L’urbanistica italiana tra mancato rispetto del principio di concorrenza e rischio di procedure di infrazione per aiuti di Stato
L’urbanistica italiana tra mancato rispetto del principio di concorrenza e rischio di procedure di infrazione per aiuti di Stato
Imprevedibilità delle conseguenze dell’urbanistica negoziale
L’urbanistica, italiana e non solo, non ha mai molto considerato il rispetto del principio di concorrenza . O, almeno, la necessità di una esplicita convivenza con esso, neanche da quando la sua incidenza nei processi decisionali in materia di allocazione di risorse pubbliche e nella gestione di beni e servizi pubblici è divenuta centrale. E, più in generale, nella regolazione del mercato .
La allocazione dei diritti di costruire – un tempo, le meno impegnative «previsioni edificatorie» - è sempre stata effettuata dall’operatore pubblico, legittimo detentore del relativo potere, in base a piani urbanistici, per lo più generali, ritenuti capaci allo stesso tempo di:
- contenere, in nome dell’interesse pubblico e più recentemente anche dell’interesse generale, l’esercizio della discrezionalità amministrativa, stabilendo la ubicazione, la specializzazione funzionale e la quantità di tali diritti (per realizzare abitazioni, attività sociali, attività produttive, attività di servizio, ecc.); nonché i tempi e le modalità di trasformazione di tali diritti in opere edilizie;
- contemperare, nella allocazione degli stessi, gli interessi confliggenti dei diversi soggetti che domandano i diritti di costruire in quanto proprietari dei terreni sui quali i diritti vengono allocati.
In modo esplicito la questione della concorrenza si è posta, ma non ancora trovando un compiuto trattamento, solo nei casi:
a) della cosiddetta “urbanistica commerciale”, esplosa con la crescita delle «grandi superfici di vendita», centri commerciali e simili, che confliggono con il commercio di prossimità, di solito esército da piccoli commercianti. Ma già nota negli anni della applicazione della legge n. 426/1971, che ha subìto continui ritocchi, e più recentemente del Dlgs 114/1998 (“Bersani”, in attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59, “Bassanini”), che liberalizza gli orari di apertura degli esercizi commerciali, la localizzazione delle attività commerciali di vicinato, mentre disciplina la localizzazione di medie strutture di vendita (da 150 a 1500 mq) e di grandi superfici di vendita (maggiori di 1500 mq) e consente il rilascio di licenze plurime nello stesso esercizio, ripartendo i compiti per le autorizzazioni tra Comuni e Regioni;
b) della assegnazione in concessione, di varia durata, di terreni di proprietà pubblica, per lo svolgimento di attività economiche, da quelle residenziali alle varie forme di attività produttive; quello dei demani pubblici è il caso più classico, nel quale il principio di concorrenza, almeno formalmente, è rispettato: pubblicità e confronto tra le offerte;
anche se non soddisfacendo a pieno quanto impone la Direttiva CE 2006/123 (Bolkestein), la cui piena applicazione viene sistematicamente rinviata: i casi del commercio ambulante, degli stabilimenti balneari, ecc.
Il principio di concorrenza è ovviamente rispettato anche nel caso delle aste; ad esempio, per la cessione (“valorizzazione”) delle proprietà pubbliche;
c) più recentemente, nei casi di confronto concorrenziale tra proposte di trasformazione urbanistica, allorché si applica la procedura dell’art. 18 della l. n. 179/1992, che disciplina lo “pseudo strumento” urbanistico del «programma integrato» (PI), anche di iniziativa privata;
d) quando i comuni formano i «piani operativi», allocando i diritti di costruire programmati con i “piani strutturali comunali” (PSC), in applicazione delle leggi urbanistiche regionali cosiddette di “seconda generazione” (cioè quelle emanate dopo il 1995).
Si tratta di una modalità ancora poco utilizzata in realtà, che si rifà a quella a suo tempo introdotta dalla legge n. 10/1977, all’art. 13, che recava il «programma pluriennale d’attuazione». Strumento in disuso, anche se ancora in vigore, almeno in circoscritte situazioni.
