Quanto Vale il Settore delle Costruzioni (e dell'Immobiliare)?
Nel 2010 si iniziava, nel Regno Unito, ad accennare a una volontà governativa di utilizzare il Building Information Modeling (BIM) per rafforzare la strategia governativa, in gestazione, di rivisitazione del settore delle costruzioni.
Tale strategia, peraltro, si delineava in un periodo di crisi del mercato, riproponendo autonomamente (rispetto alla digitalizzazione) leitmotiv ricorrenti e irrisolti risalenti addirittura agli Anni Quaranta, periodicamente riproposti nei decenni a venire.
Se, insomma, assieme all'Ungheria e agli Stati Uniti, il Regno Unito vantava il primato cronologico sulle tecnologie legate al BIM, sorte negli Anni Sessanta, non era per questo motivo che esso ivi poteva trovare fortuna, bensì per il fatto che «collaborazione» e «informazione» erano storicamente stati tratti distintivi di tutti i rapporti governativi sul rilancio del comparto.
Nell'anno successivo, il 2011, tale intendimento era formalizzato, colla volontà manifesta di giungere a una prima parziale, sotto diversi punti di vista, applicazione entro il 2016 (UK BIM Level 2), gemmando sia piani nazionali, come quello scozzese, sia misure regionali e sovraregionali (tra tutte, UK BIM Alliance).
Verso il volgere di quella scadenza, in connessione a una rinnovata politica industriale rivolta al 2025, era poi stata presentata la policy denominata Digital Built Britain, articolata in più livelli (UK BIM Level 3), finanziata dal governo Cameron, che inizia ora a prendere forma tanto in senso programmatico quanto nei confronti dei centri di competenza.
Nel frattempo, l'iniziativa britannica si è estesa alla normazione internazionale, sovranazionale, all'azione comunitaria sulla digitalizzazione della domanda pubblica, agli accordi bilaterali con governi estraeuropei, intersecando, infine, le dinamiche di Brexit e di Global Britain.
Lo sforzo britannico, pur non essendo in assoluto forse il primo a livello governativo in tema di digitalizzazione del settore delle costruzioni, giacché la Danimarca dovrebbe precedere cronologicamente, è stato sicuramente il più paradigmatico e riconosciuto.
Esso è, inoltre, stato emblematico di un approccio top-down, differente da quello statunitense, bottom-up, nonché da altri, middle-out.
Si tratta di un processo che, per quanto il brand Industrie 4.0 sia prettamente teutonico, non appare troppo dissimile dal Piano Nazionale Industria 4.0 che nella sua progressione, dalle leve fiscali e finanziarie inerenti al rinnovamento del patrimonio strumentale del tessuto manifatturiero, attraverso i Digital Innovation Hub, giunge sino ai centri di competenza.
Vi è, tuttavia, paradossalmente un elemento che necessariamente è sfuggito ai più, riguardando il cosiddetto UK BIM Level 4, in quanto evidentemente ancora piuttosto indefinito.
Per quanto, infatti, i precedenti livelli appaiano di volta in volta incrementali o radicali, spesso anche accidentati, nel senso di una transizione complessa, essi si mantengono ovviamente entro un alveo ben definito di ideale continuità, in cui la Smart City, l'Artificial Intelligence, l'Internet of Everything, sembrano poter ulteriormente portare a compimento una trasformazione industriale del mercato.
L'espressione che connota il quarto livello, Social Outcome, indica, invece, un sostanziale salto di qualità che non attiene alla scala (ad esempio, dal modello informativo dell'edificio all'isolato urbano connesso), bensì al ruolo «politico» del settore nella società.
I decisori politici qui non sarebbero più interessati alle costruzioni e all'immobiliare solo in funzione anticiclica o per soddisfare esigenze elementari della cittadinanza, ma, soprattutto, perché i prodotti influirebbero più attivamente sul consenso e sulla competitività dei Paesi.
A prima vista, si tratterebbe di un proposito banale (la natura stessa dell'architettura ha questa ragion d'essere; esiste, inoltre, il prodotto sociale lordo di origine kennedyana che può ricomprendere le valenze dell'ambiente costruito), ma, al contrario, esso cela una straordinaria ambizione, che andrebbe persino a invertire il primato del Manifatturiero sulle Costruzioni.
In Italia, nel momento del massimo fulgore, il settore delle costruzioni e dell'immobiliare è, secondo alcune stime, giunto a incidere intorno al 30% del valore dell'economia nazionale.
Come è noto, secondo molti osservatori, l'incidenza degli investimenti pubblici in costruzioni tende, invero, a decrescere coll'avanzare del grado di sviluppo di un Paese, cosicché la sua evoluzione parrebbe mostrarsi come inversamente proporzionale, per certi versi, all'investimento in capitale (sociale) fisso legato a immobili e a infrastrutture.
Ovviamente, altro discorso vale per gli investimenti privati.
Qui si tratta, tuttavia, non di misurare l'entità degli investimenti (a titolo esemplificativo nelle infrastrutture: per ampliamento, come in Cina, o per rinnovamento, come negli Stati Uniti), ma il ruolo attivo e diretto che i cespiti immobiliari e infrastrutturali potrebbero avere nel 2050, ruolo «politico» e «sociale», nel senso di ridurre la differenza tra contenitore e contenuto, attraverso i cespiti cognitivi.
Un esempio di ciò sarebbe offerto dal fatto che, in questo contesto, i progettisti si assumano obblighi di risultato di carattere imprenditoriale, misurati non solo in base al livello prestazionale conseguibile nel ciclo di vita dei beni immobiliari e infrastrutturali ideati, bensì anche ai livelli di servizio conseguiti dalle attività che essi ospitano.
In altre parole, i buoni intendimenti che sempre gli architetti formulano sulla utilità delle proprie opere si tradurrebbero in un loro assoluto coinvolgimento sul piano contrattuale nel destino degli occupanti.
Al momento, il settore sta soffrendo un grave deficit reputazionale dovuto a illegalità e improduttività: fattori imputati a esso, a torto o a ragione, dai decisori politici ed economici, cosicché immaginarne una centralità prioritaria appare improbabile.
A detta di molti pareri critici, ciò si sarebbe tradotto, ad esempio, sulla incomprensione delle condizioni di concorrenzialità delle imprese strutturate o sul peso straordinario della fiscalità immobiliare.
Parimenti, tutte le misure ipotizzate per ridarvi centralità prevedono la riduzione di quegli elementi che per esso rimangono identitari: frammentazione, conflittualità, distinzione, asistemicità.
Al di là di ciò, molte delle azioni ipotizzate e, in parte, attuate, dal potenziamento delle infrastrutture portuali, aeroportuali, viabilistiche, al recupero/riqualificazione delle periferie urbane, all'efficientamento energetico e al miglioramento sismico delle città e dei territori, pur presentando molti risvolti di carattere economico e sociale, sono palesemente, ovviamente, incentrate sulle dimensioni tangibili di cespiti che si definiscono sostanzialmente in termini «materiali».
Lo scenario al 2050 vedrebbe, invece, una Data-Driven Industry, capace di influire, «intangibilmente», tramite l'ambiente costruito, sui destini dei sistemi sovranazionali e nazionali.
La distanza mentale da quella data appare ancor maggiore nei confronti di quella cronologica, ma la sfida è stata impostata: altrove.