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L’interpretazione del quadro fessurativo a partire da Sisto Mastrodicasa

In questa breve nota a firma di Gianmarco de Felice, una chiave di interpretazione del quadro fessurativo indotto da cedimenti fondali, prendendo le distanze da coloro che si ostinano a ricucire fessure con l’ausilio di cuciture armate.

Quanto è grave una fessura e in quali casi è necessario intervenire? Muovendo dal celebre trattato di Sisto Mastrodicasa, questa breve nota offre una chiave di interpretazione del quadro fessurativo indotto da cedimenti fondali, prendendo le distanze da coloro che si ostinano a ricucire fessure con l’ausilio di cuciture armate.

 

Perchè quasi tutte le antiche strutture in muratura presentano fessurazioni

È molto raro che una struttura antica non presenti un quadro fessurativo. Complice la massa importante della costruzione muraria e quindi l’entità delle forze in gioco, la muratura si fessura per effetto dei successivi assestamenti che la costruzione subisce nel corso degli anni. D’altra parte, la conformazione resistente per forma le conferisce una notevole rigidezza e quindi l’incapacità di accomodare gli spostamenti indotti senza fessurarsi. E soprattutto, la modesta capacità di resistere agli sforzi di trazione non consente alla muratura di sopportare uno stato di coazione, ma favorisce il rilascio di tensioni e la conseguente fessurazione.
Vuoi per un cedimento non uniforme del terreno, vuoi per un incremento non uniforme dei carichi, nasce all’interno della struttura uno stato di sollecitazione che facilmente diventa incompatibile con la modesta resistenza a trazione del materiale e conseguentemente la muratura si fessura. 

 

La muratura nel modello no-tension

Uno degli approcci più comuni e condivisi nella modellazione delle strutture murarie è il cosiddetto modello no-tension (Angelillo, 2014) che, lungo un percorso di ricerca tracciato dagli studi di Jacques Heyman (Heyman, 1966), schematizza la muratura come un materiale incapace di resistere alla trazione. Nel modello no-tension la muratura si presenta sostanzialmente già prefessurata, cioè non oppone alcuna resistenza al distacco e all’apertura di lesioni tra le parti. L’essere lesionato è il suo stato naturale. 

Il comportamento reale della muratura non è così distante dal modello no-tension, lo stato fessurato di una muratura è una condizione frequente, sostanzialmente naturale della struttura muraria. La nascita di una lesione è la manifestazione con cui la muratura rilascia il suo stato di tensione per adattarsi alle mutate condizioni al contorno.

La formazione di un quadro fessurativo permette alla struttura di trovare un nuovo assetto compatibile con la variazione delle condizioni al bordo con minore energia potenziale.

Il più delle volte la fessurazione non comporta problemi di scurezza in quanto la struttura trova una nuova condizione di stabilità e le fessure, dal punto di vista strutturale, non hanno particolare rilievo (Huerta, 2012). Solo in pochi casi la fessurazione è la manifestazione di un dissesto che pone la struttura in una condizione di pericolo.

La capacità del progettista è quella di non fare di tutta l’erba un fascio, di riconoscere le situazioni di pericolo, guardando oltre la semplice manifestazione di una fessura. Al progettista è demandato di interpretare il quadro fessurativo sia nelle cause che l’hanno prodotto che negli effetti che questo può comportare.

 

La valutazione del quadro fessurativo

È con il celebre trattato “Dissesti Statici delle Strutture Edilizie Diagnosi e Consolidamento”, pubblicato da Sisto Mastrodicasa nel 1943, che viene proposta una teoria generale per determinare i dissesti statici indotti dalle lesioni, le cause che li hanno prodotti e quindi i consolidamenti necessari.

La teoria di Mastrodicasa, ancora oggi il riferimento per la diagnosi del quadro fessurativo delle strutture, parte dalla risoluzione del problema fondamentale: assegnata la natura del cedimento, si determinano le fessure caratteristiche, seguendo un processo intuitivo fondato sull’osservazione diretta dei fatti e sui principi fondamentali della meccanica delle strutture. Una volta risolto il problema fondamentale è agevole risolvere il problema inverso, quello che interessa il progettista: assegnato il quadro fessurativo, determinare la natura del cedimento, le cause perturbatrici e quindi, ove necessario, i rimedi da porre in atto.