Non molto diversa la situazione di altri paesi. Tra quelli «meno distanti» dal nostro, la Francia. Anche in questo paese la questione della concorrenza in urbanistica emerge soprattutto nel caso dell’«urbanistica commerciale» e in quello della “contrattazione urbanistica” .
Quindi la concorrenza in urbanistica emerge ed è praticata ancora non del tutto compiutamente nell’acquisizione di diritti di costruire, limitatamente a queste fattispecie: commercio, concessione e valorizzazione di patrimoni e demani pubblici, confronti concorrenziali nella applicazione dell’art. 18 della l. n. 179/1992; formazione dei piani urbanistici, quando è previsto che il passaggio dal cosiddetto “piano strutturale comunale” e simili – in base alle ricordate innovazioni introdotte dalle Regioni nella architettura della pianificazione a partire dal 1995 - a quello “operativo” avvenga previo l’espletamento di confronti concorrenziali.
1. Il principio di concorrenza nella cura che ne fa l’autorità garante della concorrenza e del mercato
Queste fattispecie di applicazione e/o rispetto del principio di concorrenza, per quanto limitate – la nostra ipotesi è che la loro applicazione dovrebbe riguardare tutta la allocazione di diritti di costruire anche in ordine alla oramai, di fatto, avvenuta separazione tra diritto di proprietà e diritto di costruire - non sono oggetto della «cura» che del principio di concorrenza è stata affidata alla speciale Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che vigila sulla applicazione della legislazione antimonopolistica della UE (l. n. 287/1990), garantendo cioè la tutela della concorrenza e del mercato, contrastando le pratiche commerciali scorrette nei confronti dei consumatori e delle microimprese, tutelando le imprese dalla pubblicità ingannevole e comparativa, nonché vigilando affinché nei rapporti contrattuali tra aziende e consumatori non vi siano clausole vessatorie.
Il fine ultimo – si trascurano altre funzioni dell’Autorità (conflitto di interesse, rating di legalità) - sembra soprattutto essere la tutela del consumatore.
Quale potrebbe essere il consumatore tutelato dall’Autorità nel caso dell’urbanistica? Ovviamente della pianificazione urbanistica o, più precisamente, del potere di pianificazione assegnato ai soggetti pubblici che pianificano l’assetto del territorio e l’uso del suolo.
Difficile rispondere. In astratto si potrebbe sostenere che le eventuali restrizioni al mercato determinate da piani urbanistici che riducessero al limite a zero l’offerta di terreni edificabili avrebbero da un lato l’effetto di far aumentare i prezzi dei terreni edificabili già sul mercato, con conseguenze evidenti per gli acquirenti e in generale di chi domanda i terreni per svolgere attività economiche, dall’altra quella di far convergere l’azione dei trasformatori solo sull’esistente. In generale sulla città, consolidata e in via di consolidamento. Quindi una «guerra» tra trasformatori: costruttori, developers, ecc., che potrebbero essere identificati come le imprese in concorrenza tra loro.
Nel caso si massima restrizione nell’offerta di suoli si determinerebbe con buona possibilità quel fenomeno che Isabelle Baraud Sarfaty ha teorizzato come la fine della “città gratuita”: il meccanismo è piuttosto semplice. Quando si agisce solo sulla città esistente il costo delle operazioni, anche di rigenerazione urbana, è molto elevato.
Solo pochi sarebbero in grado di sostenerlo. Sia i produttori che gli acquirenti (anche in affitto) degli immobili. Tanto più che la trasformazione dovrebbe essere accompagnata da una elevata valorizzazione immobiliare, in specie della attività/funzioni ospitate: solo così si potrebbe poter disporre, ovviamente attraverso il prelievo fiscale, delle risorse capaci di finanziare comunque la città, nella parte pubblica; in genere quella dei servizi alla popolazione e delle infrastrutture di base. Appunto attraverso la tassazione di questi plusvalori. Densità più elevate di popolazione ed edilizie, sarebbero inevitabili.
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