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Ecosistemi Digitali Nazionali e Sovranazionali: Tracce per l’Italia

Riflessioni e considerazioni sulla necessaria configurazione di ecosistemi digitali in ambito nazionale per essere, a loro volta, ospitati nell'ecosistema comunitario.

Ruolo e funzione delle piattaforme digitali 

La parola piattaforma è assai diffusa attualmente nel settore dell’ambiente costruito, essendo impiegata piuttosto acriticamente per designare entità assai eterogenee tra di loro. Essa, tuttavia, sta a significare l’esistenza di un luogo immateriale nel quale, in termini inclusivi, i diversi attori e operatori siano attivi e interagiscano in diversi modi, per informarsi, per formarsi, per condividere, per transare, per ricevere servizi dedicati.

Che tali luoghi siano definiti piattaforme, portali, programmi o strutture poco importa, ma è palese ormai che i principali Paesi Europei (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna), Stati Membri dell’Unione o no, abbiano promosso e parzialmente attuato, per iniziativa e con finanziamenti pubblici e/o privati, ecosistemi digitali per il settore della costruzione e dell’immobiliare.

La loro natura è, come osservato, estremamente eterogenea, come lo sono i loro amministratori e i principali destinatari e utenti degli stessi, anche se finalità e obiettivi appaiono comuni: legati certamente all’efficienza e all’efficacia (alla produttività dei sistemi economici territoriali) dei processi e dei risultati, ma pure a temi ambientali e sociali, che attualmente si riassumono principalmente nei cosiddetti ESG (Environmental Social Governance) Criteria, in quanto sistema di valori imponibili o imposti a e dal mondo finanziario al settore economico in questione.

Dall’intensità con la quale le nozioni di impact e di purpose contrassegneranno gli operatori finanziari nelle loro decisioni di investimento e di finanziamento, e dal ruolo che in esse assumeranno strutture e modelli di dati, dipenderà l’interiorizzazione effettiva di certi valori da parte del mercato immobiliare e infrastrutturale e la prevalenza di valori immateriali nelle operazioni di sviluppo immobiliare.

Perché creare ecosistemi digitali

Analogamente, lo High Level Construction Forum comunitario si muove lungo gli assi tematici della digitalizzazione, della resilienza e della sostenibilità, mentre anche il CEN ha ormai messo a punto un corpus normativo sostanzioso per la digitalizzazione del settore.

In realtà, sottesa a tali criteri sta l’esigenza di realizzare il connubio tra Information, Project & Risk Management, nel quadro della gestione della complessità e della riduzione della aleatorietà delle commesse, sia sotto il profilo degli indicatori finanziari sia di quelli non finanziari, legati alla Finanza Sostenibile.

Per questo motivo, in UNI si sono redatti, e si stanno redigendo, diversi rapporti tecnici, all’interno della serie normativa UNI 11337 (ormai da intendersi come appendice nazionale della serie UNI EN ISO 19650), dedicati a questi argomenti e alle loro interdipendenze.

La posta in gioco è evidentemente legata al ruolo che il settore dell’ambiente costruito, attraverso edifici, infrastrutture e reti, possa giocare nelle economie nazionali e continentali. Per questa ragione, si discorre ormai spesso di maturità digitale dei sistemi economici, oltre che dei singoli player, che nello specifico dipendono dalla relazione o dalla interazione che intercorre tra il versante della domanda e quello dell’offerta.

A una carente cultura digitale del versante della domanda, pubblica e privata, non potrà, infatti, che corrispondere una insoddisfacente risposta del versante dell’offerta, poco motivato a replicare a richieste prevalentemente formali.

Si tratta, in effetti, di riconoscere come la sfida si incentri, ormai, nell’evitare, nel corso della prossima diffusione capillare della digitalizzazione, che gli obblighi formali ostacolino la comprensione piena del tema e delle sue potenzialità.

Uno dei fini cruciali degli ecosistemi digitali sarà, dunque, costituito dalla loro abilità nel supportare una ipotesi o la sua contraria.

Ovviamente, una delle leve possibili da utilizzare è data dal quadro regolamentare (segnatamente, ad esempio, dal codice dei contratti pubblici e dal testo unico dell’edilizia privata), epperò gli ecosistemi digitali a cui si accennava tendono a fungere sostanzialmente da agenzia, in grado di supportare sia una azione convergente tra attori del processo edilizio o infrastrutturale sia lo sviluppo di comunità di pratica.

E’ interessante osservare come alcune iniziative cerchino di proporre un corpus di documenti e di strumenti di riferimento, mentre altri tentino di coinvolgere più proattivamente gli operatori nella configurazione degli stessi.