E tuttavia, lo stesso trattato di Mastrodicasa stabilisce implicitamente un nesso causale tra il manifestarsi di una fessura e la presenza di un dissesto. Complice il progressivo allontanamento delle maestranze e dei tecnici dal cantiere murario, nella percezione corrente, l’apertura di una fessura è da considerare una lesione, il segnale di un malfunzionamento e della necessità di porvi rimedio.

D’altra parte, il modello di riferimento è quello di una struttura in cemento armato, dove la continuità delle membrature, garantita dalla continuità del getto e dalla corretta disposizione delle armature deve essere assicurata. La struttura muraria viceversa, è intrinsecamente discontinua, composta di elementi assemblati (Giuffrè, 1991); niente di strano quindi che si aprano i giunti tra un elemento e l’altro. Nel cantiere murario, la manifestazione di una fessura è semplicemente la risposta della struttura, non per forza un campanello d’allarme del suo stato di malessere.
Quante strutture voltate a botte presentano una fessura in chiave all’intradosso senza che ciò costituisca pericolo o segnale di sofferenza, ma semplicemente il nuovo assetto per le intervenute variazioni di carico o per l’assestamento delle imposte.

Eppure, non pochi tecnici sarebbero naturalmente propensi a chiudere quella fessura, e magari ricucirla con barre di acciaio, con l’intento di ricostituire una presunta monoliticità dell’opera voltata, senza considerare che, se le cause che hanno perturbato l’assetto iniziale permangono, la struttura continuerà ad assestarsi e troverà una nuova condizione di stabilità, magari con l’apertura di una nuova ulteriore fessura. 

Vi è un secondo motivo che sta alla base dell’accezione patologica delle fessure nelle strutture murarie, l’approccio di verifica basato sul confronto tra tensione e resistenza del materiale.

La formazione della fessura è la prova evidente del superamento della resistenza a trazione e quindi del non soddisfacimento della verifica di resistenza. Che un approccio di verifica della sicurezza basato sul controllo puntuale dello stato di tensione sia insufficiente e in taluni casi inappropriato lo si era già capito con le costruzioni metalliche e con lo sviluppo del calcolo plastico delle strutture (Hill, 1950). La condizione limite di una struttura in acciaio non si verifica quando in un punto si raggiunge la resistenza del materiale, ma soltanto quando si formano un numero di cerniere plastiche tali da rendere labile la struttura e indurre un cinematismo di collasso.

Parimenti nella struttura muraria, si pensi ad un arco, la condizione limite non si verifica quando si manifesta una lesione ma soltanto quando si sviluppano un numero di cerniere sufficienti a formare una catena cinematica e innescare il cinematismo di collasso.

Se si escludono i fenomeni di crisi per schiacciamento, la sicurezza di una struttura muraria non si valuta dal confronto tra la tensione agente e la resistenza del materiale, ma piuttosto dal confronto tra lo spostamento causato dalle azioni esterne e lo spostamento massimo che la struttura è in grado di sopportare. La verifica in termini di spostamento, che era la sola e più efficace misura di controllo della stabilità da parte dei costruttori di un tempo (Rondelet, 1817), si è andata progressivamente perdendo a favore di una verifica di resistenza. Oggi, finalmente, il controllo dello spostamento è tornato ad essere centrale nelle disposizioni normative. Basta pensare alle verifiche sismiche mediante analisi statica non lineare o alle verifiche dei meccanismi locali, dove di fatto si controlla la condizione di equilibrio della struttura rispetto ai possibili cinematismi di collasso e si confronta la domanda di spostamento indotta dall’azione di progetto con la corrispondente capacità.

Se impieghiamo il medesimo approccio in spostamenti alla verifica di una struttura rispetto al cedimento delle fondazioni, la valutazione della sicurezza consiste nel confrontare il cedimento verificatosi, estrapolato dal quadro fessurativo presente, con il cedimento massimo che la struttura è in grado di sopportare senza pregiudizio per la stabilità delle sue parti. Dei due termini della verifica, la valutazione del cedimento indotto può essere ricavata dal procedimento inverso proposto da Mastrodicasa, che si rivela straordinariamente attuale sia nell’individuazione qualitativa che nella misura quantitativa del fenomeno. Il secondo termine relativo alla valutazione del cedimento massimo sopportabile dalla struttura richiede invece il sostegno dell’evidenza sperimentale.

