La AECO Sphere e la Platformization del Settore della Costruzione e dell’Immobiliare
Uno splendido articolo di Angelo Ciribini per entrare nel tema della digitalizzazione delle costruzioni con una visione più ampia, molto più ampia
L’ambiente costruito e l’ecosistema digitale
Per comprendere appieno il significato dell'avvento delle piattaforme (digitali) nel settore della costruzione e dell'immobiliare occorre, in primo luogo, concentrarsi sulla rapida dilatazione dell'ambito di estensione materiale di ciò che definiamo l'ambiente costruito e, al contempo, sull'importanza che dalle reti immateriali generate attraverso le piattaforme digitali si possa estrarre valore grazie ai dati relativi agli utenti della stessa che vi interagiscono.
Ragionare sull’ambiente costruito significa, infatti, per un verso, riconoscere che il comparto tradizionale della costruzione e dell’immobiliare, strettamente legato al bene fisico, ricomprenda o abbia influenza su ambiti molto ampi e diversificati, ma, per un altro canto, vuol dire ammettere che le sue interazioni, digitalmente abilitate, con i fruitori e cogli utenti, lo conducono su un piano sinora inimmaginabile, per cui il cespite materiale incorpori la potenzialità di veicolare i servizi derivanti dalle interazioni cogli utenti, a iniziare dai grandi e dai piccoli oggetti mobili che sono contenuti in esso per finire coi componenti stabili edilizi e impiantistici.
Provocatoriamente, si potrebbe affermare che, alla stessa stregua di un sistema operativo o di un browser, l’edificio «digitalizzato», ad esempio il condominio (o forse anche l’infrastruttura: dalla rete di distribuzione del gas alla linea ferroviaria), possa esso stesso divenire il fulcro di un ecosistema digitale, farsi il centro di una piattaforma, attorno alla quale attrarre fruitori, sviluppatori, inserzionisti, fornitori, generando transazioni, ma anche esperienze.
È da lì, in effetti, che nascono le proposte formulate da parte di soggetti ibridi, che non a caso hanno cercato, ad esempio per la gestione degli spazi di lavoro, sinora senza grande successo, di presentarsi come Technology Company, partendo dall’analisi dei modi di fruizione spaziale, ma pure da parte dalle autentiche società tecnologiche.
Per questa ragione, ha senso parlare del tema delle piattaforme digitali, come ecosistemi digitali, con riferimento ai Web Service, ai Common Data Environment e ai Digital Twin.
Lo User Centrism corrisponderebbe, perciò, alla profilazione degli utenti, effettuata dai Social Network, alle comprensione delle loro condizioni di salute, ottenibile tramite Wearable Device e alla interpretazione dei loro comportamenti desumibile attraverso i Cognitive Built Asset.
Tale centralità dell’utente sta, dunque, al centro degli scenari dell’ambiente costruito disegnati a proposito di Agile Land o di Smart City, entro un contesto in cui le tematiche ambientali legittimano, prima ancora che quelle digitali, nuovi Business Model.
L’era delle piattaforme digitali
L’introduzione, sulla base di questi presupposti, eventuale su larga scala di una o più piattaforme digitali nel settore dell’ambiente costruito, definibili come infrastrutture computazionali e costrutti sociotecnici, consentirebbe loro, infatti, forse di esercitare una influenza globale sull’intero comparto, in virtù del potenziale potere amplificato e stabilizzante dell'effetto rete che le rende, in realtà, un fenomeno inedito.
E' palese, peraltro, che, a livello comunitario, in cui si parla di On Line Platform, la piattaformizzazione del settore dell'ambiente costruito non possa prescindere dalla strategia unionista del cosiddetto Digital Single Market che ne sottolinea gli aspetti collaborativi, vale a dire il potenziale relazionale derivante dalle connessioni in rete.
D'altronde, il ruolo delle piattaforme può essere considerato non solo alla luce del capitalismo della sorveglianza, ma pure nella fattispecie della Sharing Economy e, di conseguenza, all'interno della Social Innovation.
Ritornando al tema dell’ambiente costruito, per certi versi antropizzato, occorre osservare come la sua dilatazione non valga tanto a livello di sommatoria quanto per il fatto che ai diversi elementi che lo compongono si aggiungano condizioni di relazionalità, di interconnessione, e di immaterialità.
