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Opere pubbliche, ripresa economica e … burocrazia

Rendere più efficiente la Pubblica Amministrazione è un obiettivo più volte dichiarato e mai effettivamente ottenuto anche per la inadeguatezza dei provvedimenti adottati.

La ripresa sarà legata alle opere pubbliche: così tutti affermano promettendo interventi “d’urgenza” per la sburocratizzazione della Pubblica Amministrazione.

Ma quali interventi se la più recente legislazione in materia è stata causa non ultima del rallentamento del settore e delle complicazioni procedimentali?

Rendere più efficiente la Pubblica Amministrazione è un obiettivo più volte dichiarato e mai effettivamente ottenuto anche per la inadeguatezza dei provvedimenti adottati. Interventi d’urgenza non fanno ben sperare nell’attuazione di norme veramente efficaci che dovrebbero ripartire da un’analisi critica dei fallimenti fin qui verificatisi e da una radicale revisione dei meccanismi normativi.

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Opere pubbliche: un motore per l'economia ... con il freno a mano tirato

Che le opere pubbliche siano “motore dell’economia” lo dicono sempre tutti e in un momento come questo l’assunto riprende ancor più vigore elevando l’intervento del Pubblico a innesco della “ripresa” che sarà tanto più rapida ed efficace quanto più celere sarà l’avvio del “motore” (così dicono).

Poi ci si accorge che il “motore” ha il freno a mano tirato per colpa della “burocrazia” e allora tutti si affannano ad annunciare che saranno fatti provvedimenti d’urgenza per eliminare (appunto) la bieca “burocrazia” che si oppone alla bruciante ripresa economica che vorremmo avere.

Affermazione che sarebbe quanto mai condivisibile se non fosse che i provvedimenti d’urgenza che in questi casi il Legislatore concepisce non siano in realtà mirati ad “eliminare” la burocrazia, quanto piuttosto ad “eluderla” (che è un’altra cosa).

Sì perché più che ad interventi strutturali la metodica dell’urgenza opera quasi sempre con la tecnica della “deroga” per cui le regole a regime restano le stesse e si consente invece la loro disapplicazione magari per un periodo temporaneo o per interventi specifici o settoriali.

Il che non cambia la sostanza e – ammesso e non concesso che ne conseguano effetti positivi anch’essi temporanei – non producono benefici di lungo periodo e, soprattutto, sono diseducativi e controproducenti.

Controproducenti per l’immagine della pubblica amministrazione perché danno l’impressione (o confermano la certezza) che le regole a regime siano di fatto inadeguate a dare efficienza al sistema e diseducative perché in qualche modo inducono negli operatori la convinzione che se si vuole operatività l’unico modo è bypassarle (e, si sa, le brutte abitudini si radicano facilmente) e, ancor più danno l’alibi al Legislatore di evitare di pensare criticamente al sistema ricercando regole che siano efficienti a regime.

Perché è quello di cui avremmo bisogno. Per garantire la continuità dell’azione.

Il settore dei lavori pubblici oggi è in ginocchio, ma anche prima non stava tanto bene, costretto in vincoli operativi incomprensibili ai più; e quando una norma non è compresa, quando non ne è condivisa la sua utilità e finalità, quando non fa parte del bagaglio culturale degli operatori, quando è sentita come un inutile fardello, la sua applicazione è subìta e non porta esiti favorevoli.

Che l’attuale norma del lavori pubblici sia sentita come un inutile e incomprensibile fardello lo dicono in molti (direi quasi tutti gli operatori) anche se non tutti lo dichiarano apertamente perché lo ritengono politicamente scorretto; quel che sorprende è che oggi lo dicano anche i “politici” che quelle norme hanno approvato. 

Ma ben venga. 

 

La tanto detestata “burocrazia” non è un virus indesiderato

Perché, non dimentichiamolo, la tanto detestata “burocrazia” non è un virus indesiderato che si è introdotto nel nostro sistema normativo, è l’esito dell’applicazione delle norme che sono state volute. Certo, qualche volta è anche frutto di un’applicazione distorta e appesantita dall’incompetenza di chi è tenuto ad applicarle, ma è pur sempre l’esito dell’applicazione di quelle norme.

