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Il ruolo strategico del Coordinatore per l'esecuzione nell'emergenza da SARS-COV-2

Lente di ingrandimento sul ruolo del coordinatore per l'esecuzione in materia di sicurezza del lavoro in periodo di pandemia

Nel complesso mosaico normativo in materia di salute e di sicurezza sul lavoro il legislatore ha ritagliato per le figure professionali dei coordinatori un ruolo di primissimo piano nei cantieri, strategici ai fini della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.

Non sempre, però, appaiono chiari i confini della loro posizione di garanzia e delle responsabilità – e ciò vale anche per il Direttore dei lavori – e tale criticità si è ulteriormente amplificata all’indomani del Protocollo condiviso dalle parti sociali 24 aprile 2020 per contrastare il rischio di contagio da SARS-COV-2 nei cantieri.

Vediamo quale ruolo deve avere il Coordinatore per l’esecuzione, rimandando al prossimo contributo quello del Direttore dei lavori.


 

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Sistema cantiere: l’evoluzione delle funzioni orientate a nuovi obiettivi

Nel corso degli ultimi anni sta diventando sempre più un vero dilemma per molti professionisti la decisione su se accettare o meno alcuni incarichi riguardanti l’esecuzione di lavori edili; infatti, da un lato il mercato presenta, invero, spaccati e dinamiche sempre più complesse mentre, dall’altro, la normativa, specie quella urbanistica e antinfortunistica, appare sempre più caotica da decifrare, generando crescenti zone d’ombra che rischiano di mettere in difficoltà anche il tecnico più navigato.

Tra tali incarichi certamente quelli che risultano più delicati da assumere, anche per i risvolti sul piano della responsabilità penale, spiccano quelli riguardanti la salute e la sicurezza sul lavoro e, in particolare, quello di coordinatore in fase di progettazione (CSP) e di coordinatore in fase di esecuzione dei lavori (CSE).

Nel complesso scenario che caratterizza il cd. “sistema cantiere”, infatti, tali figure occupano, invero, una posizione centrale, strategica per prevenire gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali che, da sempre, attanagliano un settore ad alto rischio come quello dell’edilizia.

Recentemente, però, la grave pandemia da SARS-COV-2 ha ulteriormente esaltato l’importanza di tali ruoli nei cantieri temporanei e mobili, rendendo strumentale il loro operato anche al fine del raggiungimento degli obiettivi di sanità pubblica stabiliti delle autorità nazionali e locali.

In tale quadro un posto certamente non marginale occupa anche il Direttore dei lavori, figura questa che, rispetto alle altre, appare avvolta anche da un certo alone di “mistero” circa i confini della propria posizione di garanzia in ambito antinfortunistico e non di rado assimilata o confusa con il Direttore tecnico di cantiere.

Appare necessario compiere, quindi, alcune riflessioni su come, alla luce di questi tragici e persistenti avvenimenti, le funzioni – e, in particolare, quelle del CSE – stanno man mano evolvendosi, quali sono le maggiori criticità presenti oggi sul tappeto e le prospettive di tali ambiti professionali.


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All'interno di questa collaborazione una serie di articoli sul tema della SICUREZZA SUL LAVORO E IN CANTIERE, con l'obiettivo di fornire una "Guida alla sicurezza sul lavoro nei cantieri edili" a cura degli avv. Mario Gallo, Pierpaolo Masciocchi e Francesco Torre.


L’ampliata centralità della figura del CSE tra dubbi e incertezze

Un primo aspetto che deve essere preliminarmente rilevato è che, di fronte a questa emergenza sanitaria, almeno per quanto riguarda la salute e la sicurezza sul lavoro il legislatore italiano non ha messo mano alla disciplina ordinaria ma, unitamente al Governo, ha fatto un ampio ricorso a provvedimenti emergenziali di vario tipo; al tempo stesso, però, è stata battuta anche un’altra strada assolutamente innovativa: quella della diffusione dei Protocolli condivisi dalle parti sociali.