Se, infatti, si guarda al combinato disposto di Cloud (ed Edge) Computing, Digital Platform e Common Data Environment & Digital Twin, si può agevolmente intuire, come già tratteggiato, in che maniera le interazioni tra gli esseri umani (i loro comportamenti e i loro desideri) e tutti i dispositivi connessi (la loro autonomia e la loro intelligenza) costituiscano la vera e propria posta in gioco per il mercato e per il settore, concepito sempre più all’interno della rilevanza delle reti, di ciò che è altrimenti definito come collaborazione o, all’inverso, quale antagonismo.
Che poi queste interazioni avvengano sullo sfondo dei paradigmi dell’ambientalismo, della resilienza, della sostenibilità, che riguardino l’efficienza energetica, la decarbonizzazione e il cambiamento climatico, il fatto non può, appunto, che avvalorare la centralità della digitalizzazione.
Come sta avvenendo, ad esempio, per l’autoveicolo, anche l’edificio, sulla scorta del combinato disposto dei temi ambientali e dei temi digitali, sta, infatti, mutando la propria identità.
Di conseguenza, l’evoluzione della nozione di ambiente costruito e la servitizzazione del prodotto immobiliare (o infrastrutturale) nella direzione dello user centrism potrebbero generare sia un nuovo umanesimo sia il suo opposto, ma è chiaro che tutto ciò avviene geo-spazialmente, all’interno dell’ambito in cui i Social Network incontrano il Real World: a iniziare dal Workspace Management (as a Service) e dagli Home Speaker (as an Experience).
La rilevanza della dimensione esperienziale spiega ottimamente, del resto, l’impiego di attributi come agile, cognitive, helpful.
Nulla come il tentativo, in atto nel Digital Banking, di agire, per mezzo di piattaforme, sui comportamenti, sui desideri e sulle motivazioni dei clienti effettivi e potenziali dimostra eloquentemente il concetto.
In altre parole, in ogni settore economico e sociale, la digitalizzazione sistemica consentirebbe di profilare il soggetto, al netto delle tutele sui dati personali e societari, prevedendo tempestivamente, se non addirittura orientando, ogni sua intenzione o azione.
Quello che qui è interessante rilevare è il fatto che, a originare da una determinata innovazione tecnologica o da uno specifico servizio, le piattaforme digitali convergano sempre più in un «luogo immateriale» in cui tutte le dimensioni possano essere considerate olisticamente.
Tale luogo, tuttavia, non può che avere, di conseguenza, un complemento nel «luogo materiale» per eccellenza: l’ambiente costruito.
Al contempo, le critiche rivolte alla diffusione delle piattaforme digitali all’insegna del feudalesimo digitale o del capitalismo della sorveglianza appaiono aver introdotto tra i valori di mercato le questioni legate all’etica e alla democrazia, richiedendo di instaurare un complesso assetto di equilibrio tra la possibilità di estrarre valore dai dati e quella di produrne grazie ai dati.
Per questa via, il settore della costruzione e dell’immobiliare potrebbe finire per entrare nelle grandi sfide epocali legate alla politica e alla società, oltre che all’economia.
La tassonomia delle piattaforme
La centralità della Platformization o della Platform Economy nei diversi settori economici è dovuta al fatto che le piattaforme, come ecosistema digitale, fungano spesso da intermediario tra una domanda e una offerta sovente mai pensatesi come tali (specie la seconda), che si trovano così a interagire tra loro in maniera agevolata, oppure a costituire un ecosistema inedito attorno a una innovazione tecnologica: gli esempi più noti riguardano i sistemi operativi per personal computer, i browser per la consultazione in rete, la ricerca di contenuti sul Web, i pagamenti, l’acquisto di prodotti commerciali, l’erogazione di servizi di mobilità, la ricettività turistica, l’uso degli spazi di lavoro, la fruizione di servizi di intrattenimento, la consegna di prodotti alimentari, sino a sfere sempre più impensabili.
La classificazione più nota delle piattaforme (digitali), dovuta a Cusumano, Gawer e Yeoffi, le ascrive in tre distinte categorie: transaction platform, innovation platform, hybrid platform.
Gli autori, peraltro, sottolineano come la categoria ibrida sia sempre più praticata, fermo restando che quella transattiva sia la più frequentata.