E allora il rimedio non è disapplicare la norma: è modificarla in radice correggendone le storture.

E la modifica va fatta incidendo sulla sua struttura e non aggiungendo altre norme su quelle esistenti.

Sto seguendo con evidente preoccupazione l’entusiasmo che si sta creando (anche nei lavori pubblici) intorno alla figura dei “commissari straordinari” per risolvere le criticità del “sistema”. Commissari dotati di “poteri straordinari” per bypassare le regole che vincolano l’operatività.

Ancora una volta il riconoscimento dell’inefficienza dell’attuale sistema non passa dalla consapevolezza di dover rivedere le norme “normali”, ma dall’attribuzione di poteri eccezionali per poterle disattendere. 

Per di più aggiungendo nuove figure (con aspettative taumaturgiche) a tutte quelle (non poche che già esistono (RUP, D.L., Coordinatori vari, Validatori, Progettisti, …) senza preoccuparsi di ridefinirne i ruoli, ma aggiungendo potenziali elementi di conflittualità di cui (onestamente) non avremmo bisogno. (In questo nuovo panorama, ad esempio, definire il Responsabile del Procedimento con l’aggettivo “Unico” come vuole la norma, suona come una presa in giro).

Ancora una volta si cercherà di percorrere la via della “semplificazione” per “addizione” ? come in quella famosa barzelletta dei vogatori?

Certo non si potrà pretendere che nella ormai attesa e imminente “Fase 2 - post Coronavirus” siano affrontati temi strutturali, perché il Legislatore - preso dall’ansia da prestazione dell’emergenza - porrà le solite toppe parziali, ma se il freno della “burocrazia” non sarà allentato in modo strutturale non si potrà contare su di una continuità della ripresa.

 

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Pensare fin d'ora alla Fase 3

E allora – lasciando al Legislatore dell’emergenza i provvedimenti contingenti – forse è il caso di pensare fin d’ora alla Fase 3 per consentire alla “macchina pubblica” (una volta sbloccata) di camminare con regolarità senza “leggi speciali”.

Occorrerà riflettere (e ammettere) che la recente riforma del Codice dei Contratti Pubblici è stato un sostanziale fallimento, perché ha tentato di introdurre nel nostro ordinamento un sistema che non ci appartiene culturalmente. E va riformato integralmente.

Ammettere gli errori è sintomo di maturità e competenza.

L’attuale Codice dei Contratti Pubblici è nato col dichiarato obiettivo di formulare una norma flessibile, facilmente adattabile alle modificazioni della società per essere più dinamica ed efficiente. Questo ci avevano detto.

La realtà invece è che abbiamo moltiplicato le fonti normative (sul cui inquadramento giuridico nel nostro ordinamento non abbiamo ancora risolto i dubbi da più parti sollevati) e centralizzato ulteriormente i poteri decisionali, creando sconcerto e dubbi applicativi negli operatori periferici e togliendo loro quella discrezionalità tecnica applicativa necessaria ad adeguare la norma astratta al caso concreto.

Con la conseguenza di ridurre gli operatori sul campo a meri esecutori di disposizioni di dettaglio, senza le quali si sentono sperduti, esposti e incapaci di operare; di fatto de-responsabilizzandoli e de-professionalizzandoli, che è l’esatto contrario di quello che dovremmo perseguire.

L’attuale Codice prevede per la sua applicazione l’emanazione di una sessantina di linee guida (sul loro numero esatto neanche tutti i commentatori concordano) da emanarsi entro due o te mesi; a distanza di quattro anni ne sono state emanate (con più versioni, rimaneggiamenti e ripensamenti) circa 20. Ovvio lo sconcerto e il vuoto normativo.

Ma è più semplice imputare gli insuccessi con un generico riferimento alla burocrazia (intesa come una classe di operatori della pubblica amministrazione incapaci o indolenti).

