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Sanabilità delle opere in vincolo paesaggistico - PARTE SECONDA

PARTE SECONDA - Piano Paesaggistico e Paesistico: aspetti procedimentali


La sanabilità delle opere in aree con vincolo paesaggistico non è tema di immediata comprensione visto che l’entrata in vigore del Codice Urbani nel 2004, ha dapprima imposto una insanabilità totale poi stemperata da una limitata ammissibilità dal d.lgs. n. 157/2006 (“primo correttivo”).

Ma la questione non si è conclusa lì, perché da quella data in poi interventi giurisprudenziali successivi (e istruzioni ministeriali) hanno meglio approfondito il tema.

L’Autore dopo avere esposto nella PARTE PRIMA le condizioni e l’ammissibilità della sanatoria, ne dettaglia qui analiticamente nella PARTE SECONDA i passaggi procedimentali dopo aver chiarito la differenza tra vincoli paesaggistici e paesistici.


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Nella Prima parte di questa disamina abbiamo riportato gli approfondimenti dottrinari e giurisprudenziali che hanno delineato le condizioni di ammissibilità della sanatoria paesaggistica la cui discriminante risiede sul termine del “periodo transitorio”.

Termine originariamente fissato nel momento della redazione dei piani paesaggistici, ma successivamente stabilito al 31.12 2009.

Dal punto di vista concettuale l’originaria previsione appariva certamente più coerente con l’intero sistema della tutela paesaggistica perché legato ad un “atto” comportante mutamento dell’assetto normativo integrale: solo con l’approvazione dei piani paesaggistici il sistema entrava a regime in tutto e per tutto.

E’ stata l’inerzia riscontrata nella redazione/approvazione dei piani a rendere questa data aleatoria - col rischio di trascinare il regime transitorio sine die – a suggerire al Legislatore di assumere un riferimento certo e assoluto: una data uguale per tutti.

Questo ci induce però ad una disamina più attenta del significato, del contenuto e del ruolo dei previsti “piani paesaggistici”, che possono essere confusi (complice la paronomasia terminologica) con i “piani paesistici” che invece sono altra cosa.

 

Il problema di fondo: la redazione dei piani paesaggistici

Il complesso sistema di co-gestione del vincolo paesaggistico posto in essere dal Codice Urbani si basa sulla formazione dei piani “paesaggistici” da redigersi da parte delle regioni con l’approvazione delle competenti Soprintendenze.

Da quel momento in poi il vincolo paesaggistico può ritenersi tradotto (cartograficamente e normativamente) nei piani paesaggistici e la loro tutela affidata ad una puntuale ricognizione congiunta e ad una normazione condivisa a monte regione-stato: dunque viene superata la necessità del parere specifico caso per caso della Soprintendenza sulle singole domande di autorizzazione.

Fino a quel momento però il vincolo paesaggistico continua a valere e ad essere tradotto sul territorio in base alle disposizioni generali di legge o di provvedimento specifico (ex art. 134 del d.lgs. 42/2004) e ad essere sottoposto al congiunto parere regionale e statale (Soprintendenza).

Questo ci porta a dover chiarire (cosa non sempre scontata) la differenza sostanziale tra vincolo paesaggistico e vincolo paesistico.

 

Occorre distinguere tra vincolo paesaggistico e vincolo paesistico

E’ paesaggistico il vincolo discendente dalle prescrizioni di legge eventualmente tradotto nei piani paesaggistici approvati congiuntamente con la Soprintendenza e soggiace alle limitazioni e alle procedure del Codice Urbani.

E’ paesistico il vincolo imposto per iniziativa locale (regionale o comunale) e quindi di natura meramente urbanistica e soggiace alla normativa di piano ma è sottratto a quella del Codice Urbani.

Questa differenza sostanziale si riflette evidentemente anche sul regime della sanabilità delle opere.

 

Dove si “leggono” e come si individuano i vincoli?

Abbiamo dianzi detto che i vincoli paesaggistici sono quelli desumibili dall’articolo 134 dagli articoli 132-142 del Codice Urbani e naturalmente vigono sia che i piani urbanistici li riportino cartograficamente o no.

A volte non sono riportati (o non sono riportati correttamente), ma a volte i piani paesistici (al pari dei piani regolatori) interpretano i vincoli di legge ampliandoli e disciplinandoli con autonoma normativa.

Se i piani regolatori comunali o paesistici regionali, riportano fasce di applicazione più ampie di quelle di legge non comportano l’estensione del vincolo paesaggistico ma più semplicemente impongono un vincolo urbanistico.