Con riferimento a quanto, in precedenza, notato, vale la pena di ribadire che proprio sull’ambiente costruito, nell’accezione proposta, le piattaforme digitali specialistiche potrebbero trovare un importante terreno di convergenza su un mercato allargato.
Un'altra distinzione, proposta da Srnicek per il Platform Capitalism, si articola in: advertising platform; cloud platform; industrial platform; product platform; lean platform.
Solitamente, inoltre, una piattaforma digitale si basa, come accennato precedentemente, sul cosiddetto effetto rete (network effect) per il quale è essenziale l’estensione progressiva, possibilmente di natura esponenziale, degli utenti della stessa per il suo consolidamento, effetto che, tuttavia, può essere vanificato non solo dall’irruzione sul mercato di altri concorrenti sulla stessa tematica, ma anche da una perdita di fiducia.
Lo stesso Srnicek individua, poi, appunto, quattro fattori determinanti: intermediary digital infrastructures; network effects; cross-subsidisation; constant user engagement.
Fondamentale, per la piattaforma, è ovviamente la natura dell’entità a cui si rivolge per creare margini di profitto: ad esempio, gli inserzionisti pubblicitari, gli attori di un servizio di mobilità, gli sviluppatori di un applicativo, gli affittuari di breve durata di un appartamento, i soggetti che, in genere, per via principale o residuale, intendono offrire prodotti o servizi, e così via.
Al fine di conseguire questo risultato di carattere espansivo spesso la piattaforma transattiva sovvenziona, direttamente o indirettamente, una delle due parti soggetto della transazione o la parte a cui si apre per creare elementi di ampliamento, per arricchire i contenuti, nei confronti colle piattaforme rivali: come sta, ad esempio, accadendo ora per il broadcasting.
All’opposto, per una piattaforma tecnologica è importante essere in grado di attrarre, ad esempio, sviluppatori di software o produttori di dispositivi che desiderino stabilire una connessione con la stessa, addossando a essi gli oneri dello sviluppo.
Le piattaforme e il settore dell’ambiente costruito
La questione principale che verte sulla natura delle piattaforme digitali nel settore della costruzione e dell’immobiliare riguarda, anzitutto, la loro natura pubblica o privata nonché il mercato a cui si rivolgono, pubblicistico o privatistico anch’esso.
Tra le piattaforme digitali rinvenibili nel comparto, ammesso che esse possano ascriversi alla categoria vera e propria, a prescindere dalle piattaforme tradizionali di commercializzazione di componenti edilizi o impiantistici di tipo B2B o B2C, la maggior parte di esse mettono in relazione micro e piccoli professionisti o artigiani con micro e piccoli committenti sul mercato dell’edilizia privata, richiedendo principalmente canoni di abbonamento ed eventualmente percentuali sulle transazioni andate a buon fine, oltreché assicurando meccanismi iniziali di selezione e azioni di sorveglianza sulla soddisfazione dei clienti.
In teoria, tali piattaforme potrebbero essere considerate quali medie o grandi organizzazioni che supportano l’erogazione di servizi professionali o che supportano la realizzazione di interventi senza disporre di un solo professionista o di un solo operaio, in attesa di procedere direttamente, non solo per sostegno.
Non si registra, in prevalenza, un ruolo attivo da parte del gestore della piattaforma nell’assistenza alla stesura del contratto oppure in attività operative che abbiano a che fare colla sorveglianza in riferimento alla negoziazione.
Molte delle transazioni non implicano l’adozione di metodi e strumenti digitali, ma è ipotizzabile, sul medio e lungo termine, che, ad esempio, attività di rilievo digitale del cespite su cui intervenire possano essere gestite in parte autonomamente dal committente e poter essere sviluppate a distanza da professionisti, agevolati da logiche computazionali combinatorie, per potersi poi avvalere di impianti produttivi volanti e additivi delocalizzati al servizio di assemblatori locali, fortemente supportati da automazione.
Vi sono, poi, ad esempio, piattaforme che, a seguito dell’installazione di nano e di microsensori si interpongono tra i soggetti che pre-confezionano il conglomerato cementizio armato e le imprese utilizzatrici, fornendo dati in tempo reale in cloud sulle prestazioni del calcestruzzo fresco in fase di getto: o nel corso della vita utile di servizio dei manufatti, essenzialmente opere d’arte infrastrutturali.
