Pergotenda e dintorni: il dubbio della struttura metallica con copertura retrattile
Tar Roma: non è una semplice pergotenda rientrante nell’attività edilizia libera, l’installazione, su un’area scoperta destinata a corte dell’immobile dove si svolge un’attività di officina meccanica, di una struttura metallica di rilevanti dimensioni con copertura retrattile
A grande richiesta, torna 'tra di noi' la pergotenda. Anzi, la 'finta' pergotenda, quella che, inquadrandosi come opera edilizia dove l'elemento tenda non è preponderante, necessità di permesso di costruire e, pertanto, non può rientrare nel novero dell'attività edilizia libera con tutte le conseguenze del caso (leggasi abuso edilizio).
Se ne occupa il Tar Roma nella sentenza 12832/2021 dello scorso 18 dicembre, riferita al caso di un vicino che si lamentava per l'avvallo del comune sulla definizione del procedimento di verifica circa la legittimità della Comunicazione di Inizio Lavori (CILA) avente ad oggetto l’installazione, da parte dei controinteressati viciniori, di una (presunta) pergotenda.
La pergotenda della discordia
Secondo i ricorrenti, diversamente da quanto sostenuto dall’amministrazione comunale, l’opera realizzata dai controinteressati sarebbe qualificabile in termini non già di attività edilizia libera, ex art. 6 dpr 380/2001, bensì di intervento “di nuova costruzione", ex art. 3 comma 1 lett. e) citato Testo Unico Edilizia, come tale realizzabile previo rilascio di un permesso di costruire.
Insomma: tenuto conto delle relative dimensioni (ben 55 mq. per una altezza di 4,00 ml.), della durevole – e non anche transitoria/temporanea - destinazione a servizio della limitrofa attività commerciale esercitata dal controinteressato nonché del relativo ancoraggio alle adiacenti pareti verticali, il manufatto in contestazione rientrerebbe nel cono d’ombra della disposizione di cui all’art. 3 lettera e.5) del TUE. A prescindere dalla tipologia dei materiali costruttivi, l’opera de qua comporterebbe, infatti, un sensibile, oltre che stabile, mutamento dell’assetto urbanistico-edilizio preesistente, con conseguente aggravio del carico urbanistico, così da necessitare della preventiva adozione di una autorizzazione edilizia, nella specie inesistente.
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E' una finta pergotenda: ma perché?
Il Tar accoglie il ricorso, evidenziano la puntuale ricognizione dell’esatta consistenza nonché della destinazione funzionale dell’intervento edilizio di cui alla CILA di cui sopra, avente ad oggetto l’installazione di una "pergotenda".
Il Tar, quindi, procede all'individuazione dell’esatta natura giuridica dell’opera edilizia in contestazione ed il corrispondente regime autorizzativo.
Si tratta di una struttura metallica, con copertura retrattile, composta da pali montanti sormontati da travi orizzontali, delle dimensioni in pianta di ml. 10,00 x 5,50 ed altezza totale pari ml. 4,00, per una superficie complessiva di mq. 55,00.
Non può quindi essere qualificata come pergotenda e rientrare in regime di edilizia libera, in quanto il regime giuridico di cui all’art. 6 dpr 380/2001, tenuto conto della declaratoria degli interventi ivi contenuta così come di quella esemplificata, a titolo non esaustivo, dal D.M. 2.03.2018 (cd. Glossario dell’attività edilizia libera), risulta applicabile esclusivamente in relazione a quelle opere che:
- a) fungono da “arredo” delle aree pertinenziali degli edifici (opere esemplificate dal n. 43 al n. 51 del Glossario, tra cui le cd. pergotende);
- b) sono destinate a soddisfare «obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a 90 giorni» (per come chiarito nel cd. Glossario di cui al D.M. 2018 che le esemplifica dal n. 53 al n. 58, tra cui i Gazebo, le cd, Tensostrutture, Pressostrutture e assimilabili).
Riassumendo: deve comunque trattarsi di interventi che, per materiali costruttivi e dimensioni complessive, non alternino l’assetto urbanistico preesistente, aggravandone il carico. Non è evidentemente questo il caso. Vediamo perché assieme al TAR.
Funzione e destinazione dell'opera parlano chiaro...
Quanto detto sopra porta ad escludere la struttura metallica in contestazione dal perimetro dell’art. 6 Testo Unico Edilizia, in quanto, prima di tutto, avente destinazione funzionale non già estetica, ossia di “abbellimento” dell’area cortilizia annessa all’officina, quanto piuttosto “commerciale”, essendo evidentemente strumentale, per come evincibile dalla documentazione fotografica in atti, all’attività di officina meccanica svolta dal controinteressato nell’adiacente immobile “principale”.
Inoltre, la destinazione funzionale di siffatta opera non può dirsi circoscritta ad un intervallo di 90 giorni, apparendo piuttosto stabile e durevole nel tempo; ciò in considerazione non soltanto della contiguità della stessa all’edificio principale cui accede ma anche delle relative dimensioni, alquanto notevoli (ben 55 mq. comportanti la copertura dell’intera area cortilizia), nonché dei materiali costruttivi di cui è composta, determinanti la complessiva installazione di una massiccia struttura metallica, per ciò stesso inidonea ad essere immediatamente smantellata.
Non c'è precarietà e l'elemento tenda non prevale
Non solo non è una pergotenda, ma non è neanche una "tensostruttura".
La struttura in contestazione è, dunque, tutt'altro che "precaria" giacché implicante, per caratteristiche costruttive, dimensionali e funzionali, una sensibile alterazione dell'assetto edilizio preesistente, con conseguente aggravio del carico urbanistico.
Sul punto la giurisprudenza è univoca nel ritenere che "Per configurare una c.d. "pergotenda", in quanto tale non necessitante di titolo abilitativo, occorre che l'opera principale sia costituita non dalla struttura in sé, ma dalla tenda, quale elemento di protezione dal sole o dagli agenti atmosferici, con la conseguenza che la struttura deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all'estensione della tenda; non è invece configurabile una pergotenda se la struttura principale è solida e permanente e, soprattutto, tale da determinare una evidente variazione di sagoma e prospetto dell'edificio".
L'opera necessitava, dunque, del preventivo rilascio di un titolo autorizzativo, in quanto intervento “di nuova costruzione”, tale essendo espressamente considerata dal Legislatore anche l’installazione «strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come […] ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee» (cfr. lettera e.5) dell’art. 3 T.U.E. in combinato disposto con l’art. 10 TUE).
Qui serviva quindi il permesso di costruire (non la CILA), in assenza del quale scatta l'abuso edilizio.
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