Infatti, di fronte alla necessità d’intervenire immediatamente per consentire la continuità delle attività economiche contemperando, al tempo stesso, anche la suprema esigenza di tutelare i lavoratori dai rischi di contagio, il Governo ha favorito la cd. autonomia collettiva, ossia la regolamentazione per via sindacale delle misure di tutela negli ambienti di lavoro.

Si tratta, invero, di un’esperienza – giudicabile, almeno al momento, complessivamente positiva – che ha dato vita al ben noto Protocollo nazionale condiviso dalle parti sociali del 14 marzo 2020, aggiornato il 24 aprile 2020, che ha costituito la matrice per lo sviluppo di Protocolli condivisi particolari come quello siglato il 24 marzo 2020 da ANCE, ACI PL, ANAEPA CONFARTIGIANATO, CNA COSTRUZIONI, FIAE CASARTIGIANI, CLAAI, CONFAPI ANIEM e FENEAL UIL, FILCA CISL, FILLEA CGIL, in cui sono state fornite indicazioni operative finalizzate a incrementare nel settore delle costruzioni l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare l’epidemia da SARS-COV-2 (cd. “Protocollo edilizia-COVID-19”).

Invero, già da una prima lettura di questo complesso accordo collettivo erano emerse alcune criticità applicative e, soprattutto, la configurazione di un regime protettivo tutto imperniato, essenzialmente, proprio sulla figura del CSE, con l’introduzione di una serie di ulteriori adempimenti a suo carico che ne hanno ulteriormente appesantito la posizione.

Successivamente, il 24 aprile 2020 il Protocollo edilizia-COVID-19 è stato aggiornato per allinearlo al citato Protocollo condiviso generale; tuttavia, alcune delle criticità sollevate sono rimaste, purtroppo, ancora sul tappeto e, soprattutto, non si è registrato l’alleggerimento dei compiti posti a carico del CSE scatenando, così, l’accesa reazione da parte dei professionisti e non poche preoccupazioni sulle possibili responsabilità in caso di contagio in cantiere, anche alla luce della controversa disciplina introdotta dal D.L. n.18/2020, che qualifica come infortunio il contagio da SARS-COV-2 in occasione di lavoro.   

La questione di fondo è che il Protocollo nazionale condiviso 14 marzo 2020 e il Protocollo edilizia-COVID-19 partono da una diversa angolazione; il primo, infatti, non entra merito dell’applicazione del D.Lgs. n.81/2008, anche perché, come sottolineato nella Nota illustrativa del 16 marzo 2020 di Confindustria “si muove nella logica della precauzione per tutelare i lavoratori da un rischio biologico generico (eguale per tutta la popolazione), per cui le indicazioni di riferimento sono quelle cautelari indicate dalle Autorità sanitarie. L’intesa si colloca, dunque, al di fuori della prevenzione regolata dal D.lgs. 81/2008 (in questa logica, come evidenziato da più parti – es. Regione Veneto – l’azienda non è tenuta ad aggiornare il documento di valutazione dei rischi)”.

Il Protocollo condiviso per l’edilizia, invece, anche nella versione aggiornata del 24 aprile 2020 parte da una prospettiva che, tutto sommato, appare invero ben diversa in quanto le misure di tutela del Protocollo nazionale sono state modulate in base alle specificità del sistema cantiere e innestate all’interno del complesso regime previsto dal titolo IV del D.Lgs. n.81/2008, con tutti i conseguenti problemi del caso.

Il primo è costituito, certamente, dal ruolo ridisegnato per il CSE, che appare molto dilatato e ancora più predominante rispetto a quello delle altre figure della prevenzione; infatti, già nel D.Lgs. n.81/2008, a tale soggetto è riconosciuta una posizione strategica in quanto il CSE è chiamato a governare le interferenze tra le attività svolte dai diversi datori di lavoro.