Altre piattaforme non riguardano l’intermediazione tra domanda e offerta, bensì la messa a disposizione, da parte di un produttore di applicativi, nei confronti degli operatori del mercato, a titolo gratuito o particolarmente vantaggioso, di funzionalità del software.
Vi possono, ancora, piattaforme digitali che selezionano, sulla base dei criteri apposti da un investitore, le aree passibili di operazioni immobiliari, fornendo successivamente le soluzioni progettuali, per via combinatoriale, ottimizzate sulla scorta dei vincoli regolamentari e di altro genere, nonché le opportune catene di fornitura.
È evidente che queste piattaforme, di origine privata, possono trarre profitto attraverso commissioni sui servizi che offrono ai soggetti ospitati oppure sui proventi derivanti dalle attività pubblicitarie, ma, al netto delle tutele previste a proposito dei dati, non solo personali, in virtù dell’entità degli utenti che ospitano sono in grado, con maggiore o con minore efficacia, di disporre di dati numerici, strutturati, semi-strutturati o non strutturati, utili alla profilazione degli utenti, dei loro comportamenti e all’acquisizione di competenze da essi detenuti.
Naturalmente, tali considerevoli moli di dati possono essere impiegati al fine di perfezionare algoritmi raccomandativi e algoritmi predittivi, riuscendo potenzialmente a influenzare le scelte degli operatori economici e, addirittura, a etero-dirigerli.
Piattaforme o portali istituzionali?
Alla luce di quanto sopra osservato, vi sono entità di carattere pubblico, talora anche istituzionale, che, pur denominate piattaforme appaiono, in realtà, piuttosto, portali che ambiscono a supportare centri di competenza.
Esse aspirano a offrire fonti informative e formative, dispositivi materiali e immateriali e servizi, in parte a titolo gratuito in parte a pagamento, gestendo modalità di accesso controllate.
La componente, potenzialmente privatistica, che non si limita a offrire attività informative, ma che attiene all'erogazione di servizi necessiterebbe di una attenta riflessione.
Tali entità, infatti, a causa della necessità, a medio termine, di auto-finanziarsi, ricorrono presto all'apporto di fornitori privati, sollevando una serie di criticità.
In teoria, la loro capacità di raccogliere, in via esclusiva o condivisa (con altre piattaforme), utenti, specialmente micro, piccole e medie organizzazioni, da ospitare nel proprio ecosistema digitale dovrebbe essere favorita dalla loro veste istituzionale, ma, appunto, il fatto che non solo ricorrano, talvolta, a forme onerose, e, soprattutto, che si avvalgano di fornitori privati, implica la necessità di determinare le procedure competitive finalizzate alla loro scelta e al controllo sul loro operato.
In ogni caso, l'acquisizione, la detenzione e l'elaborazione di grandi moli di dati fa sì che occorra disciplinare rigorosamente l'identità del gestore, i suoi diritti, i suoi, doveri e il relativo codice etico, tanto più che il network effect che possa derivare da una posizione istituzionale, se correlato al coinvolgimento di operatori economici privati, può generare inusuali accumulazione di capitale e assunzione di posizione dominante sul mercato.
Se, dunque, il network effect appare assai rilevante, non di minore rilievo è il multi-homing, vale a dire la possibilità che l’utente possa avvalersi contemporaneamente di più piattaforme, eventualità obbligata in molti settori, che, tuttavia, il competitore principale tende a scongiurare, anche alleandosi con attori di piattaforme complementari.
A questo proposito, a cominciare dalla BIM o Digital Library, è presumibile che, in termini di interoperabilità e di Open API, una piattaforma digitale istituzionale ambisca, sulla scorta di criteri normalizzati di strutturazione dei dati e delle informazioni (collegabili tra più basi dati sincronizzabili), inclusi i sistemi di classificazione e di codificazione, a ricomprendere in se medesima una parte preponderante dell'offerta formativa e merceologica attualmente disponibile presso Library private o presso i singoli produttori.
Allo stesso modo, sarà essa in grado di assicurare che i dati inerenti siano costantemente aggiornati e quali policy adotterà per evitare l’esclusione di una società, o di una entità, presente sul mercato dalla piattaforma stessa?