Ne consegue che la parte di territorio più ampia dei limiti di legge risulta sottoposta a un vicolo urbanistico ma non paesaggistico per la cui esatta individuazione occorre invece attenersi rigorosamente alle definizioni del Codice. Almeno fino a quando il piano paesistico non assuma la veste di piano paesaggistico approvato anche dalla Soprintendenza.

Ad oggi pochi davvero sono i piani paesaggistici, molti i piani paesistici.

La distinzione non è accademica perché le aree con vincolo solo urbanistico e non paesaggistico non soggiacciono alle procedure del d.lgs. n. 42/2004 e gli edifici in esse insistenti possono ben ottenere la sanatoria solo in base alle leggi urbanistiche (art. 36 DPR 380/01 e/o sanatoria giurisprudenziale).

 

Le prescrizioni del Codice Urbani ante e post regime transitorio

Come si è detto nella Parte Prima l’obiettivo del Codice Urbani era il raggiungimento di un regime definitivo e stabile costituito da un mosaico di piani paesaggistici regionali; per cui, fino a quella data disponeva che si vertesse in un “regime transitorio” statuito all’articolo 159.

In sintesi:

  • da un dato di fatto e cioè la scadenza del periodo transitorio fissato per legge al 31.12 2009;
  • dall’interpretazione giurisprudenziale che in quel periodo ritiene non si applichino le limitazioni del Codice Urbani (v. Parte Prima) consegue che la limitazione alla sanabilità dell’articolo 146 (e 164) delle opere abusive in aree a vincolo paesaggistico si applica solo a decorrere dal 1° gennaio 2010 o, per essere più precisi, alle opere eseguite da questa data in poi.

Fino a quella data vige il precedente regime del d.lgs. 490/99.

Le opere realizzate (completate) entro il 31.12 .2009 sono sanabili senza le limitazioni (di superficie e volume) imposte dell’articolo 167, naturalmente previo parere di compatibilità congiunto regione-soprintendenza (con prevalenza e vincolatività di quest’ultimo).

Questo si desume non per norma espressa di legge, ma dalle citate risoluzioni giurisprudenziali.

Alle quali si sono uniformate anche le circolari Ministeriali (MIBACT 16.12.2015, n.30815 e 27.04.2016, n. 12385 già citate).

Come si vede la materia è complessa e non di immediata comprensione perché basata sull’interpretazione ricostruttiva della giurisprudenza.

 

E le leggi regionali ? Il caso dell’Emilia-Romagna

Nel pur apprezzabile intento di porre un cardine legislativo certo, la legge regionale dell’Emilia-Romagna ha recentemente dettato un termine diverso con l’articolo 70 della legge regionale n. 24/2017 affermando al comma 5: “Il divieto di sanatoria stabilito dall'articolo 146, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004, si applica agli interventi realizzati in area paesaggisticamente vincolata in epoca successiva al 12 maggio 2006, data di entrata in vigore del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 in relazione al paesaggio)”.

Si deve a tal proposito rilevare però un singolare disallineamento tra l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato - che ritiene sanabili senza limiti di tipologia le opere realizzate fino al 31.12.2009 - e la disposizione regionale che ne consentirebbe la sanabilità ex lege solo fino alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 157/2006.

Come abbiamo visto nella disamina dell’evoluzione legislativa riportata nella Parte Prima, il d.lgs. 157/2006 è quello che ha introdotto la limitazione della sanabilità ai soli casi dell’articolo 167, commi 4 e 5 ma non ha detto che in precedenza tutte le opere fossero sanabili; anzi, la precedente stesura dell’articolo 146 del d.lgs. 42/2004 vietava in toto, in modo espresso e inequivocabile la sanabilità. La sanabilità senza limiti era implicitamente riconosciuta solo ante Codice Urbani.

Per cui, per sostenere la sanabilità nel periodo tra l’entrata in vigore del Codice Urbani e il 12 maggio 2006 (entrata in vigore del d.lgs. 157/2006) come fa la legge regionale Emilia-Romagna, occorre necessariamente ricondursi alle argomentazioni giurisprudenziali della inapplicabilità del nuovo regime durante il periodo transitorio (da ultimo definito per legge al 31.12.2009 e, dunque, anche dopo il 12 maggio 2006).

Per cui il riferimento temporale della legge regionale risulta limitativo rispetto all’elaborazione giurisprudenziale, non pare sorretto da convincente argomentazione giuridica (quella giurisprudenziale appunto, in assenza della quale non è ammissibile alcuna interpretazione liberalizzatrice) e rischia di creare incertezze applicative oltre a un’evidente disparità.

