L’Italia ha bisogno di ingegneri per affrontare un futuro sempre più difficile e competitivo
Intervista al vicepresidente OICE, Luigi Iperti,
Intervista a:
Luigi Iperti
Vicepresidente f.f. OICE
Fino a pochi anni fa la laurea in ingegneria rappresentava un biglietto da visita eccezionale per trovare lavoro. Oggi purtroppo non è più così e, molto spesso, i posti disponibili offrono condizioni economiche molto basse. Questo significa che non c'è più bisogno di ingegneri in Italia e occorre introdurre il numero chiuso?
L’attuale situazione di crisi Italiana ed europea ha un’influenza molto forte sull’occupazione dei giovani e quindi anche dei giovani ingegneri. Si sono fermati gli investimenti e la produzione industriale ha subito riduzioni talvolta sensibili. Ecco perché la richiesta di ingegneri è diminuita e le remunerazioni economiche offerte dal mercato non sono adeguate al livello di studi affrontato.
Malgrado ciò le assunzioni continuano ed il periodo di ricerca di un’occupazione per un ingegnere neolaureato si mantiene sempre nettamente inferiore rispetto a quello di altri laureati. Naturalmente, al momento della ricerca di un lavoro è molto importante l’offerta di qualità, misurata dal voto di laurea, dall’aver frequentato corsi post laurea, dalla conoscenza dell’inglese e dalla disponibilità ad andare all’estero. La situazione quindi non giustifica l’introduzione del numero chiuso e penso che sarebbe un grave errore farlo. Indirettamente si avrebbero più laureati in discipline dove le prospettive di trovare un lavoro sono assolutamente minori.
Un Paese industriale e manifatturiero come l’Italia ha bisogno di ingegneri per affrontare un futuro sempre più difficile e competitivo. Noi abbiamo bisogno di sviluppare nuovi prodotti, di innovare e di andare sempre più verso tecnologie d’avanguardia in modo da poter competere con chi ha oggi il vantaggio di costi più bassi della manodopera. L’industria italiana è basata su un tessuto di oltre quattro milioni di piccole imprese che hanno bisogno assoluto di nuove risorse tecniche, di nuove idee, di giovani preparati e disposti a viaggiare per fare conoscere i loro prodotti. Solo gli ingegneri sono oggi in grado di dare continuità al lavoro degli imprenditori, che hanno creato queste imprese, e di assicurare loro un futuro. Quindi diciamo ai giovani, iscrivetevi a ingegneria ed affrontate con serenità un piano di studi impegnativi, ma che vi assicurerà domani un buon posto di lavoro. Non fate l’errore di scegliere un corso di laurea più facile, ma che certamente non sarà in grado di offrire vere prospettive d’impiego.
OICE rappresenta aziende che operano in tutto il mondo, aziende quindi abituate a doversi confrontare non solo da un punto di vista economico ma anche qualitativo. Questa sfida con il mondo viene fatta con ingegneri italiani o la quota di ingegneri presi da altri paesi è in crescita? E, se sì, perchè?
Gli ingegneri che lavorano nelle società d’ingegneria italiane sono tra i migliori del mondo. Spesso li troviamo all’estero ai vertici di società nostre concorrenti. Sono ingegneri con alta preparazione tecnica, che sanno operare in team internazionali, con una capacità di management incredibile. La caratteristica che più li distingue è la cultura del “project management”, cioè la capacità di gestire un progetto rispettando i budget di tempi e costi prefissato anni prima.
Potendo contare su questa qualità di risorse umane, le nostre società di ingegneria sono tra le più competitive. Le più importanti di esse sono globalizzate, cioè dispongono di filiali o vere e proprie società satellite in giro per il mondo, qualche volta create dalla casa madre, ma il più delle volte acquisite perché apportatrici di specifici know how o introduzioni nel paese estero. Molte altre società di piccola o media dimensione hanno comunque caratteristiche di internazionalità, con presenze all’estero più limitate, seppure significative. In questa situazione all’estero, ingegneri italiani e stranieri lavorano fianco a fianco, mentre in Italia è piuttosto raro trovare, se non per attività di addestramento, ingegneri esteri, che sostituiscano colleghi italiani. Nel nostro settore non vi è nessuna tendenza ad importare ingegneri. Viceversa altri paesi europei come la Germania hanno un deficit di ingegneri e quindi cercano di coprire le loro necessità con ingegneri di altri paesi. Ecco quindi aprirsi prospettive anche per i laureati italiani, specialmente dei Politecnici di Milano e Torino.
Un giovane che inizia il percorso di studi accademici oggi in ingegneria su cosa deve puntare? Quali sono le cose a cui deve dare priorità nella sua formazione?