Portali istituzionali e libera concorrenza
A prescindere dal fatto che la disponibilità dei dati e delle informazioni dipende dalle specificità dei singoli mercati e dalle strategie competitive (anche di differenziazione dei contenuti informativi rispetto ai destinatari), la presenza di servizi informativi e transattivi erogati o erogabili anche da competitori privati sul libero mercato potrebbe indurre a forme di monopolismo, oltre che a rigidità inerenti al digital marketplace.
In ogni caso, il gestore della piattaforma istituzionale si troverebbe a disporre, quantitativamente e, specie, qualitativamente, della maggiore mole di dati finalizzata a sfruttare le Data Analytics per comprendere le tendenze del mercato in tempo reale.
Ovviamente, le procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici, non solo di forniture e di servizi, ma anche di lavori, sono correntemente gestite attraverso digitali digitali evoluti, in grado, talvolta, di gestire effettivamente i dati, anziché i documenti, ma chiaramente non è ipotizzabile, in questi casi, la presenza di un intermediario tra domanda e offerta.
È necessario, peraltro, domandarsi se i servizi legati all’e-Public Procurement siano annoverabili nell’alveo delle piattaforme digitali, diversamente dai digital marketplaceinerenti alle operazioni di sviluppo immobiliare, alla domanda privata e alla gestione delle catene di fornitura.
Le product platform e il settore della costruzione e dell’immobiliare
Vi sono, inoltre, come ricordato a proposito delle product platform, le piattaforme digitali di supporto alla produzione fuori opera che, effettivamente, potrebbero permettere, in termini combinatori, di dare vita a soggetti professional-imprenditoriali privi dei mezzi fisici di produzione, appoggiandosi, di volta in volta, sui progettisti e produttori locali attraverso, però, una strategia logistica globale, attesi i vincoli economici derivanti da quelli fisici dei componenti.
In questi casi, in effetti, la detenzione del potere di configurazione dei contenuti e delle scelte sarebbe propria della piattaforma decisionale anziché degli operatori esecutivi.
Si deve, in effetti, osservare come, nel settore della costruzione e dell’immobiliare, l’idea più diffusa riguardi le product platform, anziché le industry platform, in quanto la focalizzazione sulla nuova industrializzazione edilizia resta principalmente incentrata sul bene fisico e la componente digitale è catalogata in modo accessorio attraverso la domotica.
La prevalenza di questa impostazione, con particolare, ma certamente per nulla affatto esclusivo riferimento all’Off Site, implica, perciò, la eventualità che logiche e algoritmi combinatoriali possano coinvolgere, attraverso un gestore di rete, una miriade di piccoli o di medi produttori, oltre che fungere da dispositivo per quei singoli imprenditori intenzionati a utilizzare lo stesso repertorio per destinazioni d'uso differenti.
In questo caso, i componenti edilizi e impiantistici potrebbero essere associati tra loro generando modularmente opzioni progettuali sartoriali.
Nell'altro caso, una piattaforma digitale, dedicata a uno o più segmenti di mercato, potrebbe, a livello globale, grazie a Web Service Provider, mettere in relazione investitori (sulla scorta di mappe geo-spaziali) e produttori domestici (che aderissero a determinate Library) fornendo le localizzazioni migliori e le soluzioni progettuali più adeguate tramite automatismi ovvero avvalendosi di professionalità a livello locale.
Così agendo, significative operazioni di sviluppo immobiliare potrebbero essere condotte coinvolgendo tessuto di piccole e di medie imprese.
È interessante notare che, per certi versi, a differenza dei casi contrassegnati dallo Space as a Service, quando una società del settore tradizionale della costruzione abbia cercato di proporsi come società tecnologica sulla base della Prefabbricazione, gli andamenti e i favori dei mercati finanziari siano stati meno severi.
Piattaforme digitali e politiche industriali
Ciò che sta accadendo, a partire dall’infrastruttura basilare offerta dai Cloud Computing Service Provider, in sinergia con i Common Data Environment e coi Digital Twin, è la possibilità di creare ecosistemi digitali territoriali e urbani atti a costituire piattaforme rispondenti a Business Model innovativi.
La piattaformizzazione del settore, in altri ambiti, ha esteso notevolmente il potere, sociale e sinanche politico, dei gestori delle piattaforme, segnatamente le Giant Technology Company statunitensi e cinesi.