La compresenza, però, di diverse imprese all’interno di uno stesso cantiere significa anche un pericolo maggiore di contagio da SARS-COV-2 e, per tale motivo, il Protocollo condiviso del 24 aprile 2020 conferma che il CSE dovrà integrare il Piano di sicurezza e di coordinamento (PSC), previsto dall’art. 100 del D.Lgs. n.81/2008, con riferimento a diverse situazioni.

Questa decisa virata, tuttavia, sta destando non poche perplessità circa gli obblighi aggiuntivi che il Protocollo ha attribuito al CSE, ritenuti eccedenti rispetto a quanto previsto dal già citato D.Lgs. n.81/2008; al tempo stesso, si è accesa anche una discussione sulla mancata partecipazione degli ordini e delle associazioni sindacali dei professionisti al tavolo delle trattative.

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Alta vigilanza e contagio da SARS-COV-2

Tra le misure più critiche c’è, ad esempio, quella che stabilisce che “I committenti, attraverso i coordinatori per la sicurezza, vigilano affinché nei cantieri siano adottate le misure di sicurezza anti-contagio”; la preoccupazione sollevata è che, alla fin dei conti, per come è stato congegnato il meccanismo di controllo, sul CSE finisca per ricadere quasi ogni responsabilità in ordine alla vigilanza sull’adozione nel cantiere di tali misure cui, per altro, il Protocollo sembra anche attribuire delle elevate competenze di tipo sanitario che non pare siano in possesso della figura del CSE.

La questione risulta, quindi, molto scottante anche perché non va dimenticata la posizione molto rigida assunta della giurisprudenza sugli obblighi del coordinatore; in merito, va ricordato brevemente che da ultimo la S.C. di Cassazione sez. IV, 5 maggio 2020, n. 13590, ha nuovamente sottolineato che in tema d’infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza, che grava sul CSE, ha ad oggetto “quegli eventi riconducibili alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al controllo del datore di lavoro e del suo preposto” (1).

Inoltre, certamente non secondario è il fatto che in base all’art. 92, c.1, lett. b), del D.Lgs. n.81/2008, tale dovere si estende anche alla verifica dell’idoneità del Piano Operativo di Sicurezza (POS) redatto dal datore di lavoro dell’impresa esecutrice, attività questa non certamente agevole quando si tratta di un controllo che si estende anche alle misure di tutela dal contagio.

Sullo sfondo, infatti, la qualificazione come infortunio dell’infezione da coronavirus SARS- CoV-2 in occasione di lavoro prevista dall’art. 42 del D.L. n.18/2020 (2), che sta alimentando un acceso dibattito, pone seri problemi in termini di responsabilità anche penale (art. 589 – 590 c.p.) con il risultato che, in considerazione di questa notevole criticità, appare probabile che diversi professionisti preferiranno, almeno in questa fase, declinare dall’incarico di CSE, anche perché l’inevitabile rallentamento dei tempi di lavorazione rischia di generare anche possibili frizioni con il committente con tutto ciò che ne consegue.


NOTE

 1 Cfr. Cass. pen. sez. IV, 12 novembre 2015, n. 46991.
 2 Cfr. INAIL circolare 3 aprile 2020, n. 13 e circolare 20 maggio 2020, n.22.


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Per approfondire:

Nella piattaforma Smart 24 HSE: Sicurezza sul cantiere, coordinamento delle interferenze: DUVRI o PSC? in Cantieri24: rivista digitale con articoli di approfondimento a disposizione degli abbonati alla piattaforma

Lo speciale:

SICUREZZA SUL LAVORO E IN CANTIERE

Guida alle criticità della normativa, al ruolo di coordinatore dell'esecuzione e DL nell'epoca Covid-19 e ai rifiuti da costruzione e demolizione

A cura di Mario Gallo, Pierpaolo Masciocchi e Francesco Torre.

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