Riflessioni in anteprima aspettando il Salva-Milano
L’articolo esamina il dibattito sulla legge “Salva-Milano”, nata per giustificare interventi edilizi sotto inchiesta e ancora al Senato. All'interno un'analisi delle proposte legislative, il confronto tra le versioni del testo e alcune riflessioni sulle implicazioni normative, criticità interpretative e possibili effetti retroattivi.
La legge Salva-Milano ancora non c’è, ma c’è già il titolo e il dibattito da cui sappiamo qual è l’obiettivo: salvare Milano.
O, meglio, cercare di giustificare la conduzione della gestione urbanistico edilizia milanese di quest’ultimo periodo finita sotto procedimento (anzi sotto più di un procedimento) da parte della Procura della Repubblica per sospetti di illegittimità e illiceità.
Il tema è grave sia per la rilevanza dell’accusato (Milano) sia per la rilevanza delle accuse e l’Autore cerca di approfondirne gli aspetti per poterne affrontare poi un sereno dibattito.
Non amiamo commentare leggi che ancora non esistono, ma il clamore suscitato dalle attese indotte dai commenti di stampa che da un po’ di tempo – seppur frammentariamente - si susseguono e l’annuncio di un provvedimento di legge prossimo venturo ci inducono ad affrontare il tema per non esserne colti di sorpresa e magari per stimolare qualche riflessione.
Il caso (i casi)
In estrema sintesi si contesta al comune di Milano di aver assentito la realizzazione di importanti interventi edificatori classificandoli di “ristrutturazione edilizia” in zone già densamente edificate tramite segnalazioni certificate di inizio attività (s.c.i.a.) ad iniziativa dei privati richiedenti, bypassando la previa redazione di un piano particolareggiato previsto dalla legge statale ancor oggi vigente nei casi in esame, evitando così una specifica valutazione urbanistica da approvarsi dall’organo collegiale del Comune (la Giunta) e godendo di una sensibile riduzione degli oneri di urbanizzazione (e standards urbanistici) dovuti.
La questione origina dalla definizione di “ristrutturazione edilizia” dell’articolo 3, lett. d) del Testo Unico dell’edilizia (DPR 380/01) che, rispetto all’originaria definizione del 2001 è stato ripetutamente dilatato fino a ricomprendere (ove non sussistano vincoli specifici di pregio paesaggistico o storico-ambientale) la demolizione integrale con ricostruzione anche in diverso sito e con diversa sagoma (conservando però la destinazione d’uso).
Piaccia o no questa è la norma attuale della ristrutturazione stabilita da legge statale (che potremo meglio esaminare nei suoi presupposti concettuali in altra sede) e che costituisce comunque norma “di principio” non derogabile.
Su questo presupposto pare che siano stati consentiti gli interventi milanesi oggi sotto inchiesta, complice anche la legislazione regionale.
Vero è però che la legislazione edilizia or ora citata soggiace alle prescrizioni ancora vigenti della legge statale n. 765/67 (cosiddetta legge-ponte) che all’articolo 17 (poi inserito come articolo 41-quinques nella legge fondamentale n. 115/42) prescrive l’obbligo della preventiva redazione (e approvazione) di un piano particolareggiato qualora gli interventi edilizi siano di altezza superiore ai 25 metri o di volumetria superiore ai 3 mc/mq (ovvero quando le altezze in zona omogenea “B” superino quelle preesistenti degli edifici circostanti ex articolo 8 del d.m. n. 1444/68).
In altri termini in questi casi l’intervento da “edilizio” diventa di interesse “urbanistico” ed anche la sua compatibilità/conformità trasla dal piano dell’atto dovuto (qual è la ristrutturazione) al piano della valutazione di merito dell’organo collegiale (giunta) oltre che dalla sua conformità al preordinato Piano regolatore generale (o strumento urbanistico comunale che dir si voglia in base alla legge regionale).
Conoscere per poter commentare
Per evitare di esprimerci in astratto sul sentito dire e non parlare a vanvera in un tema così delicato esamineremo in dettaglio
- sia il contenuto del Disegno di legge nella stesura più recente attualmente disponibile (e cioè il testo già approvato dalla Camera dei Deputati il 21 novembre scorso e trasmesso al Senato il giorno dopo per l’approvazione definitiva) (si veda l'ALLEGATO 2)
- sia il testo che era stato originariamente sottoposto all’esame della Camera il 24 luglio 2024 che era sostanzialmente diverso (si veda l'ALLEGATO 1).
Diverso il contenuto, la finalità e gli effetti.
Per questo è importante metterli a confronto in quanto evidenziano un approccio diametralmente opposto non privo di conseguenze concettuali e pratiche e capire il perché di questo cambio di strategia.