Tutte le facoltà di ingegneria offrono interessanti prospettive, ma sono le specializzazioni industriali, dalla meccanica all’elettrotecnica e all’elettronica, quelle più richieste. Vorrei però fare una raccomandazione. Lo studio deve essere approfondito in modo da laurearsi con un buon voto finale. Questo è il miglior biglietto da visita per poter essere accolti nelle società migliori e che puntano sull’apporto proprio dei giovani ingegneri per crearsi più prospettive per il futuro. Sempre indispensabile è una buona conoscenza dell’inglese parlato e scritto. Periodi di studio o lavoro estivo all’estero e corsi post laurea migliorano le conoscenze e la maturità dei giovani ingegneri. Oggi l’industria italiana ha bisogno di giovani ben preparati, ma anche ottimisti, creativi e con senso di imprenditorialità.
Alcune facoltà dei politecnici stanno passando ai corsi esclusivamente in lingua inglese. Cosa ne pensa ?
È una decisione ottima. I giovani devono capire dal primo giorno di università che il loro futuro è legato alla capacità che avremo come Paese di competere in un mondo sempre più globalizzato. L’inglese è il latino dei tempi moderni. Basta guardare a internet, alla letteratura scientifica, ai rapporti politici ed economici internazionali e confrontarci con il provincialismo di molta nostra cultura per renderci conto di quanto saggia sia questa decisione. Poi, un’università in lingua inglese sarà in grado di accogliere un maggior numero si studenti di paesi di nuova industrializzazione che, tornati a casa, saranno i migliori ambasciatori della cultura e dei prodotti italiani.
Per la qualifica degli ingegneri negli altri paesi si sta puntando alla certificazione delle competenze, mentre in Italia si punta sull'iscrizione all'Albo degli Ingegneri e, in futuro, su un sistema di aggiornamento continuo gestito dagli ordini. Quale pensa che sia la strada corretta da seguire? Quali sono le priorità che si dovrebbero seguire per una concreta riforma degli ordini?
L’associazionismo professionale dei paesi anglosassoni punta alla certificazione delle competenze. Qualcosa di simile si comincia a fare anche in Italia, per esempio la certificazione dei “project manager”. Chi ha bisogno di assumere un project manager ha la possibilità di scegliere tra le persone certificate. Dietro questa visione vi è il discorso dell’aggiornamento professionale continuo in funzione delle reali esigenze del mercato. Gli ordini degli ingegneri potrebbero svolgere questo ruolo, ma dovrebbero modificarsi profondamente.
Oggi gli ordini rispondono alle esigenze dei liberi professionisti in gran parte civili, ma gli ingegneri che lavorano nell’industria sono la grande maggioranza e hanno esigenze ben diverse. La domanda è dunque come sapranno e vorranno gli ordini rigenerarsi e rispondere alle esigenze di tutti gli ingegneri italiani e quindi del mercato?
Da alcuni interventi che sono stati fatti, ancora recentemente, ho l’impressione che vi siano differenze culturali importanti. Per esempio noi come OICE riteniamo che, in presenza di un mercato italiano dell’ingegneria fortemente contratto, debba essere fatto uno sforzo il più esteso possibile per acquisire contratti all’estero. Ma per andare all’estero è importante disporre di strumenti societari il più capitalizzati possibile. E’ necessario infatti investire, per tempi anche lunghi, in attività promozionali ed i liberi professionisti o gli studi associati di ingegneria, con poco o nullo supporto di soci finanziari, poco possono fare. In questa situazione gli Ordini degli Ingegneri si sono fatti paladini di leggi che limitano proprio la presenza di capitale finanziario. Malgrado ciò noi continueremo a creare condizioni per proficue collaborazioni all’estero ed a dialogare su questi temi con gli interlocutori più disponibili.
Qualche anno fa è stata compiuta una riforma delle università, spezzando la laurea in due parti. Ritiene che sia stato corretto?
La riforma del piano di studio delle università e dei politecnici con la creazione delle lauree brevi triennali e delle successive lauree magistrali biennali rispondeva ad una profonda esigenza dell’industria. L’industria chiedeva laureati, con una buona preparazione ingegneristica, pronti ad inserirsi ancora giovani, come nella maggior parte dei paesi europei, nel mondo del lavoro. Sfortunatamente la riforma è stata realizzata senza risorse aggiuntive ed in modo non soddisfacente. Il risultato è che la maggior parte degli studenti dopo i primi tre anni di studio non accede al mondo del lavoro e continua la formazione.
A mio avviso bisognerebbe differenziare maggiormente il percorso 3 + 2 rispetto a quello separato dei 3 anni, ma il discorso meriterebbe ben altri approfondimenti. Rimane comunque molto positivo che il livello degli ingegneri italiani, alla fine dei cinque anni, si sia mantenuto molto buono e che sia scesa la percentuale dei fuori corso.