I paletti della ristrutturazione edilizia: caratteristiche dei lavori, titoli abilitativi, casi di abuso
Per il Testo Unico Edilizia, la ristrutturazione edilizia si configura laddove, attraverso il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, si realizzi un'alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibile con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo.
Quale titolo abilitativo serve per dei lavori di ristrutturazione edilizia? E quando si può parlare di ristrutturazione e non di pertinenze edilizie?
Nel mare magnum delle sentenze 'amministrative' di urbanistica ed edilizia, merita senz'altro una menzione la pronuncia n.858 del 7 febbraio 2023 del Consiglio di Stato, che ha come protagonista il ricorso contro l'ingiunzione a demolire impartita da un comune a un privato per aver eseguito, in assenza di titolo edilizio e paesaggistico, dei lavori di ristrutturazione edilizia su un fabbricato, comportanti il frazionamento in due distinte unità abitative ciascuna composta da un piano seminterrato, un piano rialzato ed un sottotetto, cambio di destinazione d’uso del piano cantinato reso abitazione, ampliamento di tutti e tre i livelli e modifiche dei prospetti, ai sensi dell’art. 33 del Testo Unico Edilizia (dpr 380/2001).
Secondo parte appellante, il comune aveva erroneamente qualificato gli abusi edilizi, da qualificare come mere pertinenze, realizzabili con DIA/SCIA (e passibili, in mancanza, di sola sanzione pecuniaria).
Ristrutturazione edilizia: i confini del Testo Unico Edilizia
Il Comune ha specificato nel provvedimento che l’intervento eseguito sul fabbricato è ascrivibile alla ristrutturazione edilizia per come definita dall'art. 10 comma lett. c del Testo Unico Edilizia: “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.
Ancora: la ristrutturazione edilizia si configura laddove, attraverso il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, si realizzi un'alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibile con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo che presuppongono, invece, la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie.
Quindi il concetto base per parlare di ristrutturazione è l'alterazione/modifica dell'originaria fisionomia dell'immobile. Se cambia, c'è ristrutturazione. Se resta inalterato nella struttura, può esserci risanamento, restauro o manutenzione straordinaria, che presuppongono tra l'altro diversi tipi di titoli abilitativi per essere assentite.
La ristrutturazione abusiva si deve rimuovere tramite demolizione
Palazzo Spada prosegue sottolineando che "l'intervento edilizio, in area vincolata, comportante incremento di cubatura, superficie e unità immobiliari, da qualificarsi di ristrutturazione edilizia, richiede come tale il permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10, comma 1 c, d.P.R. n. 380 del 2001 e, ove abusivo, è da rimuovere con ordinanza di demolizione in difetto del suddetto titolo edilizio, ex art. 33, d.P.R. n. 380/2001" (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 03/02/2021, n. 1388).
L'operato del comune, quindi, è assolutamente corretto, tenuto conto della consistenza che l'intervento edilizio, il quale ha comportato (incontestatamente) aumenti volumetrici su tutti e tre i livelli del fabbricato, modifiche prospettiche e aumento delle unità abitative con conseguente incremento del carico urbanistico.
Ma le pertinenze?
L'appellante considerava gli interventi in questione quali pertinenze, ma siamo 'anni luce' distanti dalle caratteristiche che servono per rientrarvi.
Il Consiglio di Stato, richiamando un'altra pronuncia, ricorda infatti che “la nozione di pertinenza urbanistica accolta dalla giurisprudenza amministrativa è meno ampia di quella civilistica. In tale ottica, gli elementi che caratterizzano la pertinenza urbanistica sono, da un lato, l’esiguità quantitativa del manufatto, nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio, e, dall’altro, l’esistenza di un collegamento funzionale tra il manufatto e l’edificio principale, con la conseguente incapacità per il primo di essere utilizzato separatamente ed autonomamente rispetto al secondo; pertanto, un’opera può definirsi accessoria nei riguardi di un’altra, da considerarsi principale, solo quando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose separare senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme.
In zona vincolata tutti gli abusi vanno demoliti a prescindere dal titolo abilitativo 'giusto'
Tra l'altro, anche in ipotesi di opere suscettibili di essere eseguite previa presentazione di DIA/SCIA - "risulterebbe comunque appropriata la comminatoria della sanzione demolitoria, atteso che l’art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 non distingue tra opere per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per cui sarebbe sufficiente la mera SCIA, imponendo, viceversa, di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano state realizzate senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesaggistico. Difatti, per le opere abusive eseguite in assenza di titolo edilizio in aree paesaggisticamente vincolate vige un principio di indifferenza del titolo necessario all’esecuzione di interventi in dette porzioni di territorio, configurandosi legittimo l’esercizio del potere repressivo demolitorio in ogni caso, a prescindere, appunto, dal titolo edilizio (SCIA o permesso di costruire) ritenuto più idoneo e corretto per procedere all’edificazione in zona vincolata".
La sanzione pecuniaria alternativa può scattare solo in casi di parziale difformità dal permesso
Infine, in merito all'applicazione dell’art. 34 del dpr 380/2001, si ricorsa che l’applicazione dell’art. 34 del dpr 380/2001 non comporterebbe in maniera automatica l'irrogazione della sanzione pecuniaria, atteso che “In materia urbanistico-edilizia, con riferimento agli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, la possibilità di irrogare la sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001 non determina, tout court e comunque prima dell'avvio dell'esecuzione dell’ordine demolitorio, né può implicare l'illegittimità dell'ordine demolitorio, avendo come presupposto proprio la validità e l'efficacia della sanzione ripristinatoria, atteso che soltanto durante la sua materiale esecuzione è effettivamente possibile verificare se l'ordine di demolizione (comunque legittimamente assunto) sia eseguibile - stante la possibilità di procedere al materiale ripristino dello status quo anteriore all'abuso - ovvero se, alla luce delle emergenze proprie della fase esecutiva, si renda necessario far luogo all’applicazione della sanzione pecuniaria” - Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 17 ottobre 2022, n. 8808.
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Abuso Edilizio
L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.
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Il D.P.R. 380/2001 (più conosciuto come Testo unico per l'edilizia) definisce le regole fondamentali da seguire in ambito edilizio.
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