 

Come accertare la sanabilità paesaggistica

Tutto ciò premesso appare utile riassumere i passaggi logici attraverso i quali accertare la sanabilità delle opere abusive in zone a vincolo paesaggistico.

- la verifica dell’effettiva sussistenza del vincolo paesaggistico (e non, magari, del mero vincolo paesistico-urbanistico)

A tale scopo occorre individuare territorialmente l’estensione del vincolo paesaggistico:

  • se esiste il piano paesaggistico sulla base di quest’ultimo
  • se non esiste ancora il piano paesaggistico sulla base del personale riporto in sito delle prescrizioni dell’articolo 142 del Codice Urbani.

 

In questa seconda ipotesi va detto che la traduzione sul campo della perimetrazione del vincolo paesaggistico non sempre è univoca ma in qualche caso porta elementi di indeterminazione di cui ha ben detto la dott.ssa Elisabetta Righetti nell’articolo “Come ristrutturare gli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio”.

Se l’edificio in esame è esterno al vincolo paesaggistico la procedura di sanatoria sarà solo quella edilizia, naturalmente sia in sede amministrativa (art. 36 DPR 30/01 o sanatoria giurisprudenziale) che penale.

2° - Verifica della data di esecuzione (completamento) delle opere

Sul punto occorre distinguere tre date cardine:

  • il 31.12.2009 – termine del periodo transitorio

ne consegue che:

  • se la data di esecuzione è posteriore al 31.12.2009 (termine del periodo transitorio di legge) la sanabilità è consentita solo nel rispetto delle prescrizioni dell’articolo 167
  • se il completamento delle opere è avvenuto entro il suddetto termine la Giurisprudenza riconosce la sanabilità senza le limitazioni dell’articolo 167 (naturalmente con la procedura dell’articolo 146)

 

  • il 12.05.2006 - data di entrata in vigore del d.lgs. 157/2006
  • se poi addirittura le opere sono state completate entro il 12.05.2006 in Emilia-Romagna la sanabilità è riconosciuta per legge (l.r. E-R n. 24/2017, articolo 70, comma 5).


  • la data di imposizione del vincolo

Qui l’individuazione si complica perché i beni soggetti a vincolo paesaggistico sono di diversa natura e vanno ricercati alla luce dell’articolo 134 del Codice Urbani che rinvia all’articolo 136 (immobili specifici con espressa dichiarazione individuale) e all’articolo 142 (immobili d’insieme definiti  ex lege).

La definizione di questi ultimi deriva dal d.l. n.312 del 27.06.1985 (poi convertito nella l. 08.08.1985, n.431, meglio nota come Legge Galasso) che però prevede esclusioni in base proprio alla situazione vigente all’epoca della sua entrata in vigore in funzione della pianificazione urbanistica (o dello stato di fatto) dell’epoca. Nonostante si tratti di disposizione a carattere generale la sua traduzione sul territorio può presentare qualche aleatorietà dovuto a problemi interpretativi non univoci o incerti. Se ne raccomanda una oculata interpretazione.

La data di efficacia del vincolo è però determinante perché se le opere sono state realizzate precedentemente all’imposizione non sussiste neppure reato penale in materia paesaggistica, ma solo (eventualmente) in materia edilizia (v. anche Circolare MIBACT 30.05.2016, n. 16391).

 

Il parere della Soprintendenza resta determinante

L’ultima parola comunque spetta alla Soprintendenza al cui proposito è utile richiamare quanto afferma la circolare Ministeriale n. 16721 del 13.09.2010.

La quale – riconoscendo la complessità della questione – suggerisce nei casi dubbi di inoltrare comunque la richiesta di parere alla competente Soprintendenza, la quale – per ormai costante giurisprudenza – ha poteri ampi di valutazione non solo discrezionale di merito sulla compatibilità, ma anche sulla legittimità della domanda (v. CdS, Sez. VI, n.2262/2017 – TAR Campania – Napoli Sez. VI, n.4324/2018 – TAR Lazio- Roma Sez. II, n.9528/2020). 

E’ appena il caso di ricordare – come già abbiamo anticipato nella Parte Prima – che le argomentazioni fin qui svolte sono riferite al conseguimento della sanatoria amministrativa, impregiudicate le sanzioni connesse al suo rilascio eventuale e fatte salve le sanzioni penali.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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