Più nello specifico, ciò accade nei casi in cui la piattaforma assume la posizione detta del Winner Takes All.
Mentre i portali istituzionali, portatrici di visioni interne al settore, ambiscono ad approcci universalistici, non sempre compatibili con le necessità dei mercati singoli, le piattaforme commerciali, in un certo senso esterne al settore specifico, tendono, in modo globale, a cogliere, e forse a creare, le specifiche esigenze degli attori.
A questo proposito, sorgono due piani argomentativi: il primo è relativo al convenzionale settore della costruzione e dell’immobiliare; il secondo concerne il nuovo settore dell’ambiente costruito.
Nel primo caso, anzitutto, è necessario, specie per i portali, tra cui quelli istituzionali, comprendere se essi, specialmente rivolti alle micro, alle piccole e alle medie imprese, intendano, a titolo esemplificativo, consolidare la attuale frammentazione della domanda e dell’offerta oppure favorirne processi aggregativi.
È, comunque, evidente che le attività ospitate da tali portali hanno, prevalentemente, come obiettivo l’incremento di efficienza e di efficacia di Business Model tradizionali, incentrati sui cespiti tangibili, ma potrebbero presentare, quale conseguenza involontaria, il creare le condizioni ideali per agevolare Business Model inediti.
Nel secondo caso, le piattaforme potrebbero avere come oggetto cespiti immateriali, vale a dire le interazioni tra i beni immobiliari ovvero infrastrutturali e i loro fruitori.
Di fatto, i portali (o le piattaforme) legati ai beni materiali resterebbero limitati a transazioni con elevata complessità e scarsa marginalità, mentre quelli relativi ai beni immateriali (veicolati attraverso i cespiti materiali) si troverebbero in ben altra situazione.
D’altronde, vi possono essere notevoli variazioni tra settori differenti: quello della mobilità privata richiede, infatti, notevoli agevolazioni nei confronti degli autisti, generando forti esposizioni di carattere debitorio, mentre quello della ricettività si trova in posizione totalmente diversa.
Per questa ragione, sarebbe opportuno interrogarsi sulla possibilità effettiva che il settore si piattaformizzi, nonché sulle condizione attraverso cui ciò possa avvenire, avendo come oggetto beni non esclusivamente digitalizzabili.
Le politiche industriali tese a supportare la diffusione di portali o di piattaforme dovrebbero determinare, dunque, se sia davvero opportuno creare industry platform o se si tratti semplicemente di rafforzare la digitalizzazione di product platform.
Se, infatti, fosse possibile immaginare che la Bank scompaia, mentre il Banking rimanga, lo stesso varrebbe per il Contractor e per il Contracting?
Qui, infatti si intersecano due livelli, la realtà materiale e quella immateriale, che pertengono, tuttavia a mondi non sempre ricongiungibili.
D’altro canto, se si guarda, ad esempio, all’Automotive si intuisce che l’ecosistema digitale che si sta formando ibridi e connetta sfere eterogenee.
Digitalizzazione: Le sfide fondamentali
Nell’ottica delle precedenti osservazioni bisogna, perciò, domandarsi, quale contenuti includeranno i Common Data Environment e i Digital Twin, ma, soprattutto, quale influenza avrà il Cloud Computing sui Digital Ecosystem.
Se per AECO Sphere intendiamo un settore dell’ambiente costruito così allargato, dobbiamo, in primo luogo, comprendere l’identità dei soggetti che la governeranno.
Tra di essi vi saranno anche Digital Plat-firm o saranno solo attori tradizionali, sia pure non necessariamente derivanti dal settore della costruzione e dell’immobiliare?
Sarà, all’inverso, il settore dell’ambiente costruito l’estensione definitiva dell’ambito operativo delle Technology Company?
Guardando al ruolo decisivo dei fornitori delle infrastrutture di Cloud Computing, che sono, ad esempio, pure edificatori di ecosistemi domestici, dovremmo domandarci se, essendo essi anche Hybrid Company, possano essere i soggetti più adatti ad assumere il controllo assoluto della AECO Sphere.
L’interrogativo, perciò, riguarda la capacità della digitalizzazione di trasformare radicalmente la natura del settore e l’identità dei suoi protagonisti, con le implicazioni politiche e sociali di cui si è detto.
Digitalizzazione
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