Il testo proposto alla Camera era di “riordino” con “norma transitoria”
Quanto alla finalità il testo sottoposto originariamente all’esame della Camera titolava “Disposizioni in materia di piani particolareggiati o di lottizzazione convenzionata e di interventi di ristrutturazione edilizia connessi a interventi di rigenerazione urbana” e quindi si presentava come norma strutturale di riordino e innovazione della materia urbanistica finalizzata all’obiettivo (nobile) della “rigenerazione urbana”.
Il comma 1 dell’articolo 1, era infatti una norma obiettivo che imponeva (rectius: prometteva) un prossimo venturo “riordino organico della disciplina di settore” da attuarsi entro “sei mesi” a modifica della disciplina dell’articolo 41-quinques della legge n. 1150/42 con il duplice scopo dichiarato di “attivare processi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree degradate di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi… “ e “favorire … lo sviluppo di iniziative economiche, sociali, culturali o di recupero ambientale”.
Dunque una norma di riordino e di innovazione della materia motivata dalla convinzione di obsolescenza delle norme vigenti in quanto risalenti al 1967.
In attesa del “riordino organico” il comma due dettava allora una “norma transitoria” che sostanzialmente disapplicava la disciplina dell’articolo 41-quinquies della legge n. 1150/42 e dell’articolo 8 del d.m. n. 1444/68 relativamente alla previa necessità dei piani particolareggiati nei casi ivi previsti.
Quanto agli effetti la norma così concepita valeva però ex nunc (e cioè d’ora in poi fino alla norma definitiva) e non ex tunc, per cui confermava nel passato la vigenza della disciplina statale dianzi riportata, ovvero l’obbligatorietà di piani particolareggiati in caso di superamento dei limiti volumetrici o di altezza; così concepito era organico, ma non salvava Milano (e cioè il pregresso).
La Camera lo ha convertito in “interpretazione autentica” oggi in discussione al Senato
Per cui il testo poi approvato e oggi sottoposto al Senato è stato radicalmente modificato e da norma temporanea - in attesa del previsto di riordino - è diventato norma di “interpretazione autentica” così titolato: “Disposizioni di interpretazione autentica in materia urbanistica ed edilizia”.
Si è persa ogni traccia di norma transitoria e (soprattutto) di ogni impegno ad un riordino organico, con un contenuto affatto diverso, una diversa finalità e una diversa motivazione.
Anzi senza motivazione, perché quella che precedeva il testo proposto alla Camera non appare più nella premessa del testo inviato al Senato che abbiamo dovuto ricercare nella “Documentazione per l’esame parlamentare” datata postuma il 6 dicembre 2024 (ALLEGATO 3).
Il ricorso all’interpretazione autentica appare dunque come un escamotage intelligente o, forse, si potrebbe anche dire furbesco, per salvare capra e cavoli (un indirizzo per il futuro e una pietra tombale sul passato).
Certo è un virtuosismo tecnico-giuridico sulla cui fondatezza logica lo stesso Legislatore non crede più di tanto se è vero, com’è vero, che (come abbiamo appena visto) in prima battuta ha ritenuto Lui stesso che l’interpretazione sempre universalmente data fino ad oggi fosse fondata e, per modificarla, si dovesse operare con una nuova norma di legge e che solo in un secondo momento si è “ravveduto” pensando di poter ricorrere all’ipotesi di un errore interpretativo del passato.
Ipotesi fondata su un dibattito dottrinario fin qui episodico e certamente non conclusivo con anche un richiamo a circolari e risoluzioni giurisprudenziali più o meno recenti riportate nella “Documentazione per l’esame parlamentare” che esamineremo in dettaglio più avanti.
L’articolato e la sostanziale disapplicazione di due norme (con condizione)
Nel testo del Senato il Disegno di legge - all’articolo 1, comma 1 - re-interpreta non solo l’articolo 41-quinquies, comma 6 della legge n. 1150/42 laddove impone il previo piano particolareggiato qualora si superi l’altezza di 25 metri o una volumetria di 3 mc/mq, ma anche l’articolo 8 del d.m. n. 1444/68 laddove – in assenza di preventivo piano particolareggiato – vieta in zona omogenea “B” altezze superiori a quelle degli “edifici preesistenti e circostanti”.
Sostanzialmente le disapplica negli “ambiti edificati e urbanizzati”.
E fin qui le norme reinterpretate sono due e non una sola.
Una dubbiosa condizione
C’è però una curiosa discrezionale condizione, ovvero che la disapplicazione della norma del d.m. n. 1444/68 è subordinata ad un “accertamento” da parte “dell’amministrazione competente e con provvedimento motivato” della inesistenza di un “contrasto con un interesse pubblico concreto e attuale”.
Quale sia “l’interesse pubblico concreto e attuale” da preservare e con quale atto si debba esprimere l’“Amministrazione competente” non è dato sapere e poiché la materia urbanistica - se non puntualmente definita nel piano urbanistico generale - resta di competenza consiliare forse al Consiglio comunale occorrerà ricorrere. Sul contenuto della motivazione sorvoliamo.