Qui il problema non sta nel come viene applicata la norma, ma nel come la norma è stata concepita. Anche se l’aspetto negativo della “burocrazia” non sta solo nel Codice dei Contratti, ma nella complessiva farraginosità dei procedimenti amministrativi cui pure bisognerà mettere mano.

E’ troppo facile però risolvere le criticità saltandole a piè pari con pieni poteri di deroga ad un soggetto nuovo … per opere eccezionali …

E’ la normalità che deve funzionare (e non solo i grandi interventi) se vogliamo che il settore (l’intero settore fatto per lo più di opere diffuse) funzioni e sia di stimolo all’economia e non possiamo riempire il Paese di Commissari per far funzionare la Pubblica Amministrazione.

Abbiamo bisogno di una Pubblica Amministrazione (non a caso l’ho scritta con le maiuscole) autorevole e competente (e, dunque, in grado di operare “a regime” scelte coerenti sul campo in applicazione di norme chiare e tese al raggiungimento dell’obiettivo. E l’obiettivo (lo diceva già la legge Merloni nel 1994) è la realizzazione dell’opera e non il formalismo soffocante.

La legge cosiddetta “Sblocca Cantieri” dell’estate scorsa ha previsto il ritorno di un Regolamento da emanarsi entro 180 giorni. Ed in effetti pare che la bozza definitiva sia pronta e stia subendo ritardi a causa dell’emergenza sanitaria che ci ha travolto.

Ritardo scusabile viste la condizioni attuali, anche perché non eravamo più abituati al mantenimento delle promesse del Legislatore. Sono ormai lontani i tempi della legge “ponte” che, emanata nel 1967, produceva nel 1968, a distanza di soli sei mesi (come previsto), il decreto applicativo n. 1444 (peraltro ancora in vigore). 


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Zambrano: “Il Codice degli appalti è farraginoso, serve un modello Genova per la ripartenza del Paese”

Secondo Armando Zambrano, presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, per la ripresa occorre superare tutte le «incrostazioni e complicazioni burocratiche che negli anni hanno impedito al Paese di decollare». 


Non basta il Regolamento, va rivisto l'impianto giuridico

L’arrivo del Nuovo Regolamento (in sostituzione del fin qui sopravvissuto DPR 207/2010) è un buon segno ma non sarà sufficiente; occorre una riforma di sostanza e non mi riferisco ai temi - pur importanti - che appassionano il dibattito recente a proposito, per esempio, del subappalto, delle soglie, dell’appalto integrato, ….

Argomenti di indubbia rilevanza, ma pur sempre di contenuto specifico che ineriscono le modalità di esecuzione degli appalti, ma che non risolvono il vero problema dell’efficienza della burocrazia che è un problema di regole del gioco e di certezze giuridiche (di principi più che di dettagli).

Occorre rivedere in radice l’impianto giuridico con cui operare per favorire la crescita professionale e le facoltà decisionali degli operatori se vogliamo risolvere il problema della burocrazia – ovvero dell’efficienza del sistema - che è un problema di tempestività, competenza e capacità decisionali; se vogliamo davvero che la Pubblica Amministrazione possa svolgere la funzione di quel “motore” dell’economia che invochiamo nei momenti di crisi.

Diversamente quelle invocazioni resteranno solo vuote (e un po’ stucchevoli) dichiarazioni d’intenti.

 


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L'AREA è un luogo di riflessioni, commenti, studi e proposte sullo stato dell’arte dell’Edilizia e dell’Urbanistica in cui ci proponiamo di dare sistematicità alle informazioni inerenti l’evoluzione normativa e giurisprudenziale che pubblichiamo giornalmente.

Nell'area di principi e modalità applicative delle norme dell’Urbanistica e dell’Edilizia facendo il punto critico sulle tematiche che maggiormente si pongono all’attenzione della legislazione e della giurisprudenza in un momento in cui l’evoluzione della materia appare confusa e, a volte, contraddittoria; per questo trattiamo gli argomenti, per così dire, più attuali, interpretandoli ed inquadrandoli alla luce dei principi fondanti della materia anch’essi oggetto di evoluzione concettuale e dottrinaria.

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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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