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La Produzione del Progetto (e del progetto)

Il rischio è che le retoriche del cambiamento servano essenzialmente a mantenere immutate le caratteristiche del tessuto professionale e imprenditoriale oltre che dei suoi «prodotti».

La Società Italiana della Tecnologia dell'Architettura (SIdTA) organizza nel Giugno 2018 un interessante Convegno Internazionale dedicato alla Produzione del Progetto (e del progetto).

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Si tratta di un tema che, per l'Area della Produzione Edilizia, aveva goduto di popolarità negli Anni Ottanta, in tema di indebolimento degli statuti novecenteschi della progettualità.
L'argomento era, allora, molto avvertito allorché per l'Area Tecnologica si poneva, in ambito accademico, una difficoltà identitaria, a fronte di settori e di discipline radicate, tanto più che la saga dell'industrializzazione edilizia volgeva, piuttosto ingloriosamente, al termine e le potenzialità per creare società di ingegneria italiane competitive al massimo livello mondiale si attenuavano (come sarà evidenziato dal destino di FIAT Engineering, Italstat, SNAM Progetti).

Oggi la questione si ripropone attraverso la espressione della «centralità del progetto» (principalmente di architettura), associata alla rivendicazione di una legge, appunto, sull'architettura (oltre che di una migliore disciplina dei concorsi) e da altri provvedimenti, ma anche a causa della richiesta ministeriale di ripensare declaratorie e confini delle discipline.
Giova, perciò, ancora una volta, riflettere sull'influenza della digitalizzazione sugli statuti della professione e del progetto, riandando brevemente a quella stagione, analogica, ormai pressoché dimenticata.

La progettualità, come si sosteneva a quel tempo, era caratterizzata da una volontà di previsione, di proiezione, molto «forte», notevolmente deterministica, che avrebbe dovuto essere, «indebolita», resa più probabilistica.
Era, peraltro, quello il tempo in cui la cultura architettonica italiana, a dire il vero piuttosto distante dai pensieri dell'Area Tecnologica, stava sviluppando una importante costruzione teoretica a supporto delle tendenze e delle correnti.

Il tessuto professionale nazionale, specie con riferimento all'architettura, è stato, in questi anni molto bene e puntualmente definito dal CRESME per conto del CNAPPC attraverso i rapporti e le investigazioni annuali: esso, naturalmente, si può rapportare a un paesaggio professionale più vasto, delineato da analoghi studi condotti da RPT, CNI, CoGeGL, OICE.
Gli elementi peculiari che ne emergono sono, tra gli altri: la questione dimensionale; la ragione giuridica, i livelli di remunerazione e le loro tempistiche (a partire dall'equo compenso); i livelli di redditività; l'andamento anagrafico e demografico.

E' altresì, indubbio che prima delle rilevanti iniziative proposte dalla CUIA, le relazioni tra Accademia e Rappresentanza fossero piuttosto difficoltose, anche a causa di una ambizione universitaria a poter esercitare alcune attività progettuali internamente, a cui la giurisprudenza ha risposto negativamente in maniera piuttosto costante.
D'altra parte, una delle cifre connotanti del Settore delle Costruzioni è sempre stato offerta da una distinzione tra «professionalità» e «imprenditorialità», di cui la controversia sull'appalto integrato è emersa come elemento emblematico.

La digitalizzazione, che assieme alla circolarità/resilienza/sostenibilità, è una elemento cruciale, è una classica categoria della trasformazione, per cui si utilizzano sovente le nozioni di cesura e di rivoluzione.

Di conseguenza, chi ha studiato la evoluzione delle professioni alla luce della digitalizzazione, tanto in senso generale, come, tra gli altri, i Susskind, quanto in senso specifico, come la Ammon o la Whyte, anche sotto il punto di vista di altre discipline, ha fornito interessanti spunti di meditazione.
Al contempo, all'interno delle discipline settoriali, ciò che rileva maggiormente è la dialettica che intercorre tra il racconto del cambiamento e l'osservazione della stasi.

Come ricordato in differenti occasioni, le ragioni della mutazione (persino genetica) degli operatori del settore, e della progettazione, risiedono in alcuni fattori determinanti: la crucialità dell'oggetto dei contratti e delle poste in gioco; la corresponsabilizzazione degli attori; la natura dei prodotti immobiliari.
Tutto sommato, se si pone mente ad alcuni aspetti caratterizzanti della L. 109 del 1994 e, soprattutto, dei suoi successivi sviluppi, si evince il tentativo di conferire una progettualità, un ruolo proattivo, alle strutture di committenza, tramite i processi, di derivazione anglosassone, del briefing.
Si trattava di un primo sforzo per ampliare la sfera della progettualità, in dialogo coi progettisti, senza, ovviamente, lederne le prerogative specifiche, tanto più custodite gelosamente quanto, specie per gli architetti, avvertite come minacciate.

