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openBIM: un punto di vista finalmente condiviso a livello governativo

Dopo la lettera del Ministro Danilo Toninelli alcune considerazioni utili su cosa sia openBIM

danilo-toninelli-2.jpgNOTA DELL'EDITORE, ANDREA DARI

Nella sua lettera a Federcostruzioni il Ministro Danilo Toninelli è intervenuto sul tema del BIM,  sostenendone il ruolo centrale nello sviluppo delle Costruzioni "il Building information modelling, può far fare un salto di qualità agli appalti pubblici. Si possono ridurre drasticamente i tempi di progettazione e i costi di costruzione, ottimizzando la gestione delle infrastrutture realizzate. Ecco perché lavorerò duramente alla diffusione della digitalizzazione nel settore delle costruzioni”. Ma il Ministro è intervenuto anche su un aspetto molto importante in relazione al BIM: gli standard da adottare. Ecco quanto ha scritto: "La possibilità di lavorare su un principio di apertura come “Open Bim” rappresenta un vantaggio irrinunciabile, ora si tratta di spingere sull’acceleratore per rendere il prima possibile operativa una piattaforma digitale di gestione del Bim e degli oggetti Bim. Il mio ministero sosterrà il ruolo dell’Italia nella realizzazione della piattaforma europea, ma è altrettanto fondamentale aiutare le amministrazioni pubbliche, le stazioni appaltanti a progettare in Bim, una sfida tanto difficile quanto irrinunciabile". (LINK all'articolo)


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Ripercorrendo i passaggi che ci hanno portato dalle prime appassionate discussioni sul BIM, prevalentemente circoscritte nel quinquennio 2000-2005 alle sedi istituzionali universitarie, fino alle agli approfondimenti normativi e legislativi degli ultimi tre anni, appare evidente, laddove ce ne fosse ancora bisogno di conferma, che il centro del rinnovamento tecnologico auspicato, invocato e indispensabile per questo primario settore produttivo non fosse per nulla limitato all’evoluzione delle tecniche di produzione ed espressione informatica dei dati progettuali, l’elaborato e la modellazione 3D, ma che si sarebbe piuttosto realizzato sul piano dei processi e delle transazioni di dati e informazioni.

Per trasferire informazione strutturata e per farlo in maniera intelligente ed evolutivo di termini di qualità, efficienza e trasparenza, prerogative che il settore delle costruzioni e delle infrastrutture si meriterebbe di poter raggiungere, le nuove tecniche di gestione delle informazioni ci insegnano che sono indispensabili “linguaggi” comuni, normati, condivisi, aggiornati e soprattutto liberi, orientati in prima istanza a mantenere in gioco, senza vincoli, le notevoli professionalità messe in campo nella filiera dai progettisti e dagli esperti di costruzioni, dagli ingegneri agli architetti, dai project manager ai costruttori, dai facility manager financo, perché non cominciare a considerarlo, agli “utenti” finali delle opere in uso.

Ecco allora come con questa premessa ci si possa fare una idea chiara del motivo di una battaglia combattuta da un lato da parte di alcune major software house internazionali e centri di proposta e consulenza evolutiva tecnologica e dall’altro da altre associazioni, centri di sviluppo e di studio diversamente orientati. 

Per un periodo significativo gli scenari in campo sono stati almeno due:

  • la strada del “closedBIM”, sottolineata e proposta più o meno esplicitamente da coloro che avrebbero voluto un BIM riposizionato sulla scelta precostituita degli strumenti informatici in fase iniziale per ciascun progetto, imponendo di conseguenza a tutta la catena a seguire medesimi strumenti e i medesimi pacchetti. Queste soluzioni sarebbero poi state scelte e installate dagli utenti non tanto per essersi guadagnati la fiducia dei progettisti per effetto delle loro funzionalità operative ma piuttosto perché identificati ed imposti dall’alto in nome di una interoperabilità digitale che solo il “pacchetto unico” e il “formato proprietario” avrebbero potuto garantire;
  • la direzione del “openBIM” che al contrario, ma con estrema lungimiranza e sebbene a condizione di dover far registrare significative e necessari miglioramenti, ci ha proposto l’utilizzo di un linguaggio comune e indipendente quale quello proposto da ISO/CEN/UNI: 16739 “Industry Foundation Classes (IFC) per la condivisione dei dati nell'industria delle costruzioni”. BuildingSMART e ISO, promotori di IFC, si prefiggono di mantenere la libera concorrenza tecnica tra le applicazioni in uso e allo stesso tempo la libertà dei progettisti nello scegliere gli strumenti attraverso il cui utilizzo ottenere risultati che, non dimentichiamolo, rimangono sempre e comunque sotto la loro responsabilità, per non parlare poi di una serie di vantaggi pratici invocati di recente anche dalla nostra nuova “cabina di regia”.

