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Le distanze tra edifici nel DM 1444/1968 ed il rispettivo metodo di calcolo. Lineare o radiale: quale applicare?

Le problematiche riguardanti le distanze in materia di edilizia rappresentano da tempo questioni di massima importanza che spesso interessano direttamente i vari operatori tecnici del settore edile e, di taglio, anche la giurisprudenza ordinaria e amministrativa.

Proprio in questo contesto, il profuso dialogo si è spesso concentrato sul corretto metodo di calcolo delle distanze legali intercorrenti tra pareti finestrate ai sensi dell’art. 9 D.M. 1441/1968.

Nel presente contributo si cercherà di analizzare sinteticamente le principali differenze tra i vari metodi di calcolo (radiale e lineare) per giungere a comprendere quale sia il corretto criterio da utilizzare.


Metodo lineare e radiale a confronto: come si applicano? Quale si utilizza per la misurazione delle distanze tra pareti finestrate? È possibile per gli enti prediligere la scelta di un metodo di calcolo negli strumenti urbanistici?

Per comprendere e conoscere quale criterio applicare (ai sensi dell’art. 9 D.M. 1444/1968) occorre dapprima definire le differenze che intercorrono tra i due metodi di calcolo.

Le distanze tra edifici nel DM 1444/1968 ed il rispettivo metodo di calcolo. Lineare o radiale: quale applicare?

Il metodo lineare

Con il primo metodo, quello lineare, il calcolo si effettua facendo avanzare le due pareti parallele l’un l’altra fino a farle toccare.

A livello tecnico risulta sufficiente tracciare delle linee perpendicolari tra gli edifici interessati e valutare se i segmenti non abbiamo mai una misurazione inferiore ai 10 metri.

Dunque, quello che rileva per il metodo lineare è l’elemento dell’affaccio tra le pareti.

Questo in quanto solo il fronteggiarsi tra le due diverse pareti può portare alla formazione di intercapedini dannose, restando, di converso, esclusa tale circostanza per quelle pareti poste in posizione non parallela, anche se poste a distanza inferiore a 10 metri.

 

Il metodo radiale

Sul versante opposto vi è invece il metodo radiale.

Con questo criterio non si limita più il calcolo alle sole pareti fronteggianti, ma si estende a tutte le parti di edificio che sono poste all’interno dell’area delimitata dalla circonferenza avente un raggio di 10 metri.

 

La differenza tra i due metodi

Emerge, dunque, la differenza tra i due metodi:

  • nel calcolo radiale la distanza viene calcolata in relazione a ciascun punto del fabbricato e non già per le sole parti fronteggianti, con la conseguenza che la violazione della distanza può verificarsi rispetto a ciascun punto al di là della presenza di un effettivo affaccio.

 

Quale metodo utilizzare?

Alla luce di tali considerazioni occorre chiedersi allora quale sia il metodo da utilizzare per il calcolo delle distanze di cui all’art. 9 D.M. 1444/1968.

Nel silenzio del legislatore il ruolo fondamentale è stato svolto dalla giurisprudenza che, non senza difficoltà, è arrivata a prediligere il metodo lineare a discapito di quello radiale. 

Nello specifico, l’apprezzabile ragionamento svolto dalla giurisprudenza parte direttamente dal dato letterale dell’art. 9 del D.M., infatti quest’ultima disposizione, mirando ad evitare la formazione di intercapedini dannose tra edifici, non consente di estendere la distanza anche alle parti che non siano effettivamente interessate da una affaccio.

Sulla base di tale ragione, per la giurisprudenza, la misurazione tra le pareti deve avvenire perpendicolarmente e ortogonalmente in quanto la tutela della salubrità dei luoghi non rileva mai per quelle costruzioni che non sono fronteggianti.

In particolare, le stesse pronunce giudiziarie hanno così affermato: 

  1. Con riferimento alla disposizione contenuta nell'art. 9, comma 1, n. 2, del d.min. 2 aprile 1968 n. 1444, che impone la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, le distanze tra fabbricati non si misurano in modo radiale, come invece avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare tracciando linee perpendicolari tra gli edifici” (Consiglio di Stato sez. II, 10/07/2020, n.4465);
  2. L'art. 9, n. 2, d.m. n. 1444/1968 prevede l'obbligo - per gli edifici di nuova costruzione - di mantenere una distanza minima assoluta di 10 metri tra le proprie pareti finestrate e le pareti degli edifici antistanti. Tale norma, però, vede per la sua applicazione la necessaria sussistenza di una frontalità tra i due edifici e ciò comporta che, in caso di assenza del presupposto, non si assista ad alcuna violazione” (Cassazione civile sez. II, 01/10/2019, n.24471).

È dunque da ritenersi ormai cristallizzata la regola generale secondo cui: la distanza tra fabbricati è misurata linearmente, mentre il metodo radiale viene applicato solo con riguardo alle vedute in quanto, in tal caso, l’apertura deve consentire al potenziale osservatore di poter spingere il suo sguardo senza limitazioni di sorta. 

 

Calcolo delle distanze e interventi urbanistici degli enti territoriali

Risolto il primo interrogativo occorre domandarsi ancora se le modalità di calcolo delle distanze possano essere direttamente modificate dagli enti territoriali in sede di redazione degli strumenti urbanistici e regolamentari. 

In particolare, la domanda investe la possibilità di favorire il calcolo radiale rispetto a quello lineare all’interno dei regolamenti edilizi adottati dagli enti territoriali.

La questione risulta di essere di particolare rilevanza in quanto con la pubblicazione del Regolamento tipo - di cui alla G.U. n. 268 del 16.11.2016 (“Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni concernente l’adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all’articolo 4, comma 1- sexies del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”) la “distanza” (cfr. n. 30 del “Quadro delle definizioni uniformi”) viene definita come la “Lunghezza del segmento minimo che congiunge l’edificio con il confine di riferimento (di proprietà, stradale, tra edifici o costruzioni, tra i fronti, di zona o di ambito urbanistico, ecc.), in modo che ogni punto della sua sagoma rispetti la distanza prescritta”.

Questa definizione sembrerebbe abbracciare il criterio radiale e non quello lineare.

Vengono infatti considerati tutti i punti della sagoma degli edifici e non già solo quelli riferiti alle parti poste tra loro in parallelo.

Proprio per evitare delle palesi contraddizioni tra il contenuto di questo Regolamento tipo e la primizia del criterio lineare affermato dalla stessa giurisprudenza, è stato specificato più volte che comunque in nessun caso gli enti territoriali possono derogare al criterio lineare di calcolo, all’interno dei relativi strumenti urbanistici e regolamentari, prediligendo il metodo radiale.

Dunque, la potestà regolamentare, sebbene possa spingersi a prevedere distanze maggiori rispetto a quelle previste dal D.M. 1444/1968 non può comunque mai derogare o modificare il criterio lineare di calcolo della distanza tra pareti finestrate (cfr. Cassazione civile sez. II, 16/04/2019, n.10580).

In conclusione, si deve ritenere la totale immodificabilità della modalità di calcolo lineare, in forza della espressa natura inderogabile del D.M. 1444/1968 che, avendo valenza preminente e di rango superiore rispetto alla normativa settoriale comunale, non può subire deroghe che possano comprometterne la operatività.