 

La capacità delle strutture murarie di accomodare cedimenti fondali senza collassare:  due esempi emblematici

Il 5 luglio 2018 il ponte sull’estuario del Deba nei paesi Baschi, un ponte ad arco in pietra di quattro campate costruito nel 1866, sperimentava un improvviso cedimento verticale della pila centrale di circa 80 centimetri per effetto del degrado e deterioramento dei pali in legno della fondazione causato di uno xilofago noto anche come verme delle navi. Il cedimento produceva gravi dissesti alle due volte limitrofe alla pila, con  dislocazioni importanti, la perdita di alcuni conci dell’arcata, una forte depressione del piano stradale e la caduta di un tratto del parapetto di valle. Nonostante il grave dissesto e l’entità del cedimento differenziale, il ponte era ancora transitabile e gli archi, malgrado la deformazione imposta, ancora in grado di sostenere il carico (Figura 1).

 

Cedimento della pila centrale del ponte ad arco sull’estuario del Deba nei paesi Baschi

Figura 1 - Cedimento della pila centrale del ponte ad arco sull’estuario del Deba nei paesi Baschi verificatosi il 5 luglio 2018: dislocazione e dissesti nei due archi delle campate limitrofe alla pila centrale.

L’antica basilica di Guadalupe, uno dei monumenti più rappresentativi di Città del Messico, completata nel 1709 dall’architetto Pedro de Arrieta, è un altro caso emblematico della capacità delle costruzioni murarie di accomodare cedimenti differenziali senza collassare. Situata su terreni argillosi nell’area un tempo occupata dal lago Texcoco, l'antica basilica fu presto minacciata dal rischio di subsidenza, nonostante l’imponente sistema fondale con 22.500 pali di legno a sostegno di una massiccia piattaforma in muratura su un’area di sedime di 140 m di lunghezza, 70 m di larghezza e 90 cm di spessore. Lo sprofondamento delle fondamenta non fu un processo uniforme. Dall'inizio della costruzione nel 1571 fino al completamento delle volte nel 1667 si verificò un cedimento differenziale di 80 centimetri tra l'altare principale e la torre occidentale. Il cedimento relativo si accentuò con il passare degli anni. Alla fine del XIX secolo era già di 1,53 metri, con la necessità di riparare spesso le volte e le pareti. Il processo di consolidazione delle argille fu accelerato dall’estrazione dell'acqua sotterranea negli anni '50. Nel 1976, quando iniziarono i lavori di stabilizzazione delle fondamenta per mezzo di pali di controllo, aveva raggiunto 2,20 metri. Nel 1989 era ormai di 2,40 metri (Figura 2) e le fessure comportavano continue infiltrazioni d’acqua e danni all'interno della Cattedrale. Poco prima dell'inizio dei lavori di sottoescavazione, il cedimento differenziale aveva raggiunto 2,93 metri con un aumento di 0,53 metri in soli 24 mesi (più di 2 centimetri al mese). Finalmente, nel 1991, prendeva l’avvio il processo di sottoescavazione delle argille, attraverso la costruzione di 30 pozzi di 3,40 m di diametro, che permise di correggere i cedimenti accumulati negli ultimi 65 anni con una riduzione del differenziale tra la torre ovest e l’abside di 92 cm ed un volume totale estratto dai pozzi di 4220 m3.

 

Condizione della basilica di Guadalupe a Città del Messico nel 1989 con un cedimento differenziale

Figura 2 - Condizione della basilica di Guadalupe a Città del Messico nel 1989 con un cedimento differenziale di 2,40 metri in direzione nord-sud, tra il livello inferiore dell'altare maggiore e la torre ovest (cortesia di Luis Fernando López Hurtado).

 

Ambedue questi esempi mostrano la straordinaria capacità delle strutture murarie di accomodare cedimenti fondali senza collassare. Pur nella particolarità dei due casi di studio mostrati, appare evidente che pochi centimetri di cedimento differenziale, quali si possono riscontrare nei casi correnti, sono ben poca cosa rispetto alle decine di centimetri di capacità di assestamento della struttura.

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