A giudicare dalle recentissime prese di posizione in favore delle sintassi e delle prassi di tipo “openBIM”, raccomandate esplicitamente ad esempio nei seguenti documenti:

  • Handbook for the introduction of Building Information Modelling by the European Public Sector
  • Business Plan di definizione dello “scope of work” del gruppo di lavoro Europeo: CEN TC-442
  • DM 560:2017 all’articolo 4 comma 1,

appare evidente quale tra i due scenari sopra individuati sia quello destinato ad imporsi e ad evolversi nei prossimi anni, non solo per logica convenienza funzionale ma anche per i vantaggi derivati che pesano in favore di quella scelta e che proviamo a sintetizzare nel seguito.

Perchè l'openBIM

L’open BIM preserva gli interessi del progettista/professionista al quale si richiede di condividere il progetto risultato del proprio lavoro (geometrie, informazioni, relazioni), ma che al tempo stesso deve mantenere per sé le proprie automazioni e le proprie peculiari capacità tecnologiche avendo a sua volta un know-how da proteggere ed una concorrenza da distanziare (automazioni, librerie, implementazioni, famiglie, tecniche di classificazione, ecc).

Al professionista l’openBIM lascia la piena libertà, e la responsabilità, di scegliere le applicazioni software che più gli danno fiducia, senza vedersi imporre invece le soluzioni sulla base di prescrizioni di capitolali redatti, tra l’altro, in anticipo rispetto al suo coinvolgimento.

Al professionista l’openBIM consente di poter risparmiare in investimenti informatici, per il mantenimento delle applicazioni e per la formazione delle maestranze e la conoscenza d’uso degli applicativi. Non gli verrà richiesto di acquistare ed installare più applicativi ridondanti per partecipare a progetti che glielo potrebbero imporre, acquisti semmai interessanti per coloro che tali applicazioni commercializzano.

Sono queste alcune delle ragioni che inducono a pensare che anche i Consigli Nazionali delle professioni regolamentate nonché l’OICE dovrebbero considerare di doversi schierarsi apertamente in favore dell’interesse dei propri iscritti e quindi dell’openBIM come elemento di indirizzo normativo e procedurale nazionale esplicito. Attraverso lo scambio dati in formato IFC viene garantito che quanto condiviso sia solo ed unicamente l’oggetto della relazione contrattualmente prevista, richiedendo invece sintassi e formati chiusi le parti in causa trasferiscono tra loro più del necessario con possibilità di riutilizzo lesivo degli interessi dei progettisti stessi.

La ridondanza di skill professionali che deriverebbe da un mercato che dovesse imporre le soluzioni a monte, è inutile e onerosa e graverebbe negativamente sui costi della progettazione per acquisto, mantenimento e aggiornamento di eccessi di tecnologie ed eccessi di formazione del personale. Costi inutili che le stazioni appaltanti possono contribuire a ridurre richiedendo un linguaggio unico, neutro e in chiaro per i propri processi BIM. Ogni progettista potrà scegliere liberamente i propri strumenti informatici e riporre fiducia nelle soluzioni che ha testato, vagliato e controllato senza dover utilizzare strumenti che non sono ritenuti in linea con la propria professionalità o che sono ritenuti carenti e poco produttivi.

L’openBIM preserva l’interessa della committenza pubblica impegnata a far fruttare al meglio “l’informazione” e “il prodotto” oggetto degli incarichi rilasciati. Per consentire alla P.A. di operare nel rispetto dei canoni di trasparenza partecipativa, l’openBIM appare l’unica risposta possibile. E’ con perplessità invece che si assiste ancora oggi a bandi pubblici nei quali, più o meno esplicitamente, si nascondono richieste preferenziali per l’utilizzo dei formati nativi giustificate da vantaggi tecnici apparenti e che producono invece una preselezione implicita non limpida tra i possibili offerenti. La P.A. trae vantaggio dall’openBIm anche in relazione alla riduzione del rischio sull’obsolescenza dei formati dati nel tempo e dall’eliminazione dei legami che inevitabilmente si costituirebbero in caso di storicizzazione dei dati secondo formati proprietari di mercato.