In questo momento, in particolare, l’attenzione è focalizzata sui modelli organizzativi e sui processi gestionali che riguardano la genesi dell’investimento, l’affidamento del contratto e la sua esecuzione, con specifico riferimento ai servizi di architettura e di ingegneria e ai lavori.

Di fatto, i vincoli legislativi conducono spesso, almeno le committenze pubbliche, a ricorrere a documenti e a soluzioni frutto di emulazioni, spesso in assenza di riscontri nei confronti dei modelli presi a riferimento, banalizzando fortemente la questione.

Un ecosistema digitale dovrebbe, al contrario, abilitare e facilitare il confronto critico tra operatori, oltre a impedire che gli aspetti strategici di processo siano privati di contenuti specifici.

Successivamente, anche entro questo ambito, a partire dalla condivisione di repertori di entità informative, di requisiti informativi e di regole di controllo, la centralità sarà assunta dalla digitalizzazione dei processi autorizzativi, con evidenti ricadute anche nel contesto del rilascio dei titoli abilitativi per l’edilizia privata e per le attività produttive.

La presenza di strumenti di checking entro gli ecosistemi digitali ben testimonia questo approccio, ma è chiaro che tale evenienza rende potenzialmente possibile per gli amministratori e per i gestori degli stessi lo sfruttamento dell’intelligenza collettiva utile a comprendere meglio gli orientamenti o le tendenze del mercato ed eventualmente a condizionarne le direzioni.

L’orizzonte di più lungo periodo, a cui allude una parte del cosiddetto Digital Twinning, ma pure il semplice Digital Building Logbook ovvero lo Smart Readiness Indicator for Buildings, riguarda chiaramente la gestione del ciclo di vita dei cespiti immobiliari e infrastrutturali.

Dato che la gestione dei cespiti fisici interconnessi sempre più impatterà sul ciclo delle vite degli utenti, è evidente che occorra, in prospettiva, capire in che misura questi ecosistemi digitali possano essere contraddistinti da limitazioni.

La centralità, in questi ecosistemi, è, però, da attribuire non tanto ai casi esemplari e ai campioni nazionali, quanto alla diffusione capillare di certe logiche e di talune prassi nel sistema minuto del tessuto istituzionale, committente, professionale e imprenditoriale, al fine della sua crescita e della sua consapevolezza.

Se, perciò, gli European Digital Innovation Hub potrebbero svolgere, in Italia, un ruolo non secondario nella informazione, nella formazione, nella disseminazione e nel trasferimento tecnologico, nelle varie forme della innovazione, stante anche la costante dilatazione delle applicazioni digitali e la loro finalizzazione alla sostenibilità economica, sociale e ambientale, vi sono altre componenti che possano figurare in funzione complementare, tra cui le piattaforme telematiche per l’acquisizione dei servizi, dei lavori e delle forniture, e i mercati elettronici in senso lato.

Gli ecosistemi digitali dovrebbero, pertanto, consentire agli Hub di operare entro un quadro contestualizzato, così che il singolo dispositivo tecnologico possa essere compreso dalle micro o dalle piccole organizzazioni in maniera non estemporanea.

Ecosistema digitale nazionale: cos'è stato fatto e cosa occorre fare

Al contempo, il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNCC) e il Piano Nazionale degli Investimenti Complementari (PNIC) hanno messo in risalto il rilievo assunto dai sistemi informativi per il monitoraggio, per il controllo e per la rendicontazione degli investimenti, entro sempre una logica propria agli ecosistemi digitali.

Di conseguenza, l’ecosistema digitale, specie nell’ottica di una gestione dell’investimento incentrata sul dato e sulla sua univocità, sempre più spesso abiliterà la verifica delle strutture di dati unitamente al sistema di reporting: una esigenza ben presente nelle critiche agli approcci correnti alla compliance nei confronti dei criteri ESG.

In altri termini, si pone il tema della localizzazione delle transazioni digitali negli European Data Space, che sono anche transazioni di saperi e di strutture di dati, oltre che di prestazioni, allorché la dimensione del servizio sovrasta ogni altro elemento, nel senso che si iniziano a utilizzare i cespiti fisici interconnessi per l’erogazione e per il consumo di servizi, sempre più a richiesta e a consumi, sempre maggiormente dotati di essenze immateriali, o meglio, in cui la dimensione tangibile sia strumentale alla prima.

Il Nostro Paese necessita, quindi, anche da questo punto di vista, di concepire e di favorire la configurazione di ecosistemi digitali che capitalizzino e che tesaurizzino le esperienze altrui e che siano divisati per essere ospitati nell’ecosistema comunitario.