D'altronde, per tutti gli scorsi decenni, al di là delle affermazioni retoriche e ufficiali, si è sempre percepita una certa insofferenza da parte della imprenditorialità nei confronti di una, presunta, scarsa attenzione del professionalismo nei confronti della ragione della produzione: in un certo senso, di una produzione del progetto che trascurasse le ragioni della produzione vera e propria.
La sensibilità rivolta alla costruibilità delle opere si era poi ampliata alla loro manutenibilità, innescando ulteriori tematiche e coinvolgendo altre tipologie di imprenditorialità.
Nell'ottica della digitalizzazione, tutto ciò implicava un forte coinvolgimento di «esecutori» e di «manutentori», ponendo l'Information Model, il modello informativo, e non più l'architetto o il progettista, al centro.

In altri termini, la struttura dei dati, cominciava a dislocare l'autore per antonomasia, il progettista, a sostituirlo (questo tema ritorna prepotentemente negli sviluppi successivi) con altro, con i Data-Driven Process.

Non è stato, però, un caso che il portato sconvolgente della digitalizzazione sia stato in questi anni avvertito specialmente dall'American Institute of Architects, sulla scorsa della ridotta redditività della attività professionale e della minore attrattività dei percorsi formativi superiori per la figura dell'architetto.
In ogni caso, la risultanza più palese del dibattito nordamericano e britannico si è concretata nella possibilità che l'architetto (ed eventualmente i propri consulenti tecnici) assumesse una veste di natura «imprenditiva».
Attualmente la digitalizzazione, enfatizzando l'importanza delle Operations, propone una sfida alla accezione di «autorialità» ben più impegnativa, poiché si accostano ai contratti Performance-Based (quelli inerenti alle prestazioni intrinseche del cespite) i contratti Outcome-Based, che si riferiscono a una versione assai avanzata delle prestazioni degli occupanti degli stessi beni immobiliari.

In definitiva, i primi approcci alla digitalizzazione della figura dell'architetto sono stati connessi al generativismo, al parametricismo, alla relazione che intercorre tra algoritmi e script-making, da un lato, e geometrie complesse e ottimizzazione prestazionale, dall'altro.
Naturalmente, tutto ciò accettava la inedita rilevanza della prestazionalità che riduceva, per l'architetto, il significato della rappresentazione, a favore della simulazione, ma faceva sì che il focus rimanesse circoscritto agli oggetti tangibili.

Un ulteriore fattore interveniva allorquando il perimetro del modello informativo, ancorché esteso grazie alla interoperabilità e inscritto nell'ambiente di condivisione dei dati, si rivelava come insufficiente rispetto alla necessità di un ecosistema in cui i dati computazionali potessero fluire liberamente tra discipline e contesti, aumentando il grado di co-autorialità e di co-responsabilità degli attori: o meglio, accrescendo la possibilità ideativa dei non progettisti.

La diffusione della computazionalità, di cui un epifenomeno è dato dal visual programming, faceva poi comparire lo spettro dell'automazione nelle attività intellettuali dell'architetto e, più in generale, del professionista, sotto le vesti non già del robot quanto in quelle dell'algoritmo: per questa ragione, oggi, l'Artificial Intelligence è protagonista del dibattito nordamericano e lo è in termini non letterari, bensi «produttivistici».

Le tecnologie immersive multi-sensoriali, connaturate alla capacità di introdurre variazioni alle opzioni progettuali in tempo reale, nel modello informativo (e, in generale, nell'ambiente comune di computazione), consentivano, infine, di associare direttamente la simulazione delle Performance a quelle delle Operation, aprendo inedite prospettive al Facility, come evidenziato dallo Integrated Workplace Management System per le attività direzionali.

Parimenti, il fatto che i modelli informativi proposti dalle grandi Design Firm e dalle grandi Engineering Consultancy si popolino di Crowd Simulation e di Agent-Based Simulation non si limita a esplicitare il cambio di paradigma, ma giunge a far comprendere che, per il Cognitive Building, oltre alle Performance e alle Operation esistono i Sentiment e i Behaviour.

Tutto lo storytelling di Digital Built Britain è, infatti, oggi incentrato sulla Service Provision e sui Social Outcome: il che può costituire una preziosa occasione per la cultura architettonica, che su queste tematiche può vantare importanti tradizioni analogiche, ma la costringe, altresì, a confrontarsi, almeno nel Nostro Paese, con un doppio passo: quello della costruibilità/manutenibilità e quella della operabilità/comportamentalità.

Come si preannunciava, per lo studioso la questione dirimente non è, tuttavia, quella di predire il futuro delle professioni tecniche, quanto di analizzare e di valutare la distanza che il panorama corrente, statico, pur impregnato di retoriche dell'innovazione, incontra rispetto alle dinamiche accennate.
Per quanto, infatti, si discorra di rigenerazione urbana e di altro, i riferimenti che fungono da sostrato appaiono molto tradizionali, così come la volontà di incidere sugli aspetti strutturali del mercato professionale appare piuttosto debole.

Il rischio è che le retoriche del cambiamento servano essenzialmente per cercare di mantenere immutate le caratteristiche del tessuto professionale: e imprenditoriale: oltre che dei suoi «prodotti».

Non si tratta, ovviamente, di una istanza riprovevole, tutt'altro: anzi, essa potrebbe rivelarsi assolutamente realistica, contenendo e modificando i tratti della «svolta digitale»: epperò, come affermato più volte, si tratta di una scommessa.