del rilascio o della comunicazione che dia immediata eseguibilità), che non necessariamente coincide con l’effettivo “inizio dei lavori” per il quale può esistere anzi un lasso di tempo di un anno per l’attivazione.

Qualche problema allora potrà porsi nel caso di efficacia differita della SCIA, condizione che può ricorrere qualora quest’ultima sia subordinata a specifici pareri o esiti di conferenza dei servizi (ex art. 19-bis della l. 241/90) o per espressa scelta del richiedente (rectius: comunicante) che ne faccia espressa richiesta (ipotesi peraltro consentita dall’articolo 15 della legge n. 15/2013 dell’Emilia-Romagna.

Si ricadrebbe nell’ipotesi del permesso rilasciato per silenzio-assenso di cui sarebbe necessaria l’attualizzazione della dichiarazione di conformità.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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