Calcestruzzo Armato
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Nuove sfide per il recupero delle opere in calcestruzzo del dopoguerra

L'articolo racconta delle problematiche sorte e dei rimedi adottati nei confronti di un edificio di Napoli costruito nel dopoguerra e che presentava seri problemi agli elementi strutturali in cemento armato. Grazie ad una campagna di prove in sito molto estesa, è stato innanzitutto possibile valutare la legge di variabilità dei fenomeni di degrado in funzione del fronte di esposizione e dell'altezza, e quindi è stato possibile concepire un intervento di consolidamento.

Il caso studio è un emblematico esempio di imprevisti in corso d'opera

Raccontare l’epopea del calcestruzzo, il suo avvento, il suo periodo di massima affermazione e poi il suo declino, ma anche le tante tecniche di risanamento che continuano a proliferare, diventa particolarmente efficace attraverso un particolarissimo caso studio, che dimostra che “impossible is nothing”.

Il caso studio scelto è da considerare in realtà un emblematico esempio di imprevisto in corso d’opera: nel corso di semplici interventi di manutenzione ordinaria, direttore dei lavori ed impresa, all’atto della rimozione di intonaci e pavimentazione dei balconi, si sono trovati di fronte a situazioni come quelle di cui alle figure 1 e 2, ovvero:

  • crollo della soletta in calcestruzzo armato, con messa a nudo di armature ormai ridotte di sezione o addirittura parzialmente scomparse;
  • esposizione di elementi in c.a. in condizioni di degrado avanzatissimo: armature profondamente ossidate, calcestruzzo polverulento, lesioni profonde.

L’imprevista situazione ha costretto a provvedere alla nomina di un gruppo di tecnici, per provvedere essenzialmente a:

  • eseguire una campagna di prove;
  • verificare la sussistenza delle condizioni di sicurezza;
  • ipotizzare una strategia di intervento congrua rispetto alla situazione effettiva ma anche del costo di intervento, considerando che l’edificio ha una superficie di piano di circa mq. 750 e si sviluppa su 11 livelli, con una cubatura complessiva che supera gli 8.000 mc., ma anche che all’epoca della descritta situazione era interamente messo a reddito o utilizzato dai proprietari.

Si ritiene, in particolare, che l’esperienza qui raccontata costituisca un precedente molto importante sia per la tipologia e quantità di prove condotte per avere un soddisfacente livello di conoscenza della struttura, e sia per la tipologia di interventi eseguiti, che hanno riguardato ogni singolo elemento strutturale.

Figura 1: crollo parziale di una soletta a sbalzo all’atto della rimozione del pavimento (a sx) Figura 2: gravi condizioni di degrado con profonda lesione da taglio in una trave di bordo (a dx)

Le indagini

È stata preliminarmente condotta una ampia ed estesa campagna di indagini (non solo sugli elementi strutturali), così riepilogabili: n° 59 prelievi di carote Ø80 e Ø100 e successive prove di carbonatazione e rottura a compressione; n° 5 determinazione dei cloruri nel calcestruzzo; n° 201 prove sclerometriche; n° 201 prove ultrasoniche; n° 185 elaborazioni SonReb; n° 1 determinazione del carbonio equivalente su n°1 barra di armatura; n° 1 prelievo di blocco di lapilcemento, costituente un tramezzo, e successiva determinazione del peso specifico e prova di rottura a compressione; n°22 prelievi di barre d’armatura dalle travi e dai solai della struttura e successive prove di trazione.

Tali indagini, in uno con la disponibilità di quasi tutti gli elaborati di progetto originari (alcuni dei quali visibili nelle figure 3 e 4) e la generale congruenza degli stessi con quanto realizzato, come risultante da indagini a campione, hanno consentito di definire un livello di conoscenza LC2 così come definito al § C.8A.1.B delle NTC2008 (all’epoca vigenti), a cui corrisponde un fattore di confidenza FC = 1,20.

Figura 3: carpenteria delle travi di fondazione del progetto degli anni ‘40 (a sx)
Figura 4: carpenteria delle travi del piano tipo del progetto degli anni ‘40 (a dx)

Le resistenze cilindriche fcm dei calcestruzzi riscontrate dai prelievi in opera oscillavano fra valori medi intorno a 10 Mpa (segnatamente ai piani alti) e valori medi intorno a 22 Mpa.
Per quanto riguarda i rilievi della profondità di carbonatazione, è interessante riepilogare la distribuzione sia del punto di vista planimetrico (figura 5), che altimetrico (figura 6), con chiare conseguenze dell’esposizione all’ambiente cittadino, ma qualche sorprendente risultato anche dal fronte opposto.

