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Pareti frontistanti non lineari e misurazione della distanza: le regole del DM 1444/1968

Facciamo il punto sugli orientamenti, che paiono ormai consolidati, circa la corretta modalità di calcolo delle distanze tra pareti finestrate

Il tema della misurazione delle distanze tra pareti finestrate continua ad essere al centro delle dispute edilizie tanto che il Giudice se ne deve occupare periodicamente.

In questo articolo l’Autrice, prendendo spunto da una recentissima sentenza del Consiglio di Stato su di un caso emblematico - ma proprio per questo particolarmente significativo e generalizzabile - fa il punto sugli orientamenti, che paiono ormai consolidati, circa la corretta modalità di calcolo.

Ad ausilio degli operatori pubblici e privati per evitare futuri contenziosi.

Presentazione di Ermete Dalprato


Una recente sentenza del Consiglio di Stato (sez VI del 04 ottobre 2021 n. 6613) entra nuovamente nel merito delle modalità di misurazione delle distanze minime tra fabbricati previste dall’art. 9 D.M. 1444/68.

 

Il caso

La fattispecie oggetto di lite concerneva una scala realizzata in cemento armato aperta e scoperta con ringhiere laterali in ferro, larga metri 1,40, alta metri 4,30, edificata a meno di 10 metri dalla parete finestrata frontistante. Il C.d.S. ha confermato la legittimità del diniego opposto all’accertamento di conformità edilizia (art. 36 D.P.R. 380/01) motivandolo con il  mancato rispetto dell’art. 9 D..M 1444/68.

In particolare si ribadisce che le distanze vanno misurate dalle sporgenze estreme dei fabbricati, dalle quali vanno escluse soltanto le parti ornamentali, di rifinitura ed accessorie di limitata entità nonché i cosiddetti sporti (cornicioni, lesene, mensole, grondaie e simili) siccome irrilevanti ai fini della determinazione dei distacchi.

Sono invece rilevanti, poiché rientrano nella nozione di “costruzione”, le parti aggettanti (quali scale, terrazze e corpi avanzati) anche se non corrispondenti a volumi abitativi coperti, ma che estendono ed ampliano (in superficie e in volume) la consistenza del fabbricato.

 

Come si misurano le distanze tra fabbricati?

Costituisce ormai ius receptum nella giurisprudenza amministrativa e civile in tema di distanze minime tra fabbricati il principio che impone per la loro misurazione il criterio lineare, escludendo invece che si possa operare con il criterio radiale come per le vedute (cfr.  Cds sez VI 5 dicembre 2019 n 8319;  Cass. civ., II, 11-5-2016, n. 9649; Cons. Stato, IV, 5-10-2005, n. 5348).

La misurazione lineare comporta la verifica della assenza di edifici antistanti a distanza inferiore rispetto a quella consentita, tracciando ideali linee perpendicolari dal fronte di un fabbricato rispetto alla parete dell’altro fabbricato interessato.

All’applicazione del suddetto criterio lineare consegue l’irrilevanza di una distanza inferiore ai 10 metri che sia calcolata tracciando una linea obliqua tra i due fabbricati interessati, ossia unendo  due punti che non siano tra loro antistanti, atteso che in tal caso la misurazione non appare funzionale al perseguimento dello scopo e della ratio della norma impositiva della distanza, che è quella di evitare le intercapedini dannose.

Viene infatti riconosciuto che non si configura un’intercapedine dannosa, secondo la ratio delle previsioni di cui all’art. 9 D.M. 1444/68, laddove manchi l’incontro delle costruzioni prolungandone idealmente le facciate.

Tale conclusione non contraddice il principio giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, IV, 11-6-2015, n. 2861; IV, 5-12-2005, n. 6909), secondo cui la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti deve computarsi con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano. Esso, invero, comporta che il computo delle distanze vada effettuato con riferimento a tutti i punti dei fabbricati interessati, ma non deroga all’applicazione del richiamato metodo di misurazione lineare, con la conseguenza che il computo delle distanze andrà pur sempre effettuato tracciando linee perpendicolari e non oblique, sicché la violazione dell’articolo 9 citato potrà dirsi configurabile solo ove si riscontri una ideale linea perpendicolare, che unisca le due costruzioni, della lunghezza inferiore a dieci metri.

Ne deriva pertanto che la disciplina di cui trattasi non trova applicazione “…quando i fabbricati sono disposti ad angolo e non hanno fra loro pareti contrastanti perché ciò che rileva è la distanza fra opposte pareti” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2005, n. 5348; TAR Veneto 1063/2017- TAR Emilia Romagna n 600/2017).

Pareti frontistanti non lineari e misurazione della distanza: le regole del DM 1444/1968

E se il fronte non è lineare?

Meno agevole è l’applicazione di tale criterio quando il fronte presenta arretramenti/avanzamenti più o meno profondi.

Nel caso di un fronte irregolare, per verificare il rispetto della distanza da pareti frontistanti, lo stesso dovrà essere teoricamente proiettato in avanti partendo dal punto più avanzato oppure i singoli segmenti del fronte andranno gestiti in autonomia?

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La soluzione secondo il Consiglio di Stato

La soluzione al quesito viene posta da un recente intervento del Consiglio di Stato (sentenza sez II del 26/08/2019 n. 6269) intervenuto per dirimere una controversia tra il proprietario di un fondo su cui erano già presenti due edifici, (privi di vedute nella parte specchiata dalla parete del nuovo edificio) e quello del fondo confinante sui cui si realizzava un intervento di nuova costruzione, consistente in un edificio con fronte non lineare in cui solo alcuni segmenti erano dotati di aperture.

Il ricorrente sostenendo che la parete del nuovo edificio fosse unica, pretendeva che la misurazione della distanza rispetto agli edifici di sua proprietà fosse effettuata in senso lineare partendo dalla sporgenza massima del fronte del nuovo edificio.

Con tale sentenza citata, il Consiglio di Stato rammenta preliminarmente che la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che la ratio sottesa all’art. 9 DM 1444/68 (ossia di impedire la creazione di intercapedini dannose) preclude l’utilizzo di criteri di misurazione che comportino il rispetto della distanza tra parti di edifici a destinazione abitativa per le quali non si pongono problemi di salubrità.

L’art. 9 del D.M. 1444 letteralmente dispone che la distanza di m. 10 deve intercorrere tra “pareti finestrate” e “pareti di edifici antistanti, ed impone pertanto ex se la misurazione della distanza “da parete a parete”;  “nei limiti di estensione” delle medesime.

Respingendo la tesi del ricorrente (che intendeva vagliare tutta la lunghezza dell’edificio, e prendere come riferimento per la misurazione il punto del fronte collocato più in profondità) si conclude invece che la distanza, in concreto, deve calcolarsi considerando il singolo “segmento” di parete (inteso come partizione di una linea retta delimitata dai due suoi punti estremi) realmente prospiciente, ovviamente considerando la natura finestrata – o meno – della parete singolarmente considerata rispetto alla correlativamente singola parete frontistante.

Il riscontro al quesito è pertanto chiaro e può essere utile per delineare la sagoma dei nuovi edifici, in quanto il fronte potrà avere  parti di maggior profondità od arretramenti rispetto a cui effettuare la misurazione in via autonoma ossia per ogni spigolo della costruzione (id est del segmento di parete) che in prolungamento risultasse antistante all’edificio opposto.

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