E’ da chi regola le prassi e le procedure della futura digitalizzazione pubblica come ANAC, di recente alla ribalta per la pubblicazione delle sue linee guida “Uso di metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per l'edilizia e le infrastrutture”, che ci si aspetta una chiara ed inequivocabile presa di posizione in questo senso, forse ancor più netta rispetto a quella che ha potuto coagulare UNI nelle sue recenti normative consensuali UNI-11337, per altro ben orientate in quella direzione. Non riuscisse ANAC a ribadire il concetto lasciando ambiguità interpretativa, favorirebbe il rischio che la P.A. debba scendere a consolidare patti impliciti con alcuni tra i produttori di tecnologie del mercato ben consapevoli che la “proprietà” dei loro formati costituisca una sorta di “bancomat” autoricaricabile a loro vantaggio nel tempo senza necessità di contropartita tecnica adeguata. Le stazioni appaltanti, in particolare quelle pubbliche, per esplicite richieste di legge, devono proporsi in maniera tale da rendere accessibili le proprie gare ad un numero quanto più ampio possibile di offerenti.

Indicare nei bandi di gara in maniera esplicita la necessità di gestire i dati in formati proprietari oppure mettere in gara modelli in formato proprietario specifico limita a priori la partecipazione alle gare pubbliche a coloro che sono dotati di quella particolare tecnologia a discapito di altri che non l’hanno scelta o che la giudicano non adeguata.

openBIM per ridurre liti e contenziosi tecnici

E’ ancora l’openBIM che può contribuire non poco alla riduzione della liti e dei contenziosi tecnici, la cui limitazione è invocata da più voci come indispensabile per la ripresa della produttività del comparto progettuale e costruttivo nel nostro paese. IFC è un formato tecnico libero, aperto, interpretabile in via univoca da qualsiasi “controllore”, pubblico o privato che sia, di parte o previsto dalle norme. Le strutture di controllo progettuale trovano nel formato aperto un chiaro alleato per l’interpretazione del dato tecnico salvaguardando sia la trasparenza operativa che le necessarie assunzioni di responsabilità.

Altri formati, non interpretabili in via diretta a meno di utilizzo specifico delle applicazioni che li controllano, non lo consento fino a prestarsi talvolta a interpretazioni non univoche sotto il profilo tecnico. Ci si aspetta di conseguenza che anche gli enti di controllo delle progettazioni si possano schierare in favore delle soluzioni openBIM. Il formato neutro IFC è al contrario facilmente controllabile con strumenti studiati allo scopo e di conseguenza le transazioni informative basate su questi standard risultano meno soggette a diatriba tra committenza e appaltatore. I formati chiusi sono interpretabili solo dalle applicazioni che li hanno generati e possono essere motivo di interpretazione qualitativa soggettiva. 

Con riferimento all’articolo 4, comma 1 del DM560/17, l’auspico è che la comunità tecnica del settore consideri la prescrizione, già in sede di Capitolato Informativo, delle norme EN/UNI/ISO 16739 (IFC) almeno laddove il livello ad oggi raggiungibile da tale tecnologia lo consenta, come la prassi di riferimento da applicare sia nel contesto delle progettazioni private che in quello delle opere pubbliche, per salvaguardare trasparenza, qualità, efficienza della progettazione e del costruito.

Un secondo auspicio, non meno importante, è che l’utilizzo della sintassi normativa ISO 16739 non rimanga confinato al trasferimento e all’archiviazione di modelli geometrici architettonici, strutturali o impiantistici ma che si vengano proposti e impiegati nuovi schemi dati (MDV) che permettano, sempre in accordo alle regole sintattiche IFC, lo scambio di dati per prodotti per l’edilizia, proprio come previsto dal progetto “Product Data Template” in fase di sviluppo nei gruppi di lavoro WG2 e WG4 del CEN TC-442.

IFC, molto di più che rappresentazione grafica

E’ purtroppo ancora prevalente l’opinione che IFC sia standard indirizzato alla sola rappresentazione grafica dei dati, tutt’al più integrata da informazioni alfanumeriche associate gli oggetti.

Niente di più limitante: l’openBIM potrà contribuire piuttosto anche alla trasparenza dei processi associati alle ipotesi di costituzione di possibili piattaforme informatiche nazionali, collettori di dati e informazioni sul territorio, con interazione tra la progettazione privata e le pianificazioni territoriali pubbliche delle stazioni appaltanti.

Le future attese evoluzioni della base sintattica del prodotto di buildingSMART, già normativa Internazionale targata ISO, dimostrerà che IFC si potrà aprire al trasferimento di dati strutturati anche indipendenti dalle geometrie dei modelli così come potrà integrare nuove discipline con l’inserimento delle primitive per la gestione degli oggetti infrastrutturali quali tracciati stradali, ferroviari, ponti ed altro ancora.

 

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