Figura 5: andamento planimetrico della carbonatazione rilevata: in basso il fronte esposto verso la strada a grande scorrimento e verso il mare, in giallo valori di carbonatazione parziale, in rosso totale
Figura 6: istogramma rappresentativo dell’andamento altimetrico della carbonatazione rilevata

Su n° 3 carote è stato poi determinato il contenuto di cloruri secondo la norma UNI EN 14629. I campioni esaminati sono stati scelti in maniera tale da evidenziare una eventuale differenza di contenuto di cloruri tra i campioni che affacciano direttamente sulla strada e quelli prelevati verso l’interno del fabbricato e quindi più protetti.

I cloruri erano presenti in una percentuale molto bassa, chiaramente in misura maggiore in direzione del mare, sul fronte esterno. Con calcestruzzi non carbonatati ottenuti con normali cementi portland (pH >13), il rischio di corrosione è basso per un contenuto di cloruri inferiore a 0,4% (in massa rispetto al contenuto di cemento) ed elevato per tenori superiori a 1%. Quindi sull’opera oggetto d’indagine non era così rilevante l’apporto di cloruri ai fini della corrosione. I risultati ottenuti sono riportati nella tabella 1 sottostante a sinistra, mentre in quella di destra sono riportati i risultati di prelievi dalla facciata interna, sempre con valori poco significativi e dunque trascurabili rispetto alla carbonatazione.

Per quanto attiene invece alle barre di armatura in acciaio, in considerazione dei risultati ottenuti dalle prove eseguite con prelievo in opera (dopo una vasta campagna di rilievi pachometrici), si è ritenuto in sede di verifica, di adottare quale valore rappresentativo delle caratteristiche meccaniche delle stesse, quello medio rilevato, ovvero fy = 407,88 N/mmq; ft = 508,24 N/mmq

Criteri di progetto

Il progetto degli interventi per il consolidamento strutturale ai fini di un miglioramento sismico è stato redatto dal Prof. Luigi Petti in accordo ai criteri previsti dalle norme tecniche di cui alle NTC2008, in vigore all’epoca.
Nel caso delle costruzioni esistenti, le norme tecniche vigenti consentono di poter conseguire un livello di sicurezza minore nei confronti delle azioni sismiche in considerazione delle esigenze dei proprietari e delle funzioni che si svolgono nella costruzione. Nel caso in oggetto, i proprietari hanno ritenuto procedere al consolidamento strutturale dell’edificio per ripristinare innanzitutto la sicurezza dello stesso nei confronti dei carichi statici verticali.
Per quanto attiene alle azioni sismiche, sulla base di considerazioni essenzialmente tecnico-economiche, e considerato che le norme tecniche vigenti consentono interventi atti ad aumentare la sicurezza strutturale pur senza necessariamente raggiungere i livelli richiesti dalle norme stesse per le nuove costruzioni, hanno ritenuto procedere al miglioramento sismico dell’edificio.

In particolare, sono stati previsti interventi per innalzare la sicurezza nei confronti dei carichi statici verticali e, al contempo, eliminare le principali fonti di fragilità intrinseche e tipiche delle costruzioni dell’epoca, trasformando essenzialmente i principali meccanismi di collasso locali da fragili a duttili.
É opportuno osservare che l’edificio risale a metà degli anni ‘40 e che la prima classificazione sismica della città di Napoli (terza categoria) è successiva al terremoto del 1980, pertanto, il progetto originario fu condotto essenzialmente nei confronti dei carichi verticali, e non per assorbire azioni sismiche.

In particolare, l’elevata vulnerabilità sismica che ne scaturiva era legata alle seguenti principali carenze strutturali:

  • gli elementi di controvento, telai in c.a., risultavano distribuiti in modo non uniforme nelle due direzioni principali dell’edificio con una maggiore carenza nella direzione trasversale dello stesso (v. figura 7);
  • i nodi trave-pilastro non risultavano confinati e non erano, pertanto, in grado di assorbire l’azione di taglio che si determina in condizioni di carico sismico;
  • i solai orditi principalmente nella direzione trasversale, considerato che la soletta superiore non è armata ed i travetti sono debolmente armati (v. figura 8), non erano in grado di trasferire le azioni inerziali orizzontali, che nascono in condizioni di carico sismico, ai telai di controvento;
  • la sovrapposizione delle barre longitudinali nei pilastri e nelle travi era insufficiente a trasmettere le sollecitazioni cicliche indotte da un evento sismico;
  • la tipologia di staffe presenti non consentiva un idoneo confinamento delle sezioni dei pilastri e delle travi.

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Questo articolo è tratto dalle MEMORIE di CONCRETE 2022, sesta edizione della manifestazione

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