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Ricostruire l’esistente in laterizio

un report che offre una panoramica attenta sulle opportunità che in Italia possono scaturire dalla ricostruzione del patrimonio edilizio esistente

ANDIL – Associazione Nazionale Degli Industriali dei Laterizi, ha stilato un report che offre una panoramica attenta sulle opportunità che in Italia possono scaturire dalla ricostruzione del patrimonio edilizio esistente. Esprime una valutazione sugli incentivi vigenti, siano essi di agevolazioni costruttive (premi di cubatura) che fiscali (detrazioni IRPEF), considera gli attuali e potenziali mercati della ricostruzione, cita alcuni casi esemplificativi, individua le condizioni di opportunità e di economicità degli interventi e ne definisce i punti di forza e di debolezza (analisi Swot). L’attenzione è stata, in particolare, posta sulla realtà metropolitana di Roma, laddove le esigenze di riqualificazione urbana sono più diffuse e l’appetibilità delle strutture abitative è maggiore, tenendo conto delle particolari condizioni al contorno e individuando la possibile replicabilità sul territorio nazionale.
È opinione di Legambiente che «se si vuole dare un futuro al settore edilizio bisogna dare risposte all’emergenza abitativa e legarla a un vasto programma di riqualificazione energetica di case, quartieri, periferie. Se si guarda agli oltre 28 milioni di alloggi esistenti nel nostro Paese, non è più eludibile avviare interventi che puntino a coniugare sicurezza statica e efficienza energetica, allargando l’opportunità di demolire e ricostruire anche agli edifici turistici e commerciali, artigianali e per servizi, lavorando sul patrimonio esistente invece di occupare nuovi ettari di suoli agricoli. Migliorare la qualità edilizia ed energetica attraverso la demolizione e ricostruzione di edifici e parti di città è una sfida strategica per il futuro delle città italiane anche per fermare il continuo consumo di suolo. Ma per definire una prospettiva che funzioni, rispetto a un tema così delicato e complesso, occorre cambiare regole e abitudini, mettere mano a leggi e competenze e coinvolgere tutti i livelli amministrativi in un processo trasparente».
Già col Piano Casa del marzo 2009, il Governo, le Regioni e gli Enti locali, riuniti in Conferenza Unificata, concordarono l’adozione di «misure legislative coordinate» per rilanciare il settore edile, ritenuto un dei più sofferenti nel panorama, comunque complesso, della grave crisi che l’intero mercato nazionale stava attraversando. L’intenzione dichiarata del Governo era quella di promuovere l’adozione di norme speciali che consentissero d’incentivare il rinnovamento del patrimonio edilizio esistente, riqualificando gli immobili, sia sotto il profilo della qualità architettonica, sia sotto quello energetico, attraverso forme di semplificazione procedimentale e di incentivazione all’investimento, da ottenere anche attraverso incrementi straordinari della volumetria esistente.
In particolare, è stata prevista la possibilità di aumentare la cubatura residenziale nella misura del 35% della volumetria esistente in caso di «interventi straordinari di demolizione e ricostruzione… con finalità di miglioramento della qualità architettonica, dell’efficienza energetica e utilizzo di fonti energetiche rinnovabili», lasciando ampio spazio per consentire alle Regioni scelte attuative che fossero coerenti con le peculiarità di ciascun ambito territoriale.
Oggi, quasi tutte le Regioni hanno approvato norme speciali che intervengono nel settore edilizio, proponendo peraltro soluzioni assolutamente eterogenee, che vanno da una pedissequa applicazione dei principi stabiliti a livello nazionale, fino a interpretazioni del tutto peculiari delle finalità della disciplina straordinaria, tali da consentire soluzioni progettuali che stravolgono completamente le regole di sviluppo territoriale. Tra queste si segnala come esempio positivo, la legge 10/11 della Regione Lazio che concede, in caso d’interventi di demolizione e ricostruzione di edifici plurifamiliari a destinazione residenziale superiori a 500 mq in condizioni di degrado, l’ampliamento fino al 60% della cubatura, a condizione che venga mantenuto almeno il numero precedente di unità immobiliari in capo ai proprietari. Inoltre, a fine di riqualificare porzioni di territorio caratterizzate da tessuti edilizi degradati, edifici isolati, ma anche territori d’interesse naturalistico, ambientale e culturale, i comuni del Lazio possono adottare programmi integrati, che prevedano demolizioni e ricostruzioni con spostamento delle cubature in zone differenti. In questo caso è previsto un premio pari a un massimo del 75% in più delle volumetrie demolite.