A titolo esemplificativo, eccentrico, se il libro digitale non pertiene tanto più al suo possesso permanente quanto alla sua fruizione temporale, il ruolo generale della lettura e quello peculiare della libreria si trovano a competere nell’ambito del consumo del tempo a disposizione degli individui per l'intrattenimento. Alla stessa stregua, entro gli ecosistemi digitali settoriali, avviene una continua transizione tra la dimensione fisica e quella virtuale della realtà.

Sotto questo profilo, il Polo Strategico Nazionale e Gaia-X sembrano essere aspetti affini alla questione, a cominciare da un tema piuttosto negletto nel settore, quale quello della cyber security. Si tratta di un tema inevitabile per gli ecosistemi digitali di sistema che dovessero sorgere in Italia.

Vi è, comunque, da osservare che, laddove non solo si abbia una estensione straordinaria degli orizzonti digitali, ma pure si assista a una loro diffusione trasversale, sorgano tematiche identificate gergalmente come Legal BIM, Social BIM, Financial BIM, e così via.

Non è da trascurare la considerazione che, sotto questo punto di vista, se, da un lato, il cosiddetto ambiente di condivisione dei dati stia divenendo l’ambito di esecuzione del contratto, destinato a ibridarsi con la piattaforma telematica di affidamento del contratto, il concetto di Data Space farà sì che le aree degli ecosistemi digitali relative alle transazioni digitali non siano ispirate solo dal diritto amministrativo, bensì pure dall’informatica giuridica.

Da ultimo, la natura stessa delle piattaforme digitali, che tendono a includere i soggetti coinvolti in maniera totalitaria, pongono interrogativi legati alle azioni di Intelligence e di Prediction che i loro amministratori abbiano la possibilità di attuare e di adottare.

Ciò potrebbe risultare ancor più evidente laddove, ad esempio, le piattaforme telematiche di e-Procurement diverranno sempre più Data-Centric.

ANCE Friuli-Venezia Giulia e Area Science Park hanno, a questo proposito, offerto lo studio di scenari non trascurabili, in cui gli operatori tradizionali del settore potrebbero giocare e rivestire ruoli più o meno subalterni.

Si deve, infatti, ricordare come la digitalizzazione di ecosistemi sia strettamente interrelata al ridisegno dei rapporti di forza entro le catene del valore.

Se, pertanto, da un lato, le future operazioni di rigenerazione urbana, di infrastrutturazione territoriale e di tutela ambientale non potranno che assumere vesti geo-spaziali, occorre capire chi siano gli attori che possano amministrare questi ecosistemi a livello nazionale e sovranazionale, e con quali modelli di governance possano farlo.

Non per nulla, in altri ambiti economici, dotati di una maggiore maturazione digitale, l’implicazione etica si sta affermando con forza considerevole.

Se, infatti, la rigenerazione delle città e la produttività dei territori costituiscono una sfida sociale, ancor prima che immobiliare o infrastrutturale, le relazioni tra ambiente naturale e ambiente costruito, negli spazi digitali, non possono evadere la questione del modello democratico della gestione dei dati o, quantomeno, non devono eludere il fatto che, come detto, condurre l’intero settore nell’ecosistema digitale, specialmente le micro, le piccole, le medie organizzazioni fa sì che si debbano rivisitare i rapporti negoziali e i poteri decisionali, ma anche le identità (si pensi al ruolo delle Utility nel futuro mercato della rigenerazione urbana, così come di quegli intermediari già apparsi in occasione del Super Bonus 110%).

Non dimentichiamo che, in questo contesto, ad esempio, si immagina di attuare procedure semi-autonome di aggiudicazione dei contratti o di risolvere conflitti tra le parti in causa attraverso la computational law, nel quadro di ordinamenti giuridici leggibili dagli algoritmi.

In definitiva, è immaginabile che in questi ecosistemi digitali avvenga la sfida tra modalità di addomesticamento e di banalizzazione analogica dei procedimenti digitali e sovversione dei rapporti costituiti e radicati nelle filiere e nelle catene di fornitura.

In conclusione, la nascita di un Ecosistema Digitale Nazionale per l’Ambiente Costruito dovrebbe, così come, in un certo qual modo, sta accadendo in Francia, collocarsi entro una geografia degli ecosistemi e degli spazi digitali nazionale, integrabile, dunque, con quelli degli altri settori economici.

Ciò conta e vale, soprattutto, in quanto l’industria dell’ambiente costruito, o meglio il settore dell’immobiliare e dell’infrastrutturale in senso lato, si pone come elemento di connessione di molti altri comparti nell’economia nazionale.

Un ecosistema a esso dedicato dovrebbe costituirne la trama e il telaio.

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