Con lo Sbocca Italia pubblicato lo scorso 12 settembre sono state introdotte numerose novità e modifiche nel settore dell’edilizia, delle infrastrutture e dell’urbanistica con lo scopo di rifar partire un settore, quello delle costruzioni, assai importante per il Paese e fermo da troppo tempo.
Questo l’intento dichiarato dal Governo ma non corrispondente agli umori e alle opinioni di molte categorie coinvolte nel decreto.
Sul piano dell’edilizia, all'art. 17 del decreto Sblocca Italia, viene in particolare prevista l'introduzione di due nuovi articoli del Testo unico dell'edilizia (articolo 28 bis, articolo 23-ter) e aventi per oggetto la disciplina di due istituti: quella del permesso di costruire convenzionato e del mutamento d'uso urbanisticamente rilevante.
Si tratta di due temi molto rilevanti in materia urbanistico – edilizia, e per capire meglio quali saranno gli effetti a livello urbanistico abbiamo intervistato il Prof. Maurizio Tira, Presidente del CeNSU (Centro Nazionale di Studi Urbanistici), e l’Arch. Silvia Viviani, Presidente dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica).
IL COMMENTO DEL CeNSU
Intervista al Prof. Maurizio Tira, Presidente del CeNSU (Centro Nazionale di Studi Urbanistici)
Molte le novità dello Sblocca Italia anche in materia di edilizia-urbanistica. Come giudica i chiarimenti in merito al “permesso di costruire convenzionato” e al “mutamento d'uso urbanisticamente rilevante”? Il permesso di costruire convenzionato è uno strumento consolidato e spesso utilizzato nel caso in cui l’amministrazione pubblica voglia conseguire qualche diretto effetto dalla trasformazione urbanistica.
Si applica per esempio al fine di ottenere la cessione di un tratto di strada, di uno spazio pubblico, ecc., pur senza attivare una procedura di piano attuativo.
È quindi positivo che l’istituto venga normato e chiarito nei suoi confini.
Per quanto riguarda il mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, tema delicato in questa fase di crisi del settore edilizio in cui molti operatori chiedono di liberalizzare le destinazioni d’uso al fine di far fronte alle mutevoli esigenze del mercato, la valutazione è più articolata.
Le quattro macro-classi introdotte dal decreto non pongono problemi particolari se non la prima.
Assimilare la residenza alle residenze turistico-alberghiere può essere problematico nelle località turistiche, ove la residenza turistico alberghiera, assimilabile agli alberghi, è diffusa.
Poiché ad esempio l’accesso allo Sportello Unico per l’Edilizia è consentito per le attività imprenditoriali, quindi anche alberghiere e non per la residenza, confondere le due destinazioni in un’unica macro classe può ingenerare importanti problemi applicativi. Il tema delle destinazioni d’uso è in ogni modo delicato, ma la destinazione residenziale andrebbe lasciata a sé stante.
Quali saranno i reali effetti sulla pianificazione urbanistica? Conosceremo un nuovo “sviluppo” delle nostre città?
Ogni semplificazione è benvenuta, a patto che si cerchi di simulare gli impatti del provvedimento, magari analizzando alcune norme di piano, in diversi contesti regionali, e provando a delineare delle casistiche.
L’impatto sulla pianificazione urbanistica di molti di questi provvedimenti, non possiamo negarlo, va nella direzione di un indebolimento del ruolo del piano a favore dell’intervento puntuale ed emergenziale.
Il ruolo del piano come progetto di un futuro possibile per le città, oggi nel senso della rigenerazione, deve essere riaffermato.
Non vi è nessuna magia nella redazione di un piano, ma un grande potenziale di visione olistica e di coerenza tra le scelte insediative di cui si sente ogni giorno la mancanza nel nostro paese.
IL COMMENTO DELL’INU
Intervista al l’Arch. Silvia Viviani, Presidente dell’INU, (Istituto Nazionale di Urbanistica)
Molte le novità dello Sblocca Italia anche in materia di edilizia-urbanistica. Come giudica i chiarimenti in merito al “permesso di costruire convenzionato” e al “mutamento d'uso urbanisticamente rilevante”? Permesso di costruire convenzionato
In molti strumenti urbanistici il permesso di costruire convenzionato è già previsto e regolato; è una prassi diffusa, coerente ai progetti e ai tipi di intervento che sono disciplinati nei piani.
Quando c’è una convenzione, c’è una componente di città pubblica. Infatti, nel testo di legge è stabilito che nella convenzione sono specificati gli obblighi relativi a cessione di aree pubbliche, opere di urbanizzazione, edilizia residenziale sociale, caratteristiche morfologiche degli interventi. Sono contenuti rilevanti, che non possono essere assegnati alla pratica edilizia singola.
È nel piano, che contiene i progetti e le regole per i tessuti urbani e gli edifici, che si può oculatamente scegliere dove, come e perché ricorrere al permesso di costruire convenzionato. Nel piano (che è anche soggetto alla valutazione ambientale e alla partecipazione pubblica) si stabiliscono quantità e qualità degli spazi pubblici, che poi saranno disciplinati dalla convenzione per quanto attiene modalità e tempi di realizzazione, e le regole tipo-morfologiche che sono fondamentali per la funzionalità e qualità estetica della città, in relazione ai contesti.
La norma, inoltre, non è chiarissima. La procedura semplificata è ammissibile “sotto il controllo del Comune”. Se questo significa che si ricorre al permesso di costruire convenzionato se è previsto dal piano urbanistico comunale, va bene. Se invece il controllo del Comune è un’attività svolta in ambito di istruttoria edilizia, si salta il piano e si apre una negoziazione puntuale. Chi controlla? E in base a che cosa?
Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante
La norma stabilisce che restano le differenze legislative regionali, pertanto la disposizione potrebbe rimanere sulla carta, o, peggio, aprire conflitti fra norma di legge nazionale, norme urbanistiche regionali, norme contenute nei piani comunali.
Ma la questione più importante è che la semplificazione contiene un implicito e rischioso assunto: che il mutamento delle destinazioni d’uso possa prescindere dalle differenze dei tessuti urbani e dalle prestazioni (servizi), nonché dai programmi di governo che sono rappresentati dall’atto tecnico (il piano urbanistico). Questo vanifica la possibilità di valutare le compatibilità e i carichi urbanistici nonché le parallele dotazioni di servizi. No si tratta solo di una questione tecnica. Sono aspetti che incidono sulla vita delle persone.
Quali saranno i reali effetti sulla pianificazione urbanistica? Conosceremo un nuovo “sviluppo” delle nostre città?
No, temo che sarà un sostanziale ostacolo alla rigenerazione delle nostre città. L’alchimia edilizia favorisce nuove e vecchie rendite, non guida il Paese verso le politiche urbane che l’Europa ha declinato, mettendo a disposizione risorse finanziarie, per città ambientalmente risanate, tecnologicamente efficienti e socialmente inclusive.
Rilevo, in generale, che:
- si continua ad agire su fronti separati: norme straordinarie in edilizia, proposte di legge per il contenimento del consumo di suolo, disegni di legge urbanistica nazionale, riforme istituzionali. Invece, occorre agganciare la revisione del codice dell’edilizia a tutte le riforme, dagli assetti istituzionali (livelli e strumenti di governo ossia chi fa cosa) alla pianificazione (un processo efficace e rispondente ai nuovi livelli di governo, da snellire e da riportare nell’alveo delle sue finalità specifiche ossia il miglioramento delle condizioni e della forma delle città);
- l’unico settore sul quale si interviene è quello edilizio e lo si fa tramite norme che rendono superflua la pianificazione;
- carico urbanistico e destinazione d’uso sono due componenti fondamentali per l’equilibrio urbano, ossia per la vivibilità delle città. Liberalizzarle al di fuori dello strumento urbanistico alimenta le rendite fondiarie ed edilizie e non agevola i necessari processi di riqualificazione urbana;
- la spinta per la ripresa delle attività edilizie e per la sburocratizzazione è affidata a norme edilizie puntuali e non è coerentemente collegata alle politiche urbane che assegnano priorità alla rigenerazione delle città. La rigenerazione urbana non discende dalla sommatoria degli interventi edilizi, ma, al contrario, è prima di tutto una politica pubblica, attuata da interventi sia pubblici che privati, che non possono limitarsi alle opere sui singoli edifici. Inoltre, liberalizzare dette opere (si vedano le deroghe per gli interventi di ristrutturazione edilizia e urbanistica) comporta carichi urbanistici che gravano sulla città nel suo insieme, cioè sulla collettività, senza coperture finanziarie certe, né pubbliche né private;
- non si deve confondere l’apparato legislativo con la pianificazione. Ciò che è astrattamente regolato con la legge (procedure, definizioni degli interventi) deve essere progettato e normato, ossia declinato adeguatamente rispetto ai luoghi e ai programmi di governo locale, dallo strumento urbanistico. Se si interviene sulla legislazione edilizia, si deve nel contempo intervenire sul rafforzamento dell’urbanistica e sulle risorse dell’amministrazione che governa le trasformazioni urbanistiche. La revisione del codice dell’edilizia deve essere collegata alla revisione degli altri fondamentali codici (urbanistica, ambiente e paesaggio). In altri termini, prima di operare modifiche o integrazioni alle normative di settore, si dovrebbe mettere in opera una revisione generale del caotico e ridondante quadro legislativo che grava sulle attività edilizie e urbanistiche;
- lo snellimento delle procedure non va confuso con il governo delle trasformazioni edilizie e urbanistiche. Viceversa, si continua a creare il fraintendimento che, una volta stabilita la norma per legge, essa possa automaticamente applicarsi in ogni contesto, indifferenziatamente e a prescindere dalla regolamentazione urbanistica, ossia dai programmi di governo locali, che devono essere partecipati e sostenibili e per tale motivo garantiscono la collettività.
- non ci sono risorse certe. Alle democrazie locali vengono ulteriormente tolte entrate, che non vedono altre coperture. Non si affrontano innovazione e finalizzazione delle misure fiscali, né l’integrazione fra tipi diversi di strumenti per produrre le risorse per la rigenerazione urbana e, in essa, per la città pubblica;
- anche il Presidente del Consiglio ha definito come più opportuni un orizzonte più ampio (1000 giorni) e un percorso incrementale (passo dopo passo). In questo senso, sarebbe più utile lavorare su riforme coordinate, per un’efficace sburocratizzazione del Paese, un rinnovo delle capacità d’impresa, un rafforzamento delle politiche pubbliche, la definizione di un’agenda urbana nazionale. Il vero cambiamento si misura con la possibilità di stabilire pratiche ordinarie, certezza, semplicità e chiarezza dei quadri di riferimento (normativi e programmatici). Bisogna accantonare le misure straordinarie, le deroghe e i provvedimenti omnibus e d’urgenza, perché non creano riprese di lunga durata ma effetti parziali ed effimeri, quando non dannosi.