La rigenerazione delle aree urbane degradate trova oggi un nuovo impulso nel Piano Città, il programma del ministero delle Infrastrutture e Trasporti avviato nel giugno 2012 dal primo decreto Sviluppo. Le amministrazioni comunali di tutta Italia hanno inviato al ministero delle Infrastrutture e Trasporti 457 proposte d’intervento edilizio e urbanistico sui propri territori, chiedendo di cofinanziare le risorse mancanti per l’avvio dei lavori. Un’apposita cabina di regia ha individuato 28 progetti, che potranno usufruire di un cofinanziamento nazionale di 318 milioni di euro (224 dal Fondo Piano Città e 94 dal Piano Azione Coesione per le Zone Franche Urbane dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per le pmi) che attiveranno nell’immediato progetti e lavori pari a 4,4 miliardi di euro complessivi, tra fondi pubblici e privati.
È indubbio, però, che un ruolo fondamentale nella diffusione della ristrutturazione con demolizione e ricostruzione, può essere svolto delle agevolazioni fiscali. A seguito della modifica apportata dal decreto del Fare al TU dell’edilizia, DPR n. 380/2001, in base alla quale per la realizzazione della ristrutturazione con demolizione e ricostruzione sarà sufficiente la Scia invece che il permesso di costruire, senza dover più rispettare il vincolo della sagoma, ma solo quello della volumetria, si potrà, con le modalità stabilite dall’amministrazione finanziaria, accedere agli incentivi.
L’assoggettabilità agli incentivi costituisce un impulso importante alla «riqualificazione integrata» e alla messa in sicurezza del patrimonio edilizio esistente, che per la maggior parte è antecedente gli anni ‘70.
L’Italia è considerato un paese a sismicità medio alta e anche per quanto riguarda il dissesto idrogeologico, la situazione è preoccupante. In tale contesto, non aiuta l’alta vulnerabilità del patrimonio edilizio, considerata, come dice il Cresme, la vetustà di gran parte degli edifici e la scarsa attitudine alla manutenzione sistematica: oltre il 60% degli edifici è stato costruito prima del 1971 (pari a 7 milioni di edifici) e i restanti 4 milioni di edifici sono stati costruiti negli ultimi 30 anni.
In particolare tra il 1972 e 1981 sono stati realizzati 1,9 milioni di edifici, tra il 1982 e il 1991 sono stati costruiti 1,3 milioni, tra il 1991 e il 2001 si contano 791mila edifici. La datazione del patrimonio non necessariamente implica un cattivo stato di conservazione delle strutture ma sicuramente è indicativo rispetto alla tecnica costruttiva e all’utilizzo di tecnologie antisismiche.
La normativa antisismica per le nuove costruzioni è entrata in vigore nel 1974 (legge n. 64/1974), quindi gli edifici realizzati precedentemente a questa data non sono stati costruiti secondo questi accorgimenti tecnici. Inoltre, anche gli edifici costruiti successivamente al 1974, pur essendo in regola rispetto alla legge vigente al momento della realizzazione, potrebbero non essere conformi all’attuale normativa sismica poiché in questi anni la mappa della pericolosità sismica è stata modificata più volte, includendo sempre più comuni nelle zone di rischio più elevato.
Il solo aspetto energetico, nonostante l’attualità del tema, generalmente non induce a una operazione di demolizione e ricostruzione, per cui, la riqualificazione urbana e soprattutto l’attenzione agli aspetti della sicurezza ai terremoti o la necessita di intervenire in presenza di dissesto idrogeologico rappresentano motivazioni molto più forti.
L’analisi del report ANDIL dimostra che questo tipo di azione oltre ad avere un risvolto occupazionale sociale porterebbe a numerosi effetti secondari di rilievo.
 

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