Forse occorrerà un’altra interpretazione autentica sulle modalità di esercizio di questo fumoso potere.
Una generalizzazione dei possibili interventi
La disapplicazione delle due norme or ora citate opera:
- per l’“edificazione di nuovi immobili” su singoli lotti situati in ambiti edificati e urbanizzati
- per la “sostituzione, previa demolizione, di edifici esistenti” in ambiti edificati e urbanizzati
- per gli “interventi su edifici esistenti” in ambiti edificati e urbanizzati.
Se la quella di essere in ambito edificato e urbanizzato è condizione costante di applicabilità, più fumosa è la descrizione delle tipologie di intervento che ci saremmo aspettati fossero elencate secondo l’articolo 3 del DPR 380/01 e invece si adottano termini più generici che comprendono non solo “interventi” o “sostituzione” dell’esistente, ma anche “nuovi immobili” per i quali non si fa cenno dell’esigenza di una preesistenza.
Di questa estensione non si era mai parlato espressamente e – anche se può apparire coerente col dettato dell’articolo 41-quinques che non distingue tra vecchio e nuovo - da quanto ne so, va ben oltre i casi milanesi.
La sorprendente interpretazione/implementazione della terza norma
Ma un’altra novità di cui poco si è parlato sulla stampa la troviamo al comma 3 dell’articolo 1 che, pur se ricompresa sotto il titolo di “interpretazione autentica”, pare invece essere innovativa (e non di poco conto).
Qui si dichiara che l’interpretazione autentica riguarda la definizione di ristrutturazione edilizia data dal d.l. 21.06.2013 n. 69 (convertito in legge n. 98/2013) ma è al solo fine di estenderne la retroattività interpretativa fino alla data della sua entrata in vigore (22.06.2013 essendo in G.U. n. 144 del 21.06.2013), perché poi il testo “interpretato” è quello ad oggi vigente (post 2022) come si evince dalla citazione delle esenzioni di cui al “sesto” periodo della lettera d). (Se così non fosse non tornerebbe la numerazione dei periodi).
Anche per questa norma (articolo 3, lett. d) del DPR 380/01) si afferma che la “si interpreta nel senso che ” siano ricompresi nella “ … ristrutturazione edilizia gli interventi ….. che presentino sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche, funzionali e tipologiche anche integralmente differenti da quelli originari ….”.
Ma questo non è il testo della ristrutturazione nella vigente formulazione perché le caratteristiche FUNZIONALI non vi sono contemplate! (v. 3° periodo). Sono un’aggiunta del Disegno di legge.
Per dare l’interpretazione autentica non si può riscrivere la norma bisogna attenersi al testo letterale originario ! Questo è un modo anomalo (molto anomalo) di dare un’interpretazione autentica.
In dettaglio possiamo dire che:
- può essere coerente (e anche condivisibile) interpretare che nella prescrizione di dover rispettare il vincolo della “stessa volumetria” nella ricostruzione previa demolizione (come sinteticamente recitava il 3° periodo dell’articolo 3, lett. d) del d.l. n. 69/2013) fosse già inteso essere ricompresi anche “diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”, per cui si giustifica la retroattività alla data del d.l. n. 69/2013
- assolutamente arbitraria è invece l’aggiunta della diversa funzione.
Si tratta di un’integrazione della definizione di ristrutturazione edilizia che ascriveremo all’ennesima modifica dell’articolo 3 lett. d) del DPR 380/01 che, come tale potrà avere vigore dell’entrata in vigore della nuova legge, ma non può essere fatta risalire retroattivamente al 2013.
Certo è che questa interpretazione non è autentica.
Molto più di un’interpretazione autentica: una riscrittura concettualmente incoerente
Ma c’è un’altra questione sostanziale ben più rilevante.
Cosa significa “funzionale”?
Se per funzionale si intende la destinazione d’uso (e mi pare che non possa che essere così) l’innovazione appare sconcertante e confliggente con la logica che sorregge la definizione di ristrutturazione che è motivata dalla preesistenza non solo di un “involucro edilizio” ma anche del suo contenuto (ovvero la destinazione d’uso) per poterne proporre la ricostruzione.
Perché entrambi che incidono sulla “trasformazione del territorio” ex articolo 1 della legge n. 10/77 che sorregge il concetto di ristrutturazione.
Passare da una categoria funzionale ad un’altra è operazione “urbanisticamente rilevante” a norma dell’articolo 23-ter del DPR 380/01 non prevista nell’attuale concetto della ristrutturazione edilizia.
Prossimamente il Commento
Ora che ne conosciamo il contenuto potremo commentare il Disegno di Legge con cognizione di causa.
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